“Oltre la strategia vaccinocentrica. Il Senato impegna il governo sulle terapie domiciliari”
Interviene l'associazione Il Novum
Stando a quanto si legge sul Corriere della Sera (Marco Imarisio e Simona Ravizza) sembra che fra i paesi industrializzati l’Italia sia quello che sta registrando il maggior numero di decessi per CoViD-19.
Negli ultimi quattro mesi, in UK i decessi per milione di abitanti sono passati da 79 a settimana agli attuali 11, in Germania da 55 a 16 ed in Francia da 40 a 30. Anche l’Italia è scesa, da 60 a 43, ma è stato l’unico Paese che rispetto ai 38 decessi di febbraio è risalita ai 43 di marzo. Fra le tante spiegazioni fornite, alcune sono più convincenti, altre meno.
Molti sostengono che si muore tanto perché siamo il Paese più vecchio d’Europa. È una mezza verità, perché la Germania ha un’età mediana di un anno superiore all’Italia ed anche il Regno Unito ha il 24 % della popolazione ultrasessantenne contro il nostro 30%.
Altri dicono che abbiamo sbagliato nell’applicare le misure di contenimento chiudendo tardi, ma soprattutto riaprendo troppo presto senza dare alle suddette misure una sufficiente continuità. Anche questo è opinabile, dal momento che i Paesi scandinavi e la Svezia in particolare hanno applicato misure restrittive più blande (sia in termini qualitativi che quantitativi) conseguendo su ambo i versanti pandemico ed economico ben altri risultati rispetto ai nostri.
Altri ancora attribuiscono l’elevata mortalità ai continui tagli alla Sanità che hanno praticamente dimezzato i posti letto nelle terapie intensive. E pur avendoli ri-aumentati dopo il disastro della prima fase, siamo ancora molto indietro rispetto agli altri paesi europei (un quarto dei posti letto dei francesi, tanto per fare un esempio). Ma anche qui, le terapie intensive ed i ricoveri ospedalieri non sono la causa, bensì la conseguenza di una anomalia ancora più grande ed -ohimè- tutta italiana.
Questa anomalia si riscontra nella medicina del territorio che a quattordici mesi dallo scoppio della pandemia è ancora un’incompiuta. Curare presto e curare a casa sono i comandamenti traditi della lotta italiana alla pandemia. Adesso che ogni sforzo è teso a vaccinare, chi va a casa dei malati di Covid per metterli in terapia il più presto possibile? Ci vanno i medici di famiglia? No, non ci vanno affatto, al netto di qualche generosa eccezione. Ci vanno però le USCA, acronimo di unità speciali di continuità assistenziale (un medico, spesso neolaureato, e un infermiere) le quali fanno quello che possono, ma sono sempre troppo poche rispetto al numero spesso esorbitante delle chiamate. Ed allora capita che l’attesa sia troppo lunga ed una forma clinica che si poteva curare a casa finisce in ospedale, magari in terapia intensiva.
Molti pazienti si sono rivolti ad ong private come ippocrate.org, che è nota per fornire assistenza (telefonica) e terapia in tempi rapidi e così facendo ha guarito migliaia di persone prevenendo quelle complicanze «da vigile attesa» che spesso conducono ad un ricovero ospedaliero.
Fortunatamente, un primo passo, che va oltre la strategia vaccinocentrica è stato compiuto l’8 aprile scorso a Palazzo Madama. È stato approvato dal Senato, con 212 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astensioni, un ordine del giorno, a prima firma Massimiliano Romeo, presidente del gruppo della Lega, che impegna il Governo ad aggiornare i protocolli e le linee guida per le cure domiciliari dei pazienti Covid-19, tenendo conto di tutte le esperienze dei professionisti impegnati sul campo.
Secondo il documento approvato in Senato «appare necessario, alla luce delle esperienze sul territorio, superare la previsione della “vigile attesa” prevedendo l’aggiornamento dei protocolli e delle linee guida, dando la possibilità̀ per i medici di prescrivere i farmaci ritenuti più̀ opportuni tenuto conto del singolo caso, nel quadro delle indicazioni della comunità̀ scientifica validate dagli organi preposti».
Si sta finalmente andando verso quella direzione più volte coraggiosamente indicata da alcuni medici, e formalizzata in un interessante documento intitolato «La gestione dei pazienti COVID-19 in ambito domiciliare», redatto il 1 aprile 2021 e contenente alcuni indirizzi operativi proposti dal gruppo di lavoro diretto da Luca Coletto, capo del dipartimento Sanità della Lega e del quale fanno parte il Dott. Alberto Donzelli ed il Prof. Paolo Bellavite noti free-vax ed esponenti del movimento di opinione pro-cure domiciliari.
Il documento citato individua la «latenza tra l’inizio dei sintomi e la prima valutazione medica» tra le condizioni che possono determinare un decorso più severo della malattia. «Appare evidente che solo la medicina territoriale, per la capillarità sul territorio e la prossimità ai pazienti, sia in grado di prestare assistenza ai malati sin dall’insorgere della malattia». Si impone quindi la necessità di valorizzare e organizzare ulteriormente la medicina territoriale per la gestione della pandemia. «In tale quadro, è necessario che sia lasciata ai medici sul territorio la possibilità di attuare interventi che in scienza e coscienza si ritengano utili ad alleviare le sofferenze e scongiurare le conseguenze potenzialmente gravi della malattia» quali la somministrazione di farmaci, anche off label (cioè al di fuori delle indicazioni fornite delle aziende produttrici) ed integratori. Finalmente si può parlare di cure. Si può parlare di farmaci. Si può parlare di vitamina D, di probiotici, di N-acetilcisteina, di aspirina, di idrossiclorochina, di corticosteroidi, di antibiotici, di eparine a basso peso molecolare, senza essere tacciati di negazionismo.
Credete veramente che quando avremo immunizzato tutti gli immunizzabili, il Covid sarà scomparso? O piuttosto si dovrà convivere con le sue varianti e concepire una sanità che impara a combatterlo anche (e soprattutto) con la tempestività delle cure domiciliari? Fino ad oggi, l’ospedalizzazione dei malati CoViD-19, conseguenza del mancato filtro della medicina territoriale, ha messo in coda i malati di tumore ed i cardiopatici, ha fatto saltare interventi chirurgici, visite ed esami diagnostici, ha ingolfato le liste d’attesa, scoraggiando ancora di più un ricorso alle cure già di per sé dispendioso e fortemente burocratizzato.
Per chiudere un pensiero doloroso: nell’ultimo anno i decessi per tumore sono aumentatati di 200.000 unità mentre il Covid-19 “si presume” ne abbia fatti 130.000 con comorbilità (senza comorbilità meno di 10.000) quindi la vera emergenza sanitaria oggi, non è il Covid-19 è la mancanza di cure per i malati gravi per fornirle, senza alcun risultato o quasi, ai malati Covid bloccando quasi totalmente la sanità dal fornire screening, cure ed interventi ai malati con gravi patologie.
A.P.S. NOVUM
Claudio Piersimoni
Caterina Rinaldi
Egidio Cardinale
Francesca Mancinelli
Giorgio Sartini
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