“Non, rien de rien. Je me fous du passé. Nous sommes la Nouvelle Vague!”
Introduzione alla Storia del Cinema: la Nouvelle Vague francese e l’eredità del Neorealismo italiano
Il neorealismo italiano può essere considerato il Preludio al cinema moderno per una lunga serie di motivi.
Tra questi, vi sono l’abbattimento del confine tra finzione e realtà, l’uso di ambientazioni naturali (anche a causa dell’inagibilità dei teatri di posa), la commistione dei toni del dramma e della commedia, la predilezione per la tecnica dell’amalgama (utilizzo di interpreti presi dalla strada e attori professionisti), il pedinamento dei personaggi, l’attenzione verso la quotidianità, la livellazione dei contenuti (le micro azioni assumono lo stesso peso delle macro azioni), il frequente utilizzo di finali aperti (specialmente da parte del maestro Rossellini), l’uso di ellissi, di budget limitati, l’attenzione riposta verso tematiche fino ad allora assolutamente non trattate – fratellanza contro il fascismo, speranza, povertà, dramma della disoccupazione, fame, miseria, incomunicabilità con gli alleati in casa, fiducia nel domani – e sopratutto nessun timore di mostrare immagini scabrose e violente come stupri di minori, assassini di donne incinte, bambini sporchi pieni di pidocchi e fucilazioni di preti, per citarne solo alcune.
Tra i movimenti cinematografici e le correnti che accoglieranno la lezione del Neorealismo ricordiamo Il Nuovo cinema tedesco (al quale abbiamo accennato nello scorso appuntamento), Il Dogma 95, la New Hollywood, il Nuovo cinema russo e prima fra tutte la Nouvelle Vague francese.
La nuova onda
Siamo alla fine degli anni ‘50 e la Francia vive una profonda crisi economica. Una nuova ed inquieta generazione esprime il suo disagio nei confronti della società (saranno i fratelli dei sessantottini, o loro stessi) e nei confronti dei padri (politica, classe dirigente, istituzioni). Sono giovani acculturati che frequentano i cinema, conoscono l’arte, alcuni di loro sono critici cinematografici per i Cahiers du cinéma: la più autorevole rivista di cinema francese di allora, che si dimostrerà vero e proprio manifesto della nuova onda. Hanno poco più che vent’anni, ma sanno già cosa vogliono. Sono consapevoli di essere motore di una rottura, sono stanchi del Cinema dei Papà, così idealizzante e moralizzato, totalmente distaccato dalla realtà quotidiana, ridotto infatti a puro e semplice strumento di intrattenimento. Pretendono realismo, esigono un cinema che racconti le vere strade di Parigi, che non sia invisibile, ma che si evidenzi come strumento del cambiamento. Vogliono essere rappresentati.
Questi giovani ribelli passano il tempo nei cinema d’essai e nei cineclub (che si stavano moltiplicando) ma sopratutto alla Cinematheque francaise (archivio privato/associazione) dove visionano certi film maledetti e incompresi – alcune opere di Jean Renoir e R. Ross – e opere di registi americani del dopoguerra come Alfred Hitchcock e Howard Hawks.
Ecco che guidati dal grande maestro André Bazin (che troverà in Truffaut il suo pupillo) i brillanti critici dei Cahiers si uniscono e danno vita alla Nouvelle Vague, in assoluto il primo movimento cinematografico della Storia del Cinema a descrivere per immagine sotto forma di testimonianza in tempo reale la realtà in cui esso stesso stava prendendo vita. Le opere di questo movimento sono distribuite a partire dal 1958, ma i film che metteranno in luce questa corrente saranno quelli presentati al festival di Cannes l’anno successivo.
Questa generazione si auto-descrive attraverso i film come in un Diario. Esattamente, perché con la Nouvelle Vague, l’opera cinematografica non è che una confessione del regista, un’estroflessione della sua sensibilità, un’appendice della sua vita, della sua anima, del suo intimo. I film, secondo la nuova onda non appartengono che a lui, all’uomo che li gira. Non allo sceneggiatore, allo scenografo, al direttore della fotografia, o agli attori, ma esclusivamente al regista che diviene vero e proprio (ed unico) scrittore di cinema. E’ LA POLITICA DEGLI AUTORI. L’autore, attraverso l’opera cinematografica, esprime la sua arte adottando determinate scelte stilistiche che caratterizzano la sua intera Opera. Perciò un film (secondo gli esponenti della Nouvelle Vague) non va mai giudicato fine a se stesso ma sempre in relazione alle altre opere del suo autore. Il film smette di essere mezzo di intrattenimento e si veste di un nuovo significato: diventa cosa privata, espressione personale di un artista.
Le differenze con il Neorealismo
La Nouvelle Vague pur emulando cospicuamente il Neorealismo italiano (tallonamento dei personaggi, budget limitati, location dal vero – spesso e volentieri per gli interni usano i loro appartamenti – importanza alle azioni quotidiane, commistione di toni portata all’estremo – la commedia si intrinseca con l’ansia, il dolore e la morte – predilezione per il bianco e nero) si distingue da esso per l’utilizzo di un’attrezzatura leggera e scarna. In ciò, sono molto avvantaggiati dalla messa in commercio di nuove tecnologie leggere ed economiche, come la mini reflex, la cinepresa 16mm (più silenziosa e meno pesante), il registratore portatile per la presa diretta e le pellicole più sensibili. Il loro obbiettivo è catturare lo splendore del vero e a tal proposito è corretto dire che la grande innovazione sta proprio nello Stile.
I neorealisti infatti adottarono un montaggio molto classico contrariamente alla Nouvelle Vague che predilige un montaggio completamente anarchico. I giovani autori francesi snobbano e infangano le antiche e tradizionali regole del montaggio tradizionale come il rispetto della continuità e i raccordi. Loro scelgono di scavalcare il campo e tagliare alcuni fotogrammi da un inquadratura (jump cut) tutto ciò – dicono – per avvicinarsi ancora di più al reale (nei sogni, nei ricordi noi non vediamo gli eventi con lucidità, ma li scorriamo a tratti, perdiamo informazioni. Sono tronchi, parziali, disordinati, confusi) e sicuramente anche per provocare. Oltre a ciò, sempre per evitare di compromettere la verità, i nuovi autori scelgono di eliminare ogni sorta di artificio tecnico (proiettori, costose attrezzature, scenografie complesse), prediligono la luce naturale, l’uso della camera a mano (Camera Stilò) e una troupe ridotta all’essenziale.
Gli autori e gli interpreti
Il costo delle pellicole è molto basso e ogni autore di finanzia la propria opera da sé. Tra i più grandi interpreti della corrente ricordiamo Claude Chabrol, Eric Rohmer, Jean Luc Godard (in assoluto il più innovativo fra tutti) e ovviamente Francois Truffaut. I primi film della Nouvelle Vague sono “Le Beau Serge” e “I Cugini” di Chabrol, “I quattrocento colpi” di Truffaut e “Fino all’ultimo respiro” di Godard.
A rendere riconoscibili le opere di Truffaut sono il realismo, la poeticità e un patetico (commovente, toccante) romanticismo. Con “I quattrocento colpi”, girato in circa due mesi e dedicato al suo maestro André Bazin, il regista inaugura il ciclo (cinque film – diverse fasi della vita) dedicato al personaggio di Antoine Doinel (suo ALTER EGO), con il quale condivide numerosissimi aspetti biografici. Truffaut, che inserisce in ogni suo film, riferimenti ai suoi registi ispiratori come Hitchcock, Lubitsch e Renoir, si occupa anche del genere giallo, di film romantici, commedie leggere e divertenti, saggi agrodolci sulla giovinezza e studi di ossessione psicologica. Spesso fa il verso al Noir americano inserendo la femme fatale nelle sue storie (come in Jules e Jim). Nei suoi film appaiono moltissime citazioni cinematografiche, è infatti noto come il metalinguismo sia una delle principali caratteristiche della Nouvelle Vague.
Ne “I quattrocento colpi”, oggetto d’interesse di molti studiosi di cinema è la Colonna Sonora. Per quanto riguarda il commento musicale, notiamo vari Temi che accompagnano il piccolo Antoine nelle sue peregrinazioni solitarie. I suoni dell’ambiente che lo circonda assumono un grande risalto. Tutto ruota attorno al piccolo protagonista. La scena del dialogo con la psicologa in riformatorio è emblematica in questo senso: sentiamo la voce della dottoressa ma non la vediamo, ad essere inquadrato per tutto il dialogo è solamente il piccolo Antoine.
Molto più drastico dell’amico e collega Francois, la cui intenzione è quella di rinnovare e arricchire il cinema commerciale bilanciando espressione personale ed esigenze di pubblico, Jean Luc Godard vorrebbe distruggerlo completamente. La sua è infatti un’opera più abrasiva e provocatoria. Come già accennato in precedenza, è Godard il vero innovativo, il più ardito sperimentatore della comitiva, quello che più degli altri sfrutterà le potenzialità del montaggio frammentario e discontinuo punteggiando le inquadrature di salti stridenti.
Ci basta guardare “Fino all’ultimo respiro”, realizzato abbattendo i costi di produzione così da avere massima autonomia espressiva, per renderci conto di quanto questo sia il vero film manifesto della Nouvelle Vague. Il regista, oltre a fare uso del jump cat, impiega attori poco noti (esclusa la Seberg), riprende in luoghi autentici, fa uso di illuminazione naturale, tallona i personaggi nascondendo la macchina da presa in un furgoncino realizzando in questo modo una sorta di fittizio reportage, rinuncia ad una sceneggiatura di ferro, predilige piani sequenza o inquadrature brevissime, colleziona scavalcamenti di campo, citazioni, richiami intertestuali e infrazioni sistematiche del linguaggio cinematografico (sguardi rivolti in macchina). Tutto ciò conferisce al film un effetto di spontaneità e immediatezza oltre ad un ritmo sincopato e irregolare. L’obiettivo di Godard era ridefinire la struttura dei film e il linguaggio cinematografico.
Se i primi film del regista vantano comunque una struttura drammaturgica abbastanza classica e trame per lo più lineari, con il passare degli anni diventano sempre più ibridi, caratterizzati da una struttura frammentaria, dall’uso della tecnica del collage, degli inserti non diegetici, magari di materiale di repertorio che non ha nulla a che vedere con la storia narrata.
Tra i volti noti della Nouvelle Vague ricordiamo Anna Karina, Jeanne Moreau, Jean Pierre Leaud, Jean Paul Belmondo, Brigitte Bardot e Jean Seberg.
Per poter commentare l'articolo occorre essere registrati su Senigallia Notizie e autenticarsi con Nome utente e Password
Effettua l'accesso ... oppure Registrati!