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Strano caso di spettatori sotto ipnosi

Si sospettano manipolazioni disoneste. Ce le spiega "Screenshot"

Pizzeria ZeroZero
Audience, spettatori

La verità è che sono almeno dieci minuti che fisso la pagina bianca, cercando di trovare un metodo accattivante per introdurre questo nuovo pezzo dedicato alla Sceneggiatura, ma ogni idea che mi raggiunge, appare così fuori contesto che, rendendosene lei stessa conto, si limita ad osservare la situazione affiancandomi, per poi sorpassare senza ritegno continuandomi a guardare dallo specchietto retrovisore con un risolino ebete di soddisfazione, fin quando non le sopraggiunge la voglia di prendere velocità e seminarmi del tutto.

Di buoni motivi per parlare, e anzi, per voler leggere un articolo su quest’argomento, a mio avviso, ce ne sarebbero a bizzeffe, il problema è che forse, per una sfortunata “incoincidenza”, non risulterebbero altrettanto buoni ai vostri occhi.

Scelgo quindi di avvalermi delle parole di Haward Hawks, il famoso regista di Gli uomini preferiscono le bionde (1953) e di innumerevoli altre grandi opere come Scarface (1932) e Il fiume rosso (1948), secondo il quale, per un buon film c’è bisogno di una buona sceneggiatura, una buona sceneggiatura ed infine … una buona sceneggiatura!

Dunque sarebbe ridicolo contestare un cineasta di tale levatura non ammettendo l’essenza fondamentale di quest’ultima all’interno dell’intero processo cinematografico di creazione d’un opera e ancora più sciocco sarebbe sottovalutarne l’efficacia che la conoscenza di questa e delle sue regole potrebbe assumere nei vostri riguardi.

Perciò, facendo leva anche sull’esigenza, sentita da molti fra i non professionisti o amatori di cinema, di apprendere definitivamente la differenza fra “sceneggiatore” e “scenografo”, così da evitare di mettere a repentaglio brillanti conversazioni o di perseverare in noiosi misunderstanding, direi di proseguire, o meglio, di dare inizio al nostro approfondimento in merito allo Storytelling audiovisivo e quindi dello Script.

Per garantirvi una più lieta ed interessante lettura e per permettervi di godere di esempi e nozioni più elevati rispetto a quelli che potrei farvi e darvi io con le mie uniche, ancora acerbe, forze/conoscenze, farò ampio riferimento, durante questa riflessione, alla lezione di Sceneggiatura tenuta lo scorso martedì 13 ottobre 2015 alla Civica Scuola di Cinema di Milano, da Richard Krevolin, noto docente di importanti e prestigiosi istituti statunitensi come la UCLA Film School (Università che fra gli alunni celebri vanta Francis Ford Coppola, Paul Schrader, Tim Robbins, James Dean ed altri ancora di pari levatura).

Sapere che cos’è una sceneggiatura e conoscere le regole e i meccanismi che le appartengono, non è utile e necessario solo a chi desidera dedicarsi ad una professione in ambito cinematografico/televisivo, ma anche a tutti coloro che, come la maggior parte di Noi, rappresentano il Pubblico. Spettatori passivi del prodotto audiovisivo stesso, che quando è “onesto” si palesa come finzionale ed artefatto (film, serie tv, cartone animato) permettendoci di adoperare un immaginario filtro “solare” protettivo, e quando è, sempre più spesso, “legalmente disonesto” ( talent show, talk show, reality show) ci manipola legittimamente nutrendoci di false verità ipercaloriche rendendoci dei grassoni mentali, avvezzi alla bulimia TELE-visiva (il metaforico frigorifero che andrebbe incatenato per estinguere questo disturbo alimentare/audiovisivo è tanto la TELEvisione, quanto il TELEfonino).

Per introdurre la lezione, il professor Krevolin, assumendo a garanzia le sue esperienze come sceneggiatore, drammaturgo, romanziere, script doctor e consulente alla sceneggiatura per le principali case di produzione Hollywoodiane, e naturalmente memore del tipico orgoglio dei giovani, palesa subito uno dei DOGMI del mestiere dello sceneggiatore: “L’esca deve avere un buon sapore per il pesce, non per il pescatore”, riassumendo, in poche parole proverbiali, tutto ciò che un professionista dovrebbe ricordare sempre: non scrivere cose che piacciono a se stesso, ma al pubblico; rendere il prodotto accattivante per lo spettatore, premendo in maniera efficace quei Buttons (pulsanti) necessari per scuoterlo emotivamente, in modo da ricevere dal fruitore stesso quelle determinate risposte e reazioni che si era premeditato di ottenere. In poche parole: essere degli ottimi Manipolatori.

Facendo un piccolo passo indietro, torniamo alla fastidiosa scissione fra prodotti onestamente manipolanti e prodotti disonestamente manipolanti. A nessuno di noi piace sentirsi dare della vittima, per di più ingenua, come a nessuno di noi piacere esserlo, quindi vediamo di fare chiarezza e comprendiamo il perché tutti quanti, inevitabilmente siamo o siamo stati condizionati premeditatamente da un prodotto audiovisivo.

Quando ci accingiamo ad ascoltare un racconto, leggere un romanzo o guardare un film, siamo ben consapevoli che la materia di quell’opera ci persuaderà a provare determinate emozioni e nutrire determinati sentimenti. Ci piace l’horror per la sensazione che ci dà, così come adoriamo i film romantici perché ci fanno sognare e i drammatici straziacuore perché siamo masochisti inclini all’autopunizione emotiva catartica e purificatrice. Insomma siamo consapevoli degli effetti che tali prodotti avranno su di noi e li scegliamo proprio per questo motivo e con questo criterio. Si parla quindi, di prodotti onestamente manipolatori poiché la vittima è consenziente.

Quando invece quest’ultima non è disposta a lasciarsi iniettare l’influenza mediatica (che pur condividendo con esso le procedure, non è certamente un Vaccino anti “idiozie televisive”), ma viene subdolamente da questa punta ed infettata, allora parliamo di prodotti disonesti. Passerei subito ad un esempio. Se nel noto programma Uomini e Donne, tanto gli uni quanto le altre fossero gentili e rispettosi nei reciproci confronti, non ci sarebbero insulti volanti, tiramenti di capelli, e neppure pianti isterici, ma naturalmente non ci sarebbe neppure l’audience. Questo perché? Perché gli sceneggiatori del noto programma defilippiano, avendo studiato, sanno perfettamente che il pubblico vuole le scazzottate tra le concorrenti, così come duemila anni fa voleva vedere i truci ed unti gladiatori massacrarsi nell’arena. E’ per questo motivo che in ogni puntata di ogni stagione di ogni reality show c’è il litigio, l’insulto e la violenza, così come non può mancare l’amore, altro elemento che tiene incollato lo spettatore allo schermo. Vogliamo parlare poi della suspense? Eliminazioni, nomination, vittorie, perdite, esterne con quella, interne con quell’altra, le scelte difficili, le crisi, i lamenti, le buste che si aprono, i venti minuti che si attendono prima che la Marcuzzi legga il fatidico nome dell’eliminato. Tutto, tutto ciò che è essenziale per aspirarvi nel tubo catodico, loro lo inseriscono premeditatamente e per uno scopo ben preciso. Tutto è scritto, tutto è sceneggiato. Guardare il Grande Fratello è come affittare un film al sapore “tutti i frutti”: comico, romantico, giallo, del terrore. Ogni genere a vostra disposizione. Vi vendono un colossal spacciandolo per verità, manipolandovi senza la fatica di dover tentare di scavalcare quelle barriere e quei filtri che solitamente adoperate quando siete consapevoli di guardare un’opera di finzione.

Rimanendo in tema di prodotti disonesti, voglio tornare allo stimato professore americano e alla sua brillante masterclass di sceneggiatura. Quest’ultimo, mantenendo un ritmo vivace e un tono leggero (un po’ da showman) ed intervallando le sue spiegazioni in inglese con qualche parolina in italiano, pronunciata male, ma incredibilmente efficace per far rimanere il suo pubblico concentratissimo e vivace, sceglie di illustrare il famoso Paradigma americano (ideato dallo sceneggiatore Sydney Alvin Field) mostrandoci un video tutt’altro che prevedibile ed usuale.

Com’è scontato, molti di voi non conosceranno il sistema concepito da Syd Field, quindi ruberei qualche riga per non ostacolare la comprensione delle successive esposizioni. Il Paradigma di cui sopra, non è altro che un modello, una mappa, un esempio, o se preferite, uno schema concettuale dell’aspetto che “deve” avere una sceneggiatura, per essere funzionale.
Anche questa volta torno a parlarvi della divisione in tre atti di stampo aristotelico. Secondo Field, considerando una sceneggiatura di centoventi pagine e quindi un film potenzialmente di due ore (solitamente ad una pagina di sceneggiatura corrisponde un minuto di film), la prima parte dovrebbe essere di trenta pagine (impostazione), la seconda di sessanta (confronto) e la terza nuovamente di trenta (risoluzione).

Alla fine del primo e del secondo atto, troviamo il colpo di scena, indispensabile per aumentare la curiosità del pubblico.
Detto ciò, proseguirei mostrandovi il video, che moltissimi di voi (se non tutti) avranno già visto, scelto da Mr. Krevolin per renderci chiaro il modello di Field. E’ molto breve, portate attenzione e cercate già autonomamente di rintracciare la struttura poco sopra enunciata.

Molto bene, abbiamo appena assistito ad un “geniale” esempio di grande televisione, e assolutamente non mi riferisco all’alto livello culturale del programma, ma alle tecniche di sceneggiatura, di montaggio e di costruzione del personaggio ideate dagli autori dello show sotto analisi, tale “Britain’s got talent”.

Il video che abbiamo appena visto ha fatto letteralmente il giro del mondo in poche ore dalla sua messa in onda, riscuotendo milioni e milioni di visualizzazioni, e Susan Boyle, è passata in poco tempo da nullità a icona, ha inciso sei album dal 2009 ad oggi e ha cantato davanti al Papa. Ciò che abbiamo appena visto è materiale potenziale per un lungometraggio di successo, racchiuso in sette minuti. Ci ha fatto emozionare, sperare, rabbrividire dalla gioia e dalla commozione. Ci ha manipolato in maniera impeccabile, premendo quei bottoni “giusti” di cui parlavamo poco fa e dandoci ciò che necessitavamo per rimanere incollati al televisore.

Andiamo però con ordine e cerchiamo di rintracciare il Paradigma di Syd Field.
Avete avuto modo di analizzare la struttura, o vi siete abbandonati all’emozione? Nessun problema, per chi non ci fosse riuscito, lo rifacciamo insieme.
Vi sarete accorti che i primi quaranta secondi sono stati utilizzati per presentarci il personaggio con il suo background. Ci sono state date informazioni importanti, elementi sensibili, che hanno fatto in modo che noi (pubblico) empatizzassimo con Susan (protagonista) e ci mettessimo dalla sua parte. La conoscenza del personaggio, del suo passato, dei suoi sentimenti e dei suoi obbiettivi, è una componente essenziale in una sceneggiatura.

Da notare anche che, nonostante l’altissimo budget in possesso della trasmissione, a Susan non è stato migliorato l’aspetto esteriore intervenendo con costumista, truccatore e parrucchiere (cosa che spesso o sempre avviene in questo genere di programmi). Secondo voi per quale motivo? Naturalmente, proprio perché la Boyle doveva farci tenerezza, doveva apparire debole e quanto mai distante da una celebrità. Il pubblico doveva provare compassione, e doveva sperare e sognare con Susan.

Costruzione del personaggio? Impeccabile, ma il primo atto non si è ancora concluso. Abbiamo infatti, poco dopo, conosciuto gli antagonisti (anche questi perfettamente ideati, attraverso l’utilizzo di un montaggio che concentrandosi sui primi piani ce li ha mostrati cinici, cattivi, pregiudiziosi e maligni). L’aver visto il viso dei giudici e quello degli spettatori presenti nel teatro, assumere smorfie di scherno nei confronti della nostra eroina, ci ha infuriati, ci ha fatto sentire il senso di ingiustizia e ha reso possibile l’aumento della nostra solidarietà nei confronti della sfortunata concorrente.

Il secondo atto si apre, come di regola, seguentemente al primo colpo di scena, ovvero l’attacco di Susan che ha reso palese la sua conoscenza dell’arte canora. Per tutto il secondo atto vediamo la Boyle che canta in maniera meravigliosa (da notare le parole della canzone che riassumono efficacemente la sua esistenza sfortunata e il suo senso di fallimento) superando ostacoli (le note difficili che conquistano pubblico e giuria) fino a giungere all’ultimo colpo di scena che chiude il secondo atto, quell’acuto difficilissimo che Susan prende brillantemente conquistando lacrime e applausi.

Ed ecco che arriviamo al terzo atto, la fine è sempre più vicina. La protagonista sa di aver cantato splendidamente, lo notiamo anche dalla sua postura che, rispetto alla sua entrata in palcoscenico, appare meno goffa e più teatrale. E’ finalmente sicura di sè, ma sa pure che come tutte le altre volte in cui ha partecipato a concorsi, sarà il brutto aspetto fisico a vincere sulla sua bravura, impedendole il reale successo. La nostra eroina prende l’applauso, abbassa la testa tristemente e fa per andarsene, ma come è ovvio viene richiamata dentro e con suo enorme stupore riceve complimenti meravigliosi ottenendo tre sì.

La trasformazione è avvenuta, da anatroccolo a cigno. Susan Boyle ha raggiunto il suo sogno, si emoziona e noi piangiamo con lei.
Lieto fine del film, ehm… pardon!… del videoclip.

PS: Innegabile che anche l’efficace lavoro di post produzione (colonna sonora e montaggio), abbia da riscuotere la sua enorme fetta di merito per la riuscita di questa “audizione”, proprio come accade in un’opera cinematografica, che senza gli elementi sopra parentesizzati non riuscirebbe nel tentativo di Manipolazione…. in questo caso, Onesto.

Giulia Betti
Pubblicato Domenica 18 ottobre, 2015 
alle ore 14:39
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