Paradisi: “Mangialardi è sindaco con il voto di un terzo dei senigalliesi”
"L’elettorato pretendeva unità e non divisioni"
Senigallia, almeno quella che ha votato, ha scelto di nuovo Mangialardi. Ne prendiamo atto. In una realtà come la nostra, si sa che sconfiggere un impero di consenso e clientele è molto difficile. Ci abbiamo provato ed abbiamo perso. Ma perdere non significa perdere le proprie ragioni. Come vincere non significa raddrizzare i propri torti.
In un’elezione non vince il migliore come nello sport, vince il professionista del consenso. E l’apparato del Pd locale lo è. Per questo ascoltare in queste ore le parole di Mangialardi che, con la “galanteria” istituzionale che gli è propria, tenta di sbeffeggiare gli avversari accreditando se stesso come l’uomo della provvidenza unto dal popolo, suona molto di provincialismo.
Metà delle persone che hanno votato non hanno scelto Mangialardi e non lo avrebbero scelto all’eventuale ballottaggio. Il 40 per cento dei senigalliesi è rimasto a casa o ha lasciato la scheda bianca. Mangialardi è sindaco con il voto di un terzo dei senigalliesi. Nel marzo scorso lo avevo ampiamente detto: per sconfiggere la poderosa macchina da guerra elettorale del Pd e soci (che hanno messo in campo ogni mezzo, anche illecito, come ho rappresentato in piena campagna alla Prefettura e alla Procura della Repubblica) ci voleva una grande coalizione che andasse da sinistra a destra passando per i civici unita su un progetto comune.
Chi si candida in solitariarappresenta uno sfrenato individualismo senza avere a cuore un’alternativa coesa che vuole voltare pagina. Non è un caso che l’unica coalizione che si è dimostrata pronta ad andare al ballottaggio (sfiorato per un pungo di voti) sia stata la nostra che, pur senza l’ampiezza dell’idea originaria, ricalcava lo schema che avevo proposto oltre un anno fa.
Chi si è lanciato con i paraocchi nell’agone politico senza ascoltare ragioni di alleanze ampie (da noi cercate fino alla fine anche proponendo diverse candidature), ha raccolto macerie. Qualcuno si è accontentato di uno scranno in consiglio, esprimendo addirittura soddisfazione, dopo aver dichiarato la certezza del ballottaggio (il proprio!). Mi auguro che questa sonora lezione dell’elettorato (che sempre penalizza le divisioni) serva da lezione.
Perché nessuno può credere seriamente che la gran parte di quegli undicimila elettori che hanno rivotato Mangialardi nonostante tutto sia pronta a cambiare voto. Ma una grande coalizione, al di là delle ideologie vetuste che favoriscono solo il potere attuale, avrebbe da una parte aiutato a spostare un pugno di voti dal Pd o dalle liste civetta (questo era possibile), dall’altra a riportare una piccola fascia di popolazione alle urne.
E questo sarebbe stato sufficiente per arrivare al ballottaggio (al quale ho smesso di credere quando ho letto il dato di affluenza alle urne). Chi non comprende questa elementare analisi continuerà ad essere il miglior alleato della dinastia Pd. Per quanto ci riguarda io e Luigi Rebecchini, fin da ora, lavoreremo a questo progetto oltre le ideologie e rappresenteremo in consiglio la Senigallia che ancora non è stanca di indignarsi e nutre una speranza di cambiamento.
Al posto di far sempre la voce grossa, e di guardarti intorno per cercare i colpevoli del tuo flop elettorale, un tantino di autocritica non guasterebbe, e forse ti aiuterebbe a capire dove hai sbagliato. Il cittadino guarda l' umiltà, non l' arroganza.
Premesso che il voto in tutte le democrazie moderne è espressione del proprio interesse e non certo figlio di ideologie ormai sepolte dalla storia, ritengo che un po più di rispetto per la maggioranza dei votanti non sarebbe male. E chi non ha votato lo ha fatto per scelta perché a nessuno è stato impedito l'ingresso ai seggi. E diciamo la verità.. A Senigallia non c'è manco la scusa del mare...il tempo per votare e poi recarsi in spiaggia si trovava..
a sed' sul sofà
lucco' ma la serva e dic'
arcontam' 'na fola
la serva incuminciò..:
c'era 'na volta 're
a sed' sul sofà
luccò ma la serva e dic'
arcontam' 'na fola
la serva incuminciò si nun' s' va a votà
la fola è sempr' la stessa, sol la serva la sa'
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