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Renato Cesarini: da Senigallia all’Argentina, passando per la Juve

La zona Cesarini. Un personaggio molto particolare

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Renato Cesarini

Ci sono calciatori che lasciano il segno a suon di gol e magie, come quelli che siamo abituati a vedere nei match più importanti e poi ci sono quelli che entrano nella storia grazie a particolari che poi diventano intramontabili.

È il caso di Renato Cesarini, ex calciatore della Juventus nato a Senigallia l’11 aprile del 1906 ed entrato nella storia per un gol segnato nei minuti di recupero.

Renato cresce in Argentina dove viene soprannominato il “Mago” e ”l’Italiano”. I suoi genitori erano partiti in nave sulla rotta degli emigranti, Genova-Buenos Aires, che lui aveva nove mesi. Portandosi un rosario e uno spicchio d’aglio. Il bastimento si chiamava Mendoza, il viaggio durava trenta giorni, il quartiere dei poveracci era il barrio Palermo. Il padre Giovanni fa il calzolaio, Renato per un po’ ripara scarpe, ma non gli interessa, lui vuole camminare, correre, curiosare. Prostitute e tango. Notte e chitarre. Acrobazie e trapezio. Numeri da circo, insomma. Infatti viene scritturato. Ha il nasone, il volto appuntito, gli occhi che brillano, un ciuffo ribelle ad ogni schema. E un giorno scopre che si possono fare giochi anche con il pallone.

In Argentina Cesarini si appassiona al calcio ed alla chitarra. Sono gli anni di Raimundo “Mumo” Orsi, brillantina, riga in mezzo, gran sinistro, originario di Santa Maria di Bobbio, in provincia di Piacenza. Orsi per centomila lire e otto mila di stipendio mensile, arriva alla Juventus nel 1928, non sa parlare italiano e soprattutto non può giocare in campionato per l’ostruzionismo della federazione argentina.

Dopo diversi anni in terra sudamericana, la famiglia tornò in Italia nel 1930 e da quel momento Renato Cesarini diede inizio alla sua carriera italiana. La Juventus lo mette sotto contratto nel 1929 e lui esordisce in maglia bianconera il 23 marzo 1930, sul campo del Napoli (2-2): nel corso della stagione 1929-1930 scese in campo 16 volte, segnando 10 reti. Nella stagione 1930-1931 vinse il suo primo scudetto, contribuendo con 9 reti alla causa della Signora. Con i bianconeri vinse altri quattro scudetti (1931-1932, 1932-1933, 1933-1934 e 1934-1935) giocando sempre da titolare e divenendo uno dei pilastri della cosiddetta Juve del Quinquennio che egemonizzò il calcio italiano nella prima metà degli anni 1930.

La zona Cesarini
Renato Cesarini fu un calciatore molto forte che però giocò in Nazionale solo 11 volte. Queste gli bastarono per entrare nella leggenda, creando una nuova espressione proprio grazie ad una gara con l’Italia: la “zona Cesarini“. Semplicemente, la locuzione indica gli ultimi minuti di una partita, anche se ormai è applicata pure ad altre sfere della vita, dalla politica alla cultura.

Era il 13 dicembre 1931 quando durante la partita di calcio Italia-Ungheria, disputata a Torino davanti a 40mila spettatori e valevole per la Coppa Internazionale Renato Cesarini segnò dando agli azzurri la vittoria finale (il punteggio era fino a quel momento di 2-2). Il gol fu segnato dalla mezzala della Juventus al 90° minuto, l’ultimo del tempo regolamentare.

Stesso copione, ma con protagonisti diversi, la domenica seguente. Durante la partita di campionato tra Ambrosiana Inter e Roma, i milanesi segnarono all’89° il gol del 2-1 finale. Allora il giornalista radiotelevisivo Eugenio Danese coniò l’espressione “Zona Cesarini” e la consegnò, di fatto, alla storia.

Per la cronaca, Cesarini avrebbe ripetuto altre volte la “zampata” dell’ultimo minuto realizzando diversi gol poco prima del fischio finale della partita, anche se non tutti decisivi ai fini del risultato. In tutto tra Juventus e nazionale Cesarini giocherà 158 partite e segnerà 55 reti. Nel ’35 ripartirà per l’Argentina, giocherà nel River Plate e vincerà altri due scudetti, poi a trentaquattro anni diventerà allenatore della squadra che verrà chiamata «La Maquina». La macchina, sì, per la precisione delle giocate. Dicono che quel River Plate è capace di attraversare il campo senza far toccare terra alla palla.

Un personaggio molto particolare
Oltre ad essere un campione, Renato Cesarini era un personaggio molto particolare. Al collo porta cravatte variopinte e in campo, quando segna, gli capita di esultare esibendosi nei salti mortali appresi al circo. Impara l’italiano nelle case chiuse, apre una sala da ballo. Non si fa nessun problema a tirar tardi la sera, a celebrare la sua voglia di divertirsi senza preoccuparsi troppo delle inevitabili multe della mattina dopo.

Un giorno, Agnelli lo trova in un ristorante in orario di allenamento. Gli fa mandare una bottiglia di champagne dal cameriere, per ricordargli chi è che comanda. Cesarini gliene fa arrivare cinque, con tanto di biglietto “domani vinciamo e segno”. Inutile dire che andrà così. Con la maglia bianconera, dopo un anno di ambientamento, vince cinque scudetti di seguito. Non fa parte della nazionale campione del mondo nel 1934, perché Vittorio Pozzo lo considera troppo poco pratico e affidabile. Difficile che gli sia dispiaciuto non partecipare a un torneo in cui gli arbitri fecero di tutto per compiacere il regime fascista che voleva la vittoria: Cesarini è uno dei pochi, negli anni Trenta, a rifiutarsi di fare il saluto romano.

Un personaggio che avrebbe fatto benissimo anche negli anni 2000 e con ogni probabilità sarebbe stato quotato dagli esperti analisti di scommesse online NetBet tra i favoriti per il titolo di capocannoniere della Serie A.

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