1968. Venezia deserta. Venezia anno zero.
Screenshot ricorda una pagina buia della storia del cinema italiano
“A chi parlava di statuto fascista è stata offerta la prova fisica che non solo di statuto fascista si trattava, ma tout court di Festival fascista di fronte alla scelta della direzione e della presidenza di schierare una sproporzionata quantità di forze dell’ordine, e di fronte poi al silenzio vigliacco della stampa” Adriano Aprà, critico cinematografico.
Se ne stavano in mezzo alla folla, alcuni piangevano spaventati, troppo fragili per essere dei rivoluzionari, altri gridavano ed inveivano contro le forze dell’ordine, contro la presidenza e la direzione della Mostra internale d’arte cinematografica di Venezia, contro i padri padroni, contro i fascisti.
Erano vicini ai loro compagni, uniti verso un obbiettivo che era quello di rivendicare il Cinema come proprio linguaggio, come medium di richiamo universale. Quel codice transnazionale che non si era estromesso dalla creazione di miti e di moti rivoluzionari. Il Cinema aveva contribuito a diffondere le idee del 1968. Lo aveva fatto attraverso il messaggio filmico, attraverso il mezzo cinematografico e attraverso i luoghi “incubatore” come le associazioni culturali, i cineforum, i cineclub, che altro non erano che fertili palestre di riflessione, discussione e confronto politico, frequentate assiduamente dai giovani degli anni’60.
Non erano professionisti del settore, non erano grandi registi, autori, sceneggiatori, non erano membri dell’ANAC, quelli c’erano, ma in quel momento si trovavano all’interno delle strutture della Biennale a cercare di rintracciare un punto di incontro con il direttore Luigi Chiarini e la presidenza del festival per gestire in comunione la mostra del cinema.
Loro, gli studenti, se ne stavano fuori ad aspettare, a ricordare quei coetanei che già si erano o si sarebbero battuti per la stessa causa alla Mostra del cinema di Pesaro, a Cannes, a Berlino, Locarno e San Sebastian.
“E’ necessario strappare la maschera della Borghesia, anche con il pugnale della macchina da presa” Goffredo Fofi, critico cinematografico.
Tra questi giovani c’erano Franco detto “Pacio” e Ettore, meglio noto come “Il Vignetta”. Avevano diciotto il primo e ventitrè anni il secondo. Li si vedeva sempre insieme, dov’era l’uno, l’altro sarebbe presto arrivato, dove andava l’uno l’altro era già lì a precederlo.
Il Maggio trascorso avevano portato il loro supporto a quegli studenti barricati oramai da mesi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, e nel Giugno seguente erano tornati nella Serenissima per prendere parte al gruppo di manifestanti intenzionati ad occupare i luoghi simbolo della regina dell’Adriatico, riscontrando ben poco successo a causa del presidio di numerosi agenti della polizia che si affrettarono ad evacuare e sbarrare gli accessi. Quello stesso giorno un corteo, al quale presero parte anche loro, si diresse verso Piazza San Marco ed un gruppo di manifestanti riuscì a raggiungere il pennone di centro, issando in cima una bandiera Rossa. Ricordi recenti che riaffioravano per consolarli ed alimentare il loro credo.
Intanto, poco lontano, proprio come i pittori e gli artisti qualche mese prima, sono i cineasti a rivendicare la necessità di una Mostra che fosse laboratorio permanente di ricerca, incontro e sperimentazione. Registi, autori, uomini e donne di cinema si schieravano per l’abolizione dei gran premi e dell’ufficio vendite, simbolo della mercificazione dell’arte. Per l’occasione nacque il “Comitato di coordinamento per il Boicottaggio”. L’obbiettivo principale era protestare nei confronti dello statuto della mostra, risalente al fascismo. Volevano attirare l’attenzione dell’opinione pubblica facendo annullare la giornata dell’inaugurazione del grande evento cinematografico.
Franco ed Ettore se ne stavano ad aspettare, lì fuori, ammassati assieme agli altri come belve in un carro bestiame. Sudore, urla, fumo, droghe leggere e striscioni erano testimoni e alleati del fermento studentesco. Qualche ora prima si erano mossi in corteo fianco a fianco con i “cinematografari” fino alle porte della mostra, ma Luigi Chiarini aveva ordinato la sospensione dell’evento e lo sbarramento del palazzo. Tutti gli ingressi erano presidiati dalla polizia.
Mentre quella sera nel palazzo si svolgevano le assemblee dei giornalisti e dei cineasti, i giovani studenti inveivano dall’esterno contro le tradizioni del padri e contro Luigi Chiarini.
A dire il vero, la vita di quest’ultimo all’interno della Mostra del Cinema di Venezia non fu mai idilliaca ed agevole. Il suo esercizio come direttore dell’evento di cinema più importante nel panorama italiano era perpetuamente attaccato tanto dalla Destra, per la sua politica di intellettualizzazione del Festival a scapito della sua dimensione mondana, quanto dalla Sinistra, per il suo non volersi emancipare dallo statuto fascista in vigore nella mostra dalla sua origine e per l’impossibilità di dissociare la manifestazione dagli interessi commerciali.
“La mostra non ha il compito di correre dietro ai gusti del pubblico o di far pubblicità ai film con i legittimi modi propri dell’industria, ma di diffondere sempre più il gusto per i film di buon livello e per quegli aspetti che pongono il cinema tra le manifestazioni artistiche e culturali del nostro tempo” Luigi Chiarini
Era notte, e nonostante fosse piena estate, Franco sentiva un forte freddo con la sua giacca di tela, tipo militare. Ettore al contrario era insofferente, per l’agitazione, per il silenzio che li circondava, non c’erano notizie, solo slogan di protesta urlati verso un nemico indefinito, un rifiuto globale a chiunque non fosse schierato dalla loro parte. Il nervosismo lo faceva sudare, si tolse di fretta la giacca di pelle, slacciando la doppia fila di bottoni e la porse all’amico, allungandogli pure la sciarpa di maglia regalatigli come simbolo di ringraziamento da una studentessa occupante dell’accademia in quel famoso Maggio italiano. Caterina. Capelli biondo cenere, sigaretta perennemente accesa, un libro sotto braccio “E gli ippopotami si sono lessati nelle loro vasche”, di Burroughs e Kerouac. Delicata musa delle sue ultime vignette.
Alle due di notte scadeva il termine per l’assemblea dei cineasti boicottatori. La polizia intollerante si introduce nel palazzo, intima i giornalisti ad andarsene ed ordina a registi e sceneggiatori di lasciare immediatamente la sala Volpi. Trovando momentanea resistenza pensa bene di partire con una prima carica, spostando di peso i professionisti del cinema all’esterno, dove li avrebbero calorosamente accolti vari fascisti avidi di violenza, pronti a darne di santa ragione senza risparmiare i giovanissimi studenti.
“Zavattini fu trasportato via dalla polizia sulla sedia! Noi avevamo ottenuto la sospensione della Mostra e la sua trasformazione in assemblea permanente. Così occupammo la saletta Volpi mentre nella sala grande c’erano i critici e i giornalisti che, tranne quelli dell’Avanti e dell’Unità, erano tutti contro, a unirsi a noi e fare l’assemblea permanente di tutte le categorie. Ad un certo punto arrivò la polizia e ci portò via dalla sala Volpi. Proprio qualche mese prima i poliziotti avevano picchiato i pittori, in modo molto violento e con molta risonanza, ed era perciò saltato il questore. Così questi agenti a noi del cinema ci trattarono come se fossimo dei pizzi di Fiandra da non sgualcire assolutamente” Ugo Gregoretti, regista.
In quel drammatico ed insanguinato scontro tra ideologie vi finirono sopraffatti anche Franco ed Ettore, risorgendone solo dopo qualche ora malmessi ma vivi, e con più rabbia e vigore in corpo. La sciarpa di Caterina era oramai un ricordo lontano ed un affetto perduto. I fascisti l’avevano strappata di dosso a Franco per legarci braccia e piedi di un giovane emiliano, che con coraggio aveva sputato loro in faccia e che ora si preparava a ricevere sgradevoli ringraziamenti per quel “battesimo” inaspettato carico di disprezzo e paura.
“La polizia arrivò e ci trascinò fuori uno per uno. Fuori ci attendevano i fascisti che, sotto gli occhi delle forze dell’ordine, ci menarono di santa ragione. Io in parte la scampai perché indossavo una di quelle giacche di stoffa a righine made in USA e fui scambiato per un americano, ma insomma Marco Ferreri e Citto Maselli furono proprio malridotti. I fascisti ci diedero la caccia tutta la notte, fummo costretti a nasconderci all’Excelsior per poi tornare solo all’alba nei nostri alloggi” Ugo Pirro, sceneggiatore.
Nonostante le violenze gratuite, i rimorsi e le coscienze sporche, la contestazione era riuscita ad assumere una potenza tale per cui La Biennale fu costretta a dichiarare la propria assoluta disponibilità al colloquio ed ad accogliere i cambiamenti strutturali richiesti dal comitato del boicottaggio.
Due registi si dimisero dalla giuria, erano il lituano Jonas Mekas ed il tedesco Edgar Reitz, mentre autori come Marco Bellocchio, Liliana Cavani, Carmelo Bene e Bernardo Bertolucci annunciarono la loro partecipazione al concorso, così come Pier Paolo Pasolini che poi la ritirò all’ultimo minuto, anche se a discapito delle sue volontà la pellicola fu rimessa in gara ugualmente dal produttore, potando a casa la Coppa Volpi per Laura Betti, nel ruolo della serva Emilia del film Teorema.
“Accanirsi a voler a tutti i costi impedire la proiezione dei film è un atto non più di boicottaggio della mostra, ma una violenza, una sopraffazione sugli autori: una forma di terrorismo. Mando dunque il mio film alla mostra per oppormi subito al suo nascere contro un già delineato fascismo di sinistra” Pier Paolo Pasolini
L’edizione del 1968 fu l’ultima in cui alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia furono assegnati dei premi, ciò fino al 1980, quando tornerà ad essere competitiva sotto la direzione di Carlo Lizzani.
I personaggi di fantasia: Ettore, Franco, Caterina e il giovane “battista” sessantottino vogliono essere di stimolo per farci immaginare questi studenti, i loro drammi, i loro desideri e le paure, le violenze subite e i miti falliti. Tutto il resto è storia, è rivendicazione dell’Arte, è salvaguardia del Cinema, della sua purezza e del suo potere.
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