Addio a Franco Battiato, l’arte di sperimentare fino alla fine
L'artista scomparso a 76 anni. Ha attraversato ogni genere e cambiato la musica italiana. Nelle Marche fece grande "Il violino e la selce"
La musica e la cultura italiana in lutto per la scomparsa di Franco Battiato, avvenuta nella mattinata di martedì 18 maggio nella sua casa di Milo, Catania.
Battiato, malato da tempo nel più stretto riserbo, aveva 76 anni.
Musicista eclettico e sperimentatore per eccellenza, ha segnato la musica italiana degli ultimi 50 anni.
Iniziò giovanissimo negli anni Sessanta con canzoni di protesta e pure legate alla propria terra, poi cambiò totalmente genere inserendosi nel filone del rock progressivo, con gli album “Fetus” e “Pollution”: il primo, del 1972, con l’immagine (censurata) di un feto in copertina, attirò le attenzioni del pubblico più colto e dei grandi artisti internazionali, che gli permisero di arrivare a suonare a supporto di Brian Eno e John Cale.
Nel 1973 esce “Sulle corde di Aries” opera imprescindibile nella storia del rock italiano ed entra in contatto con KarlHeinz Stockhausen, compositore tedesco d’avanguardia tra i più influenti del Novecento.
Continua a collaborare coi gruppi progressive, per album vicini pure al jazz, poi cambia di nuovo e dopo l’incontro col grande violinista Giusto Pio – fedele collaboratore – si dedica al pop e alla canzone d’autore, travolgendola (e stravolgendola) con “La voce del padrone” che nel 1981 lo rende famosissimo: è l’album più venduto della storia della musica italiana nonché il primo a raggiungere il milione di copie vendute, cifre oggi inarrivabili nel mercato discografico del nostro Paese.
Il singolo “Centro di gravità permanente” descrisse l’incertezza dei tempi con un linguaggio mai utilizzato prima dal cantautorato ed ebbe successo anche in Francia e Spagna.
In quegli scrive anche canzoni per altri artisti tra cui Alice, che vince Sanremo con “Per Elisa”.
Negli anni successivi continua a sperimentare, con un ampio uso dell’elettronica e un sempre più convinto spiritualismo, che negli anni Novanta si tramuta in una collaborazione col filosofo Manlio Sgalambro, nuovo collaboratore ai testi delle canzoni, i quali non disdegnano passaggi in francese, spagnolo, portoghese.
Battiato resta un artista inclassificabile per gli stessi critici, che osannano però “La cura”, una delle sue canzoni più profonde e famose, del 1997.
A dir poco ardite per l’epoca le sperimentazioni musicali che compie con l’album “Gommalacca” del 1998, contenente “Shock in my town”, un ritornello da canticchiare ma anche il miglior album per la Targa Tenco, il più prestigioso premio in Italia.
Negli anni Duemila la trilogia di “Fleurs”, con cover arrangiate in ensemble da camera di canzoni degli anni ’50 e ’60 spesso dimenticate: l’ennesimo esperimento che scatena ammirazione tra i fans più accaniti, ma anche perplessità in parte della critica per una scelta così imprevedibile.
Negli ultimi anni continua a passare in totale libertà da omaggi a De Andrè, Lucio Dalla e Jimi Hendrix, a collaborazioni quali quella con Steve Kerr dei Simple Minds, all’omaggio al filosofo cinese dell’antichità Sun Tzu ed altro ancora, confermandosi un artista fuori da ogni schema: nella sua vita ha collaborato anche in Italia con artisti completamente diversi per cultura e provenienza musicale quali Celentano, Milva, Tiziano Ferro, i Csi, la Premiata Forneria Marconi, Pippo Pollina, Giorgio Gaber, Morgan, Fiorella Mannoia e molti altri.
Ma Battiato è stato anche regista e pittore, oltre che per pochi mesi assessore alla cultura in Sicilia.
A Fano ha diretto per anni il festival “Il violino e la selce”, uno dei più importanti mai tenutesi nelle Marche per la qualità degli ospiti, tra cui Bjork.
L’ultimo concerto a Catania nel 2017.
Nel 2019 l’annuncio ufficiale di addio alle scene.
Nella foto Energia/Una cellula, 45 giri di Battiato del 1972
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