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Viaggio nella fotografia di Alberto Raffaeli: l’intervista

“Una buona fotografia mi solleva dentro, mi fa sentire in sintonia col mondo”

Alberto Raffaeli

Fare fotografia è riuscire a mettere quattro margini intorno a porzioni significative della realtà, includendo gli elementi importanti e lasciando fuori il superfluo. E’ un modo per provare emozioni ma anche un modo per trasmetterne”. In questi due concetti, per certi versi agli antipodi, è racchiuso lo spirito della fotografia di Alberto Raffaeli, chiaravallese DOC (ma spesso ospite nei circoli fotografici senigalliesi), uno dei fotografi più stimati ed apprezzati della regione. Varcando la soglia della sua casa e sfogliando i suoi scatti viene naturale entrare in empatia con l’autore e, attraverso quel rettangolo delimitato da ‘quattro margini’, rivivere ‘significative porzioni” di vita.

Non a caso è stato ospite di moltissimi circoli fotografici delle Marche, ha avuto pubblicazioni su numerose riviste specializzate; gli è stato dedicato un paragrafo nel libro “Fotografi nelle Marche dal dopoguerra ad oggi” di Vincenzo Marzocchini. Tra le sue affermazioni più prestigiose non si può non nominare le quattro finali nelle ultime cinque edizioni della manifestazione FIAF “Autore Marchigiano dell’Anno” ed il terzo posto nel Contest del National Geographic Italia del 2015, nonché una nuova pubblicazione nell’annuario fotografico FIAF 2016 a distanza di 27 anni dalla prima.

Il suo percorso fotografico è iniziato nel lontano 1982, durante una vacanza alle Maldive: da lì in poi, con qualche pausa, e scatto dopo scatto, ha scritto pagine importanti della fotografia locale e non: quella che segue è la sua intervista.


Partiamo dall’inizio: quando è nata la tua passione per la fotografia?
A 22 anni avevo una grande passione per il mare. Io e la mia fidanzata Cinzia, ora mia moglie, riuscimmo ad organizzare una vacanza alle Maldive. Mi dotai di una fotocamera subacquea. Al ritorno decine di amici si addormentarono davanti ad una interminabile serie di diapositive sui pesci. Ma realizzai anche qualche scatto in esterno e mi si aprí un mondo. Al ritorno mi iscrissi al Circolo Fotografico AVIS di Chiaravalle dove fui iniziato dal maestro Manlio Moretti allo sviluppo ed alla stampa del BN. Mi dotai di due corpi Contax con set di obiettivi Zeiss, e nel 1986 allestii una camera oscura nel bagno di casa. In quel periodo ebbi un’intensa attività “concorsaiola” ricca di riconoscimenti. Nel 1989 nacque Cecilia, il bagno fu utilizzato per cambiare i pannolini e io smisi di fotografare (o forse, come sostiene mia moglie, ero a corto di ispirazione). Ventitre anni di pausa e poi il rientro a fine 2011, in piena era digitale.

Ti ricordi la prima foto che hai scattato?
Sinceramente il primo scatto no, però ho bene in mente la mia prima stampa in bianconero uscitaFoto di Alberto Raffaeli dalla camera oscura del Circolo AVIS. Era un paesaggio, con degli ulivi in primo piano ed un cielo bello carico ottenuto tramite un filtro rosso montato davanti al mio 18mm Zeiss.

 C’è una foto che ti ha fatto innamorare?
Da 30 anni il poster de “Le baiser de l’hotel de Ville” di Doisneau é appeso Intervista a Alberto Raffaelinella nostra camera. Quella foto é stata la prima a farmi capire il livello di poesia che si può raggiungere con la fotografia.

C’è uno scatto a cui sei particolarmente legato?
Di foto a cui tengo ne ho diverse; se devo metterne una al primo posto scelgo la piú discussa, quella con cui accolgo i visitatori del mio sito (www.albertoraffaeli.com): l’ho scattata in Senegal, nell’isola di Goreé, ad alcuni ragazzini che stavano giocando a calcio. Questa foto ha segnato un certo saltoFoto Alberto Raffaeli nell’evoluzione del mio stile. Molti la odiano; ammetto che sia strana, ma forse proprio per questo io invece la amo.

Cosa significa per te fotografare?
Fare fotografia è riuscire a mettere quattro margini intorno a porzioni significative della realtá, includendo gli elementi importanti e lasciando fuori il superfluo. Sembra una banalità ma questa è la base per portare a casa buone immagini. In senso piú profondo la fotografia é un modo per provare emozioni e trasmetterne agli altri; quando questa alchimia riesce mi sento profondamente appagato.

 Cosa rende uno scatto ‘riuscito’?
Guardando i miei scatti, ma soprattutto analizzando le foto di altri, riesco con facilità a riconoscere uno scatto riuscito. Capire perché lo sia é invece piuttosto arduo. É quasi una sorta di benessere fisico quello che mi trasmette una buona fotografia, un qualcosa che mi solleva dentro, che mi fa sentire in sintonia col mondo. É difficile da spiegare, ma le belle foto mi fanno star bene.

 Come nasce un tuo lavoro?
Se per lavoro si intende un portfolio, una serie di immagini correlate, devo dire che raramente sono partito da un progetto prima di scattare e, anche quando l’ho fatto, ho lasciato molta libertà all’evoluzione spontanea del lavoro. Questo è sicuramente un mio limite: scarseggio di progettualità e non mi piace modificare la realtà per realizzare uno scatto. Poi, a posteriori, mi è capitato spesso di mettere insieme delle raccolte, magari accompagnandole con commenti musicali, a volte con risultati gradevoli. Per contro mi reputo abbastanza bravo a cogliere al volo le situazioni, a catturarle ed inserirle in una struttura visiva ben congegnata in un unico scatto. Per fare questo é necessaria una certa predisposizione naturale ma anche un alto livello di concentrazione e spirito di osservazione.

Quali sono i fotografi di oggi e di ieri che apprezzi maggiormente?
Nei primi tempi mi imponevo di non studiare troppo i grandi fotografi per evitare di farmi influenzare. Poi mi sono reso conto che era una gara persa poiché siamo sempre piú bombardati di immagini e quindi tanto vale godersi serenamente i capolavori dei maestri. Un fotografo che ho imparato pian piano ad amare é Koudelka, mentre mostri sacri come Salgado e Webb sono balzati al vertice dei miei preferiti fin dal primo incontro. Tra gli italiani contemporanei adoro la visione fotografica di Lorenzo Cicconi Massi.

La tua attività ha attraversato il periodo analogico e quello digitale: quali sono le differenze preponderanti di questa dicotomia? Molti tuoi colleghi sembra sentano la necessità di schierarsi da una parte o dall’altra…

Come ho accennato interruppi la mia prima vita fotografica in una lontana era analogica per rientrare a digitale ormai affermato. Non ho vissuto il travaglio della transizione. Oggi sono felice di aver provato la magia della camera oscura senza peró averne nostalgia. Ho sentito tanti pareri su questa disputa. Personalmente tifo per la fotografia, per il suo contenuto e sostengo che non hanno importanza la tecnica ed il supporto utilizzati per arrivare al risultato finale. E’ comunque innegabile che il digitale abbia fatto passi da gigante e che sarà il futuro della fotografia.

Altra dicotomia molto in voga nell’ambiente è il colore contro B/N: che ne pensi?
Anche qui sono neutrale e lo dimostro con la mia produzione che si divide equamente tra BN e Colore. Nella preistoria ero bianconerista per necessità, in quanto era impossibile intervenire direttamente sui processi di sviluppo e stampa delle foto a colori e, se si voleva avere controllo sulla propria produzione, il bianconero era d’obbligo. Comunque, se da una parte il bianconero ha il suo intramontabile fascino, il colore è un elemento in piú che, ben gestito, contribuisce a delineare la personalità dell’autore.

In base alla tua esperienza, quale impatto ha avuto l’avvento dei social e della tecnologia sul mondo della fotografia?
Frequento Facebook. Devo dire che questo social è un ottimo mezzo per coltivare e condividere la nostra passione. Mi ha permesso di conoscere tante magnifiche persone innamorate della fotografia. Su alcuni gruppi si riesce a parlare di fotografia piú di quanto non si riesca a fare nei circoli reali. Lo considero un mezzo molto democratico di divulgazione: chi ha talento ha l’opportunitá di farsi conoscere, cosa che prima era molto piú difficile. Però bisogna fare attenzione a non strafare o si rischia di diventare antipatici.

Hai preso parte a diversi concorsi fotografici anche con brillanti risultati: qual è la soddisfazione maggiore che ti sei tolto e, più un generale, cosa pensi dei suddetti concorsi?

foto di Alberto RaffaeliSe negli anni ’80 ho partecipato a tanti concorsi, oggi lo faccio molto raramente. Preferisco curare il mio sito e pubblicare sul web scambiando opinioni con altri fotografi o, quando é possibile, fare delle mostre. Lo scorso anno mi é capitato di vincere il terzo premio nel contest del National Geographic Italia sezione “Persone” e di vedere la mia foto pubblicata per ben due volte su quella prestigiosa rivista… questa é una cosa di cui vado molto fiero.
In generale considero anche i concorsi un buon sistema per avere visibilità se si ha talento. Ai giovani fotografi con buone idee che vogliono fare strada li consiglio vivamente. Io, ripeto, ne faccio un uso molto moderato, anche perché ormai un futuro da stella della fotografia lo vedo difficile!

Sul nostro territorio sono presenti numerosissimi circoli fotografici: l’impressione è che spesso siano in competizione tra loro o comunque poco inclini alla collaborazione, che ne pensi? Cosa bisognerebbe fare per promuovere ed accrescere il movimento fotografico?

Sono iscritto al Circolo Fotografico AVIS di Chiaravalle e devo dire che, soprattutto per merito della Presidentessa Manuela Fratoni, siamo molto aperti alla collaborazione con altre associazioni. Invitiamo autori per mostrare proiezioni e stampe, chiamiamo i circoli a fare da giuria per il nostro concorso interno e, non di rado, andiamo in altri gruppi per assistere a proiezioni e mostre. Quello che invece mi sento di lamentare è la tendenza a parlare poco di fotografia nel corso della normale attività del circolo: si approfondisce poco, c’é molta resistenza ad esprimersi sui lavori degli altri soci, e quasi mai si va a vedere la produzione dei fotografi contemporanei o del passato. Quindi le parole d’ordine sono: collaborazione tra i circoli e l’utilizzo della rete per lo studio della Fotografia.

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