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Votare “sì” al referendum contro le trivellazioni: “Il gioco non vale la candela”

L'appello de La Città Futura per la consultazione del 17 aprile. E qualche dato per saperne di più

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Onoranze Funebri F.lli Costantini
Una piattaforma per l'estrazione di idrocarburi, trivelle, trivellazioni

Il 17 aprile 2016 si svolgerà il referendum per decidere se, alla scadenza delle concessioni, si dovranno sospendere o no le trivellazioni per estrarre gli idrocarburi nei tratti di mare compresi entro 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri). Per noi di Senigallia e dintorni che viviamo sul mare Adriatico e che tutti, più o meno direttamente, al mare siamo legati, c’è un motivo semplice, ma decisivo, per votare SI il 17 aprile: il gioco non vale la candela.

Le piattaforme interessate dal referendum hanno coperto, nel 2015, solo lo 0,9% e il 2,8% del consumo nazionale rispettivamente di petrolio e gas naturale. Poco gas e pochissimo petrolio che una volta estratti non sono più “nostri”, sono di chi li estrae, a noi, come Stato italiano, restano pochi spiccioli: il gettito fiscale complessivo che in Italia generano le attività interessate dall’estrazione di idrocarburi è pari a 200-300 milioni di euro annui. L’entità delle royalties che ricaviamo dalle estrazioni entro le 12 miglia è molto, ma molto minore.

Qualcuno riesce a quantificare il danno al nostro turismo che provocherà la visione delle immagini diffuse dalla Tv della piattaforma che scarica acqua inquinata in mare 13 miglia al largo di Fano? E non certo per colpa degli autori del documentario, sia chiaro. (//goo.gl/M4MNgC)
Perché non è vero che le trivelle sono innocue, Greenpeace, in particolare, ha recentemente illustrato i danni causati dalle trivellazioni marine, riportando i dati di un monitoraggio effettuato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) per conto dell’Eni, dai quali si evince che i campioni di acqua prelevati vicino alle piattaforme presentano alte concentrazioni di idrocarburi e di metalli pesanti cancerogeni, come cromo, nichel e piombo, ma anche di arsenico, cadmio e mercurio.
E se succedesse un incidente, anche piccolo, a una trivella in Adriatico? Di quante migliaia di milioni di euro sarebbero i danni per l’ambiente, per la nostra pesca e per il nostro turismo? Chi è in grado di fare questo calcolo? Si, perché gli incidenti alle trivelle possono succedere, sono successi. (//goo.gl/hcoeUo)

Ma se i nostri vicini stanno dando nuove concessioni per estrazioni in mare a che serve bloccarle qui da noi? Il governo croato e il governo francese hanno annunciato una moratoria contro le nuove trivellazioni, inoltre Parigi chiederà che il bando alle perforazioni sia esteso a tutto il Mediterraneo, in considerazioni degli alti rischi ambientali. (//goo.gl/C0juF9)

Il petrolio e il gas serviranno ancora per molti anni, lo sappiamo. Ma è bene chiarire che la vittoria del SI non comporterà la chiusura immediata degli impianti di estrazione che si trovano entro le 12 miglia marine: essi, infatti, verranno dismessi gradualmente, alla scadenza delle loro attuali concessioni, le quali termineranno tra il 2016 e il 2034. Ciò permette di immaginare agevolmente la possibilità di ricollocare quelle poche migliaia di lavoratori occupati nelle attività estrattive attraverso una adeguata politica di valorizzazione delle grandi risorse di energia rinnovabile di cui il nostro paese dispone (e che già occupano un totale di 82.500 addetti).

Il futuro energetico dell’Italia non dipende certo dalle piattaforme entro le 12 miglia dalle coste, il 73% sono già da rottamare. Sono non operative, non eroganti o erogano così poco da non versare neppure un centesimo di royalties nelle casse pubbliche. Sono vecchie e spilorce.
Dai dati presenti sul sito del Ministero per lo Sviluppo Economico relativi alla produzione delle piattaforme oggetto del referendum del prossimo 17 aprile si apprende che in 3 casi su 4 si tratta di impianti il cui ciclo industriale è chiaramente esaurito, perché non producono o lo fanno in quantità insignificanti. Delle 88 piattaforme operanti entro le 12 miglia, ben 35 non sono di fatto in funzione: 6 risultano “non operative”, 28 sono classificate come “non eroganti”, mentre un’altra risulta essere di supporto a piattaforme “non eroganti”. Dunque, il 40% di queste piattaforme resta in mezzo al mare solo per fare ruggine.
Ci sono poi altre 29 piattaforme che sono considerate “eroganti” ma che in realtà da anni producono così poco da rimanere costantemente sotto la franchigia, cioè sotto la soglia di produzione (pari a 50 mila tonnellate per il petrolio, 80 milioni di metri cubi standard per il gas) che esenta i petrolieri dal pagamento delle royalties. In altre parole, quasi un terzo delle piattaforme entro le 12 miglia produce al di sotto dei limiti della franchigia (in alcuni casi da oltre 10 anni) e quindi non versa neanche un centesimo di royalties alle casse pubbliche.
Solo 24 piattaforme operano abitualmente estraendo idrocarburi al di sopra della franchigia: rappresentano appena il 27 per cento delle piattaforme entro le 12 miglia.

Il petrolio e il gas serviranno ancora per molti anni, è vero. Eppure qualcosa sta cambiando e molto velocemente, anzi, a ben guardare, è già cambiato. Le energie rinnovabili stanno avanzando prepotentemente in tutto il mondo, banche, assicurazioni e fondi d’investimento si stanno disimpegnando dalle società che sfruttano il petrolio e i padroni storici dell’oro nero, i reali dell’Arabia Saudita, hanno fatto sapere che pensano di quotare in borsa la loro Aramco, che è titolare delle maggiori riserve petrolifere del pianeta con una produzione record di oltre 10 milioni di barili al giorno. Il ministro del Petrolio di Riad, si, il ministro del petrolio, dice che vorrebbero investire nel sole del deserto e nel fotovoltaico.
Già dal 2013 è avvenuto il “sorpasso” delle rinnovabili sulle fonti fossili, ogni anno la nuova potenza installata nel mondo è in prevalenza alternativa, nel 2013, l’anno della svolta, sono stati installati 143 gigawatt di fonti pulite contro 141 gigawatt di fonti fossili e, secondo le previsioni di “Bloomberg New Energy Finance”, nel 2030 le nuove installazioni di potenza pulita supereranno di quattro volte quelle di gas, carbone e petrolio assieme.
Poi c’è il rapporto di Greenpeace, “Revolution 2015-100% renewable energy” (//goo.gl/gJ6Qu1), ebbene, un pianeta 100% rinnovabile entro il 2050 non solo è possibile, è anche conveniente. L’investimento necessario per raggiungere l’obiettivo di soddisfare interamente il fabbisogno energetico entro il 2050 con fonti rinnovabili sarebbe più che ripagato dai risparmi derivanti dall’abbandono dei combustibili fossili.

Il nostro Paese che dovrà, assieme all’Europa, ridurre le proprie emissioni almeno del 60-70% entro il 2050 non può e non deve temere un impegno così contenuto.
Questo referendum, dalla gittata apparentemente minima, ha invece un potere dirompente, perché la vittoria del SI può mostrare che la strada verso la democrazia energetica, verso una promozione sostenibile dei talenti sani dei nostri territori (paesaggio, cultura, turismo, pesca e agricoltura sostenibili, eccellenze agro-alimentari) è segnata e che non si torna più indietro.
Un SI fermo e collettivo può essere il sasso che Davide scaglia contro Golia.

Allegati

Video de La Città Futura

Fabio Polonara: scenari energetici alternativi

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ENZO DI SALVATORE – Senigallia 5 aprile 2016 (prima parte)

ENZO DI SALVATORE – Senigallia 5 aprile 2016 (seconda parte)

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