Da Hitler a Herzog – Horizonte des Kinos
Introduzione alla Storia del Cinema: Leni e l’Estetica del Nazismo, dall’Espressionismo al Noir e il Nuovo Cinema Tedesco
Non è semplice, capirete bene, parlare di una storia mondiale, sia pure quella del cinema, mantenendo un andamento cronologico, evitando salti all’indietro e all’avanti, digressioni, rimandi, improvvisi spostamenti geografici, perché, come è chiaro, certe cose, che siano queste avanguardie, la scrittura di manifesti, nuove sperimentazioni, invenzioni travolgenti possono avvenire contemporaneamente o a cascata come tessere, possono determinarsi o rimanersi totalmente indifferenti, possono stimolarsi o essere l’una reazione dell’altra.
Certe cose possono succedersi, certe altre sovrapporsi, ed è per questo che ora chiedendovi perdono ed attenzione, tornerò, lasciando l’Italia del cinema d’autore, alla Germania del regime Nazista, per raccontarvi una nuova storia interpretata da altri protagonisti.
“La grande intuizione di Hitler fu di usare la retorica del linguaggio e la potenza dei media. Del cinema nascente, della radio e della tv. Ascoltando le registrazioni dei suoi comizi si ha la sensazione di assistere a rappresentazioni teatrali. Di un attore enfatico ma di carisma innegabile.” (Filippo Del Corno)
Anni Trenta. Gli Stati Uniti vedevano nel cinema lo strumento ideale per iniettare nelle masse un po’ di sano American Way of Life (la giusta condotta) e per questo motivo fu creato il Codice Hays, a tutela della moralità e del decoro di Hollywood, dei suoi Divi e delle sue storie. Nel frattempo in Europa, i grandi dittatori capirono quanto il cinema fosse un perfetto strumento di propaganda, e scelsero di investirci i soldi dello stato. Mussolini per esempio, capì che il grande schermo poteva essere un ottimo mezzo attraverso il quale pubblicizzare le gesta del partito fascista e le gloriose imprese dell’Italia all’estero (cinegiornali).
Fu proprio per centralizzare la propaganda che costituì l’istituto LUCE nel 1924. Ma i suoi investimenti sulla settima arte non si limitarono a questo, il Duce nel 1932 inaugurò la Mostra del cinema di Venezia, nel ‘35 fu la volta del Centro sperimentale di cinematografia fondato da Luigi Freddi e di conseguenza Cinecittà (costruita dopo che gli studi della Cines furono distrutti da un incendio).
Hitler ugualmente, desiderava un cinema che sottolineasse la maestosa potenza della Nazione, il grandioso operato dei Nazisti e l’enorme superiorità della razza germanica. Tematica ricorrente dei film di propaganda nazista era l’elogio al patriottismo. Nel 1933 il governo nazista tentò di cacciare dall’Industria cinematografica tedesca tutti gli ebrei, i quali, assieme ad alcuni colleghi di sinistra lasciarono il Paese e si rifugiarono ad Hollywood, contribuendo (gli espressionisti) allo sviluppo di un genere cinematografico che avrebbe presto riscosso molto successo: Il Noir.
Goebbels, il ministro della propaganda che nel 1934 prese la guida dell’ufficio censura, sosteneva la maggiore efficacia di un cinema che intrattenesse ed affascinasse il pubblico rispetto ad un cinema nazionale esclusivamente incentrato nella sterile esaltazione del partito. La Germania inoltre, credendo nel capitalismo (differentemente dalla Russia) non confiscò, prendendo il potere, le case di produzione private, ma ne ottenne a mano a mano il controllo acquistandole pacificamente, una dopo l’altra. Tra i generi di successo c’era il Musical (memorabile “L’Angelo azzurro” del1930, diretto da Josef von Sternberg), ma tra quelli fortemente voluti da Goebbels c’erano i film contro i nemici del Terzo Riech (Russia e Regno Unito) e quelli antisemiti come il velenosissimo “Suss l’ebreo” (stereotipo degli ebrei avidi strozzini), o il documentario scientifico “L’Ebreo errante”, che avevano il fine di incentivare l’odio nazionale contro i giudei ed indebolire tra il pubblico l’opposizione ai campi di sterminio.
Merito e fortuna di Hitler fu quello di aver scoperto una talentuosa artista (attrice, ballerina e regista di film di montagna) che avrebbe cambiato le sorti del cinema, rinnovandone il linguaggio, era Leni Riefenstahl, la quale attraverso due capolavori come “Il trionfo della volontà” (documentario realizzato in occasione del congresso del partito nazista a Norimberga nel 1934) e “Olympia” (film del 1938 che documenta i Giochi olimpici di Berlino 1936) plasmerà una vera e propria Estetica del Nazismo. Il partito le mise a disposizione, in entrambe le occasioni, mezzi illimitati; tutto il necessario per dipingere una Germania vigorosa, forte, ma allo stesso tempo (per quanto concerne Olympia) affidabile membro della comunità mondiale, ciò, come è ovvio, per soffocare il timore di oppressioni naziste. Ricordiamo che a New York e a Barcellona fu organizzata una contro-olimpiade di boicottaggio.
Dall’Espressionismo al Noir
Come detto poco sopra, con l’imposizione del Nazismo in Germania, molti fra i più talentuosi registi tedeschi, quelli ebrei e quelli di sinistra, emigrarono negli USA, portandosi dietro la cultura visiva della madrepatria e conferendo l’aspetto figurativo tipico del cinema espressionista ad uno dei più fortunati generi del cinema americano, quello profondamente influenzato dalla letteratura Hard Boiled di Hammet e Chandler: il Noir. Da molti questo genere dalle atmosfere buie e cupe, dai personaggi oscuri, tormentati e corrotti, dalla realtà pesante, dura e marcia, è confuso con il Giallo, rispetto al quale, in realtà, si palesa una non sottile differenza. A non essere uguali, sono le atmosfere e le finalità. Il Noir non ha interesse alcuno a scoprire l’artefice di un delitto seguendo piste ed indizi come nel giallo classico con un investigatore puro ed un colpevole malvagio. Il Noir vuole solamente far compiere allo spettatore un percorso, un viaggio all’interno di una realtà sgradevole e putrida, nella quale non esistono eroi classici, eroi candidi, ma antieroi a loro volta peccaminosi, insomma i cattivi non sono poi tanto peggio di quelli che dovrebbero essere i buoni. Nel Noir si manda avanti la narrazione al fine di far trionfare il male che ogni personaggio custodisce nel proprio animo. Le vicende sono spesso narrate in prima persona, le donne sono fatali (Marlene Dietrich), i poliziotti sono ambigui e disonesti (Orson Welles/Hank Quinlan), le metropoli claustrofobiche, i protagonisti (Humphrey Bogart) sono ombrati e ricurvi sui loro tormenti e le coscienze sono torbide. Le caratteristiche comuni fra il Noir e l’Espressionismo tedesco non riguardano i temi, ma piuttosto le caratteristiche formali: uso di fortissimi chiaroscuri a simboleggiare la lotta fra bene e male, luci di taglio laterali e frontali.
Dopo il Nazismo: Il nuovo cinema tedesco
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, dalla quale la Germania uscì come il paese più massacrato, gli Stati uniti d’America assieme al piano Marshall, riversarono in Europa tutti i loro film. La repubblica federale tedesca, subì a pieno l’influenza del cinema hollywoodiano, nonostante la produzione nazionale si destreggiasse fra Haimat Film (film della piccola patria), genere più popolare fra tutti, oppure film di guerra, biografici e Trummerfilm (film di rovine), un genere questo che affrontava il tema della ricostruzione della Germania, logicamente problematica.
Solamente alla fine degli Anni’50, qualche regista che aveva vissuto la guerra da bambino, iniziò coraggiosamente ad occuparsi della Pesante eredità del Nazismo. Fortemente influenzati dal Neorealismo italiano e dalla Nouvelle Vague francese (dalla quale si differenzieranno per il forte senso pratico) alcuni cineasti firmeranno ad Oberhausen il Manifesto che darà origine al Nuovo Cinema Tedesco. Era il Febbraio 1962 quando ventisei giovani autori dichiareranno la morte del Papaskino (vecchio cinema dei papà) denunciandone la decomposizione e promettendo di riconquistare con le loro opere un nuovo plauso internazionale. Questi giovani registi, diversamente dai loro colleghi francesi, non snobbavano assolutamente il mondo della televisione, comprendendone a fondo la potenza come mezzo di divulgazione per le loro stesse opere. La televisione era infatti, diversamente dall’odierno Cinema, in grado di penetrare la società verticalmente ed orizzontalmente e si impegnava a finanziare i film dei giovani registi per poterne ottenere i diritti di trasmissione.
Attraverso questo manifesto, che denunciava la crisi dell’afflusso di pubblico nei cinema e naturalmente anche quella delle risorse finanziarie destinate alla produzione, i giovani autori tedeschi promettevano la nascita di un Cinema Libero che fosse slegato da qualsiasi condizionamento: culturale, commerciale ed estetico. Tra i principali esponenti di questo nuovo movimento cinematografico ricordiamo Warner Herzog, Edgar Reitz, Wim Wenders, Margherethe Von Trotta, Alexandre Kluge e Rainer Werner Fassbinder.
Nel 1965, venne fondato dal governo centrale il Kuratorium, con lo scopo di finanziare lungometraggi di autori emergenti a budget contenuto. Questi film ribattezzati Rucksackfilme (Film Zaino) erano caratterizzati dall’utilizzo di ambienti reali come location, interpreti pagati a buon mercato e tematiche rivoluzionarie che descrivevano una Germania contemporanea profondamente in crisi: sesso promiscuo, permanenza del razzismo nazista, matrimoni e amori in sfascio.
Warner Herzog fu (e tutt’ora è) un estremo sperimentatore dalla sensibilità fortemente romantica e altrettanto estremi furono pure gli argomenti trattati nei suoi documentari e nei suoi film di finzione, dal linguaggio poetico e dalle immagini evocative, ma ricchi di sottotesto, spesso politico, come “Aguirre furore di Dio”. Il film racconta la storia di un avventuriero del sedicesimo secolo che compie una spedizione nelle Amazzoni alla ricerca della città di El Dorado. Questi condivide con Hitler la capacità di portare un intero seguito allo sbando, e il desiderio di originare una “dinastia” superiore, più nobile: «Quando regnerò questa terra sposerò mia figlia. Avremo una razza pura». Famosi pure i suoi drammi criptici “Anche i nani hanno cominciato da piccoli” (1970) e “Fitzcarraldo” (1982). Tanto nei documentari quanto nei lunghi di fiction Herzog ha celebrato l’incontro dell’uomo con la fisicità del mondo, il rapporto di sfida che si crea fra questi e il desiderio perpetuamente disilluso dell’essere umano di addomesticare la natura, lo vediamo benissimo ne “Il diamante bianco” (2004) e in “Grizzly Man” (2005), per citarne due fra tutti. Suo attore feticcio fu il problematico e psicologicamente instabile Klaus Kinski.
Wim Wenders, di Monaco come Herzog, è passato da un cinema minimalista e anti-narrativo come quello dei primi tempi ad uno riflessivo e pittoricistico in età più matura; un cinema quest’ultimo in cui il racconto di viaggio viene elevato a tema principe di tutta una serie di opere On the road come “Alice nelle città” (1974), “Falso Movimento” (1975) e “Nel corso del tempo” (1976). Tra i suoi maestri ispiratori ricordiamo Ozu, Truffaut e Tarkovskij, dai quali ha acquisito la capacità di armonizzare il senso della narrazione con la bellezza dell’immagine. Allontanatosi fin dal principio della sua carriera dai temi politici, Wim Wenders si è spinto verso un cinema più introspettivo.
Tra i maggiori interpreti del Nuovo Cinema Tedesco ricordiamo Edgar Reitz, consacrato dalla critica di Venezia ‘84 come uno dei più autorevoli registi europei grazie al primo “Heimat” (composto da 11 episodi, per una durata totale di 15 ore e 40 minuti), con lui naturalmente Rainer Werner Fassbinder, Alexandre Kluge e Margarethe von Trotta che in “Anni di piombo”, forse il suo film più noto, analizza quella che è stata una delle più difficili lotte post-belliche ispirandosi alla vicenda delle sorelle Christiane e Gudrun Ensslin. Quest’ultima, membro della “Banda Baader-Meinhof”, è stata trovata morta nel 1977 assieme ai suoi compagni nella prigione di sicurezza di Stammheim.
Mentre il cinema di Kluge si misura con un linguaggio sperimentale facendo uso di collage, jump cut, carrellate e panoramiche con macchine a mano, accelerazioni e titoli distraenti, narrazione ellittica e frammentata, quello di Fassbinder, spesso grottesco e barocco lascia trasparire il gusto dell’autore nei confronti del forte realismo e della violenza esasperata. Oggetto della sua attenzione sono state gli atteggiamenti di vittimizzazione e conformismo nell’ambito delle dinamiche sociali dei gruppi. Estremamente prolifico, Fassbinder annovera tra i suoi film più noti: “Il matrimonio di Maria Braun” (1979), “Lili Marleen” (1981), “Lola” (1981), “Veronika Voss” (1982), mentre per Kluge sicuramente il più famoso rimane “Artisti sotto la tenda del circo: perplessi” (1968) vincitore del Leone d’Oro al miglior film alla 33ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Per poter commentare l'articolo occorre essere registrati su Senigallia Notizie e autenticarsi con Nome utente e Password
Effettua l'accesso ... oppure Registrati!