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Il giornalista senigalliese Alberto Bruschi ricorda Monica Vitti

L'attrice fu da lui intervistata nell'autunno del 1963 a Ravenna sul set del film "Deserto Rosso"

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Alberto Bruschi

Appresa la triste notizia, il mio ricordo è andato subito all’indimenticabile incontro presente anche il regista Michelangelo Antonioni presso il Jolly Hotel di Ravenna, dove era allocata la troupe del cast del film “Deserto Rosso” girato nelle crescenti ed impetuose fabbriche industriali concentrate in zone emiliano-romagnole.

Cronista alle prime esperienze fui incaricato nell’autunno del lontano 1963 dalla redazione di un giornaletto aziendale “La voce della Fabbrica” ( in anteprima rispetto ad altre più note testate giornalistiche), di fare una intervista alla celebre coppia artistica grazie anche all’intervento del Direttore Generale del colossale stabilimento Petrolchinico dell’ANIC (Società del Gruppo ENI di Enrico Mattei), alla periferia di Ravenna, dove lavoravo in qualità di funzionario amministrativo e dove si sono svolte in parte alcune riprese del film.

Per capirne la grandezza, lo Stabilimento ANIC produceva dalla combinazione metano, aria ed acqua oltre la metà della produzione nazionale di concimi, gomma ed altri sottoprodotti similari dai rifiuti industriali, su licenza americana.
Ricordo la estrema semplicità da riconosciuta anti-diva, con quel sorriso aperto ed immediato unito ad una cordialità contagiosa, con cui in particolare Monica mi accolse, mettendomi sin da subito a mio agio, ancor più del misurato approccio del regista.

Mi ricordo che chiesi, dopo convenevoli iniziali, al regista Antonioni il motivo dell’ambientazione del film, in un sito come Ravenna e dintorni, già climaticamente grigio e nebbioso e da un decennio invaso da una industrializzazione selvaggia, artefice sì del boom economico, ma in uno scenario spettrale dominato da ciminiere fiammeggianti, gigantesche torri con fumi, aria polverosa e territorio inquinato.

Riassumo la risposta incentrata sull’esigenza di riprendere un paesaggio grigio e deprimente come sottofondo interiore, in cui si sviluppa la crisi esistenziale e nevrotica della protagonista Giuliana ( soggetto creato dal poeta e sceneggiatore romagnolo Tonino Guerra), interpretata appunto dalla impareggiabile Monica.

Mi ricordo che il regista, volle precisare riguardo ad alcune interpretazioni distorte su un suo presunto atto d’accusa contro questo “mondo industrializzato e disumano che schiaccia l’individuo e lo nevrotizza”.

Aggiunse al contrario che non condannava la modernità con i suoi vantaggi economici, inquadrandola in una evoluzione dei processi storico-culturali, ma i ritmi tumultuosi, le limitazioni e le interferenze dannose sull’ambiente e nella vita sociale. E’ proprio da questi aspetti deteriori che porta un’industria inquinante ed invadente, nel grigiore di un ambiente freddo, straniante e di aridità socio-relazionale come poteva offrire una città provinciale e chiusa come Ravenna ( sede di musei di arte bizantina e splendidi mosaici di S.Maria in Classe), che matura nella protagonista Giuliana, una irreversibile crisi nevrotica, intrisa di profonda sofferenza psichica espressa magistralmente da quel grandioso talento della Vitti.

Il dolore psico-somatico viene esternato nel film dalla sofferta frase : “Mi fanno male i capelli”, accentuato dal colore rosso nel simbolismo antognoniano. Tale crisi porterà Giuliana, moglie insoddisfatta di un alto dirigente industriale, ad una problematica infedeltà, accentuando il disagio psichico-morale.

A questo proposito, mi rivolsi a Monica per chiederLe se Lei si ritenesse una attrice di tipo drammatico, in particolare legata al tema della incomunicabilità, filone ricorrente nella rappresentazione filmica del regista Antognoni. La risposta secca fu che la recitazione era lo scopo principale della sua vita, ritenendo di poter interpretare qualsiasi ruolo anche comico, grazie all’esperienza recitativa, iniziata sin da 13 anni e che auspicava durasse sino a 90, 95 anni.

Si riteneva persona sincera, estroversa ed aperta al dialogo, anche se riferiva che finita la interpretazione scenica era tanta l’immedesimazione e la passione, nelle vicende filmiche dei personaggi, che stentava a riposizionarsi nella vita reale. Tale polivalente versatilità, venne dimostrata in seguito, animando noti varietà televisivi, film comici, ecc.., collocandosi tra le figure principali ed indimenticabili insieme a Sordi, Tognazzi, Mastroianni, ecc. del fortunato filone della commedia italiana, apprezzata in tutto il mondo.

Va rilevato, comunque, che “Deserto Rosso” vinse il Leone d’Oro a Venezia nel 1964 e venne proiettato in tutto le sale del mondo nonchè oggetto di studio di esperti nelle più importanti Cineteche.

Mi ricordo tra le altre domande, chiesi cosa pensasse dei tentativi allora timidi di avvio del fenomeno nascente del femminismo. La risposta fu, che detestava tali atteggiamenti, specie se espressi in forma violenta, auspicava invece la maturazione nella società di spazi anche al femminile, di valorizzazione della meritocrazia e dell’impegno: qualità che le donne ripeteva – con la loro intelligenza- sanno dimostrare ed eccellere.

Ci fu, nel cordiale colloquio, anche il racconto di alcuni aneddoti nel mondo cinematografico ed in particolare sui successi del momento a livello internazionale del cinema italiano. In conclusione nell’arco di appena un’ora di colloquio, ho potuto constatare la giustezza dei giudizi della critica riguardo alle doti di carismatica competenza, straripante vitalità ed il talento straordinario della grande insuperabile Monica Vitti.

Ringraziandoli per il privilegio concesso, fui cordialmente congedato, anche perché incombeva nel pomeriggio, una delle ultime riprese del film, sollecitati anche dalla troupe in assetto di lavoro.

Alberto Bruschi
Pubblicato Lunedì 7 febbraio, 2022 
alle ore 11:34
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