La parola ai “parcheggiatori” di Senigallia
Quattro dei migranti che spesso stazionano vicino all'ospedale: "Avevamo un lavoro qui in Italia, ne vorremmo un altro vero"
Entriamo con la macchina nel parcheggio dell’ospedale di Senigallia, sono le 11 e mezzo e non c’è un posto neanche a pagarlo. Facciamo un giro, vediamo auto parcheggiate ovunque, quando da un gruppo di migranti si avvicina un ragazzo che dice: “aspettate che c’è un posto libero”.
Ci guardiamo con aria interrogativa, ma dopo pochi secondi una macchina davanti a noi esce dal posteggio e ci infiliamo lì. Scendiamo, ringraziamo per la dritta ed il nostro parcheggiatore ci propone dei calzini. Io ne prendo, perché mi servivano.
Ci presentiamo, scopriamo che il ragazzo non è poi così giovane: si chiama Low, ha 37 anni e viene dal Senegal. Abita a Senigallia da 7 anni, prima ha vissuto in Germania e a Parigi con suo cugino. Non è solo al parcheggio, ce ne sono altri tre con lui, anche loro originari del Senegal: Palmor, in Italia da 8 anni, Modu, 3 anni a Torino e da due in città ed un ultimo di cui non afferriamo bene il nome. Il loro italiano non è perfetto ma più che sufficiente per capirci. Intuiscono che non dobbiamo andare all’ospedale e chiariamo perché siamo lì: “siamo di Arvultùra, lo Spazio Autogestito di Senigallia. Siamo qui perché alcune settimane fa, in questo parcheggio, c’è stato un presidio a sfondo razzista. L’avete visto?”“No, perché siamo scappati”; e noi: “Siete scappati ed avete fatto bene, ma se volete, ora gli potete rispondere. Vi chiediamo solo di raccontarci la vostra storia”.
Al parcheggio dell’ospedale lavorano a giorni alterni due squadre di quattro persone, tutte senegalesi. Per comodità li si definisce parcheggiatori abusivi, ma anche un bambino riconoscerebbe subito la differenza tra loro e gli affiliati alla criminalità organizzata che nelle grandi città gestisce questo tipo di business. Chi invece non sa di cosa parla e si arroga il diritto di usare parole come “estorsione” e “pizzo” farebbe meglio a farsi un giretto là dove sono i veri problemi. “A me non piace stare qui a vendere i calzini e chiedere i soldi alla gente, vorrei un lavoro vero” ci dice Low, sorride e continua “e poi qui al parcheggio non si vedono belle ragazze…”.
Le loro storie sono simili: sono arrivati in Italia in maniera regolare; Low lavorava alla Baioni di Monte Porzio, Palmor ha lavorato per anni alla Pershing di Marotta, Modu quando era a Torino lavorava nell’agricoltura. Poi tutti e tre hanno perso il posto ed ora, quando possono, fanno lavori saltuari e quando non trovano niente di meglio, vengono al parcheggio.
Low ha diverse esperienze alle spalle: è stato collaboratore domestico, ha montato pannelli solari, ha fatto la vendemmia e, grazie all’Opera Pia Mastai Ferretti, è riuscito a lavorare per sei mesi durante l’estate; “quando c’è lavoro” dice “io lavoro anche il sabato e la domenica, perché mi pagano di più”. I soldi infatti gli devono bastare anche per quando lo stipendio non c’è e deve comunque pagare affitto, bollette e sostenere la moglie e la figlia rimasti in Senegal. Ascoltando le loro storie è facile capire come i migranti siano le prime vittime della crisi di un sistema che li ha accolti quando servivano alla produzione ed ora vorrebbe rispedirli indietro, quasi fossero dei resi. Basti vedere i dati dell’Istat, i quali rivelano che dal 2007 il numero di migranti che ha perso il lavoro è doppio rispetto a quello degli italiani.
Ci racconta tutto questo e non smette quasi mai di sorridere, ripete più volte che la maggior parte degli italiani è gentile. Gli spieghiamo che tuttavia qualcuno sembra sentirsi a disagio con loro e qualcun altro si permette di definirli addirittura accattoni. “Non siamo cattivi, se facciamo i parcheggiatori è perché non vogliamo rubare, non vogliamo vendere droga, e cerchiamo semplicemente di sopravvivere. Quando troviamo un portafoglio, delle chiavi o dei documenti per terra li portiamo all’ospedale o alla polizia, puoi andare a chiedere. Proviamo sempre a dare una mano. Ad esempio, quando c’è stata l’alluvione, per una settimana siamo andati volontariamente a spalare il fango”. E continua “qualcuno esce di casa già arrabbiato e quando ci vede si sfoga su di noi”. Probabilmente il fatto che sia il parcheggio di un ospedale non li aiuta.
Passa una donna italiana, sulla quarantina, saluta Low e gli chiede come sta; si ferma un attimo a parlare. Si chiama Francesca ed ha un familiare all’ospedale, ci dice che a lei i ragazzi sono simpatici: “non ci sono problemi. Vengo qui quasi tutti i giorni e hanno capito che non posso lasciare dei soldi ogni volta”.
Alcuni dicono che sono troppo insistenti. Qualcuno (a cui fa comodo) li accusa di fantomatiche minacce. Low per un attimo smette di sorridere e risponde: “siamo tutti diversi, come le righe sul palmo di una mano. Se vedo uno di noi che insiste con qualcuno io vado e gli dico di smettere, che se non vuole lasciare niente non importa. A noi non piace stare qui”.
Questa però è solo la metà della risposta, l’altra metà era nei suoi occhi e purtroppo non è possibile tradurla in parole.
Spesso, nella frenesia delle nostre vite, non riusciamo a mettere a fuoco ciò che ci sta intorno. Ad esempio, secondo i dati dell’Inps, i migranti sono indispensabili a tenere in piedi il nostro sistema produttivo nonché pensionistico, poiché la stragrande maggioranza di loro è in età lavorativa, mentre la popolazione italiana invecchia sempre più. Inoltre fanno i lavori meno qualificati, spesso a condizioni umilianti.
Quindi perché a qualcuno fa comodo presentarci queste persone come un problema? Forse perché non dobbiamo fermarci a riflettere sulla realtà di un sistema che concentra la ricchezza nelle mani di pochi e impedisce di fatto la redistribuzione delle risorse tra chi, questo sistema, lo sostiene con la propria vita e il proprio lavoro. Una settimana fa il rapporto Oxfam 2015 ha rivelato che in Italia l’1% dei più facoltosi detiene un quarto dell’intera ricchezza nazionale. A questo punto, forse, dovremmo riconsiderare quali sono le vittime e quali i carnefici.
1) " i migranti sono indispensabili a tenere in piedi il nostro sistema produttivo nonché pensionistico". Falso. Anzi sono un enorme costo sociale." I capitoli più costosi sono la sanità (3,6 miliardi) e la scuola (3,4). I trasferimenti monetari (assegni familiari, pensioni e sostegni al reddito) valgono 1,6 miliardi. Eclatante il dato della giustizia: 1,75 miliardi […] Un immigrato che accetti di essere registrato nei centri di accoglienza costa alla collettività 2.400 euro."
2)" fanno i lavori meno qualificati, spesso a condizioni umilianti." Falso. Accettano lavori a prezzi che un "italiano" (costretto a pagare tasse, sanità, scuola, ecc.) non può sostenere, alimentando così un mercato al ribasso.
Un saluto a tutti i lettori di Senigallia Notizie.
http://www.repubblica.it/economia/2015/10/17/news/il_lavoro_straniero_vale_10_miliardi_e_paga_le_pensioni_a_620_mila_italiani-125255213/
Infine il problema di un mercato del lavoro al ribasso è dovuto all'assenza di normative, quali il salario minimo, e alla libertà di applicazione dei contratti nazionali (vedi Pomigliano). Dire che la colpa è dei migranti è come trovarsi sotto un temporale e lamentarsi della pioggia invece di aprire l'ombrello.
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