SenigalliaNotizie.it
Versione ottimizzata per la stampa

Il mondo ha bisogno dei “passeurs”!

Francesco Favi, assessore alla cultura del Comune di Chiaravalle, intervistato per la rubrica "Screenshot"

Optovolante - Ottica a Senigallia
Francesco Favi

Anche questa settimana Screenshot vi invita a riflettere sull’importanza della settima arte nella società; e in questa occasione lo fa parlando di cinema, scuola ed educazione con Francesco Favi, insegnante di materie letterarie e linguaggi multimediali nei licei e dal 2013 Assessore alla Cultura del Comune di Chiaravalle. Buona lettura intelligente!

Come si introdusse il cinema nella vita di Francesco Favi?

A differenza del mio interesse per la letteratura e per la musica, quello con il cinema è stato un rapporto più intermittente, covato in tempi più lenti e più lunghi, ma forse – proprio a causa di ciò – più maturo. Non sono mai stato un accanito frequentatore delle sale cinematografiche; ricordo piuttosto che ai tempi del liceo e dell’università mi interessavo ad un regista e volevo conoscerlo in profondità. È così che è nata la mia grande passione per Hitchcock, Bergman, Fellini, Kubrick, Lynch: gli autori che probabilmente ho approfondito di più. Da otto anni a questa parte sono diventato più “vorace” e all’intensità delle mie visioni ho via via accompagnato una sempre maggiore quantità di registi, di titoli, di generi, di epoche, soprattutto di strumenti critici.

Sappiamo che lei, nel suo ruolo di professore, utilizza costantemente il mezzo audiovisivo. Cosa potremmo dire ai suoi colleghi che non credono nell’efficacia didattica ed educativa del cinema, rifiutando così di utilizzare questo mezzo come strumento di insegnamento?

Il fatto che il cinema sia un mezzo di comunicazione relativamente giovane, largamente fruibile da un pubblico di massa e molto più esposto di altri alle logiche dello star system e dello show business non comporta che gli siano preclusi una ricerca stilistica, una profondità semantica, una finezza narrativa, poetica o psicologica, persino una consapevolezza culturale e una capacità di comprendere e interpretare le dinamiche della storia e dell’attualità.

Secondo lei come mai nelle scuole italiane viene fatto un così povero uso dello strumento cinematografico?

In realtà nella mia esperienza a scuola ho notato che il vero discrimine non è tanto quello quantitativo tra docenti che impiegano gli audiovisivi in classe e docenti che preferiscono astenersene, bensì quello qualitativo tra chi si accontenta di una loro fruizione “povera”, cioè basata quasi esclusivamente su aspetti contenutistici e mirata sostanzialmente ad un confronto con quanto emerge dai testi cartacei, e chi invece punta a valorizzare tutte le peculiarità, anche quelle strutturali e stilistiche, di un film o più in generale di un’opera fatta di suoni e immagini, nella convinzione che il “cosa” non possa prescindere dal “come”.

Nella scorsa intervista di Screenshot, Luca Sabbioni, docente alla Civica Scuola di Cinema di Milano, ha affrontato il tema della educazione ai media. Lei cosa ne pensa?

Quella di educare i ragazzi alla complessità dei media (e, di qui, alla complessità della realtà) è una sfida che trovo tanto urgente quanto indissolubilmente legata alla condizione di nativi digitali che contraddistingue gli studenti di oggi: nati e cresciuti nella civiltà dell’immagine e nell’onnipresenza mediatica, essi hanno bisogno di sviluppare un approccio critico e analitico verso la moltitudine di stimoli audiovisivi da cui le loro esistenze sono costellate. Considerare dunque la visione di un film un semplice diversivo rispetto alla lezione frontale o allo studio cartaceo suona più anacronistico che insensato. Senza contare lo straordinario contributo che certe pellicole sono in grado di dare ad alcune discipline come la storia, soprattutto quella del Novecento, o la narratologia: ad esempio i film di Quentin Tarantino mostrano in maniera efficacissima stilemi come la divisione in sequenze, la relazione dialettica tra fabula e intreccio, il ricorso ai flashback e ai flashforward, il sistema dei personaggi.

Sappiamo che lei, nelle vesti di Assessore alla Cultura di Chiaravalle, si è dato e continua a darsi da fare per stimolare nei giovani, ma non solo, la nascita di un interesse per il cinema. Vogliamo spiegare a chi ci sta leggendo come è strutturato questo suo progetto salva cultura e soprattutto come nasce?

Non mi sento un salvatore della cultura; piuttosto cerco di essere uno di coloro che Daniel Pennac chiama “passeur”: “i curiosi di tutto, quelli che leggono tutto, che non confiscano… Passeur sono i genitori che si augurano di trasformare i figli in lettori, gli insegnanti le cui lezioni ci spingono a correre in libreria, i librai che insegnano ai clienti i criteri della classificazione dei libri per far sì che la loro libreria diventi l’universo prediletto dal cliente, i bibliotecari capaci di raccontare i romanzi sui loro scaffali, gli editori che non rispondono alle logiche del mercato, i lettori che si ritrovano con una libreria piena di testi brutti perché quelli belli li hanno prestati senza la pretesa di riaverli indietro.” A Chiaravalle, in cui da trent’anni mancano sale cinematografiche, si è trattato non tanto di far nascere ex novo un interesse per il cinema quanto di risvegliarlo. Negli anni ’70 il mio Comune conobbe una straordinaria stagione culturale grazie all’infaticabile operato di alcuni amministratori, funzionari e intellettuali locali – Giorgio Candelaresi in testa – che promossero molte iniziative legate al cinema e non solo. E a Chiaravalle vennero a presentare i loro film registi quali Bellocchio, Brass, Comencini, Lattuada, Lizzani, Magni, Petri, Rosi, i fratelli Taviani e Lina Wertmüller, per non parlare di personaggi come Dacia Maraini, Carlo Verdone o Gian Maria Volonté. Più di recente, e molto più modestamente, ho curato alcune cine­rassegne di carattere monografico, alcune dedicate all’universo femminile, altre ai giovani e una più spiccatamente cinefila sulla commedia all’italiana, mentre per la cooperativa Mondo Solidale ho condotto il cineforum “Global VS Local”. Poi, una volta divenuto Assessore, ho preferito fare un passo indietro come curatore di cineforum affidandone la conduzione a persone appartenenti alle medesime categorie rappresentate sullo schermo, persone che all’eccezionale disponibilità hanno unito un grande talento: ecco come sono nate fortunate rassegne quali “I giovani raccontano il cinema dei giovani” e “Le donne raccontano il cinema delle donne”.

Come è stata la risposta del pubblico? Ci sono ancora persone incuriosite dalla cultura cinematografica o affezionate ad essa?

La risposta del pubblico è stata estremamente positiva in termini sia di affluenza alle proiezioni sia di fervore dei dibattiti successivi ad esse. E ciò ha rafforzato la mia convinzione che il cinema è un eccezionale catalizzatore di idee, di opinioni, di visioni del mondo, e che – con buona pace dei multisala, veri e propri fast food che hanno ridotto i film ad effimeri oggetti di consumo, ma anche a dispetto dell’individualistica e depauperante fruizione cinematografica in televisione, in home video e in streaming – la visione collettiva di un film possiede una funzione sociale paragonabile a quella che aveva il teatro nell’antica Grecia: strumento di catarsi morale e di progresso intellettuale, nonché arte capace di incidere sulla sostanza della polis non meno di quanto venga condizionata da essa.

Cosa consiglierebbe a quei giovani che di cinema non sanno nulla di più rispetto alla data di uscita del prossimo “filmone” americano? E cosa ai suoi colleghi neofiti rispetto alla cine­pedagogia?

Ai primi direi semplicemente che, visto con occhi “altri”, anche un kolossal hollywoodiano può rivelare insospettabili livelli di lettura e qualità che non si esauriscono nella trama avvincente o nel caleidoscopio degli effetti speciali. Fu questa in fondo la grande lezione dei cosiddetti giovani turchi dei “Cahiers du Cinéma” durante gli anni ’50: prima di diventare gli acclamati protagonisti della Nouvelle Vague, essi sperimentarono una intensa, penetrante militanza critica e mostrarono come nella “politica degli autori”, da loro teorizzata, potessero rientrare a pieno titolo registi americani considerati soltanto commerciali o film a torto giudicati minori da certa miopia critica corrente. Eppure ancora oggi attende di essere ridimensionato il pregiudizio che mette da un lato – dell’oceano Atlantico e/o dell’indice di gradimento critico – il cinema “di genere” e dall’altro il cinema “d’autore”. E ben vengano da questo punto di vista la flessibilità di giudizio e la capacità di aprire nuove prospettive che sono connaturate alle giovani generazioni, fatto salvo naturalmente il bisogno di alimentare la loro curiosità e di allargare quanto più possibile la sfera delle loro conoscenze, perché è solo conoscendo di più e meglio che si possono fare scelte più mature ed esprimere opinioni più ponderate. E gli insegnanti potrebbero giocare un ruolo importantissimo in questo difficile percorso che è davvero “cine­pedagogico” in un senso che definirei circolare: non è solo la condizione del soggetto spettatoriale (o, come lo chiama Giovanni Sartori, dell’“homo videns”) che si gioverebbe infatti di questa educazione cinematografica, ma quella stessa dello studente il cui più alto compito – guardando, ascoltando, interiorizzando, interpretando – è, in definitiva, imparare a imparare.

Che cos’è per lei il cinema?

Pur ribadendo quanto ho detto finora in merito al valore didattico­educativo e persino socio­ politico di questa arte, sottoscrivo ciò che ironicamente Hitchcock rispondeva a chi gli chiedeva se il cinema potesse essere considerato una fetta di vita: “Piuttosto è una fetta di torta”. Dunque alto artigianato, non imitazione della realtà ma creazione di una realtà altra, impresa produttiva in cui le esigenze artistiche e quelle commerciali devono necessariamente coabitare, sintesi di codici espressivi il cui insieme non si riduce alla loro semplice somma, godimento estetico in cui non va per forza cercato un messaggio (o un solo messaggio) etico.

Commenti
Solo un commento
alevernelli 2015-04-26 19:28:10
francesco favi bravissima persona non che ottimo insegnante, che mette tutto se stesso per cercar di far imparare qualcosa ad ogni alunno che ha grandissimo professore:)
ATTENZIONE!
Per poter commentare l'articolo occorre essere registrati su Senigallia Notizie e autenticarsi con Nome utente e Password

Già registrato?
... oppure Registrati!


Scarica l'app di Senigallia Notizie per AndroidScarica l'app di Senigallia Notizie per iOS

Partecipa a Una Foto al Giorno