Dal decreto ‘Sblocca Italia’ alla ricerca di petrolio nell’Adriatico
La Città Futura Senigallia: "Per quattro gocce sono a rischio l'intero ecosistema e la nostra economia"
L’approvazione alla Camera del decreto “Sblocca Italia” (?!?) non può non interessare anche il Comune di Senigallia. In nome di un modello di sviluppo vecchio e fallimentare si sono riproposti progetti di strade e autostrade, la filosofia degli inceneritori, un insensato e ulteriore consumo di suolo, la proliferazione di trivelle per la prospezione, l’estrazione, lo stoccaggio del petrolio.
Un provvedimento vecchio, anzi fossile, come uno dei suoi punti di forza, le trivellazioni petrolifere, basato su uno sviluppo insostenibile, che, con lo strumento della deroga a 360°, tutto travolge: regole e territorio, paesaggio e beni archeologici, biodiversità, turismo e risorse naturali.
Uno sfregio all’Italia, al nostro ambiente, ai nostri beni culturali. Hanno avuto pure la faccia tosta di mettere la fiducia senza che iniziasse la discussione del provvedimento in aula. Mai successo nella storia della nostra Repubblica parlamentare!
Con l’art. 38 del decreto legge Sblocca Italia vengono considerate “strategiche“, senza alcuna distinzione, tutte le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi: diminuendo l’efficacia delle valutazioni ambientali, emarginando le Regioni e forzando sulle norme che, per il rischio di subsidenza, avevano dichiarato dal 2002 off limits l’Alto Adriatico.
E’ noto da tempo che il nostro petrolio è poco e di scarsa qualità. Secondo le valutazioni dello stesso ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini circa 10 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 8 settimane. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.
Mentre tutto il mondo cerca il modo migliore per uscire dall’egemonia del fossile, qui si diminuiscono gli incentivi per le rinnovabili e si autorizzano e rilanciano ricerche, trivellazioni ed estrazioni ovunque, con royalties irrisorie, senza obbligo di ripristino in caso di incidente, e con l’estromissione delle Regioni dalla VIA per i giacimenti a terra.
Un provvedimento e un’idea di sviluppo che condanna il Belpaese all’arretratezza di un’economia basata sul consumo intensivo di risorse non rinnovabili e concentrata in poche mani.
Un vero e proprio assalto finale delle trivelle al mare che fa vivere milioni di persone con il turismo; alle colline dove l’agricoltura di qualità produce vino e olio venduti in tutto il mondo; addirittura alle montagne e ai paesaggi sopravvissuti a decenni di uso dissennato del territorio.
In Basilicata che sarà interessata alla coltivazione di idrocarburi per circa i 3/4 del territorio, l’industria petrolifera non ha portato alcun vantaggio ai cittadini lucani, anzi ha costituito solo un aggravamento delle condizioni sociali ed ambientali. I giovani continuano ad emigrare, la benzina costa più di altre zone d’Italia e la regione è sempre più inquinata delle estrazioni petrolifere.
E non è esonerato dalla corsa all’oro nero neanche il mare italiano. Si sono trasformati forzosamente gli studi del Ministero dell’Ambiente sul rischio subsidenza in Alto Adriatico legato alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in “progetti sperimentali di coltivazione”.
In totale oggi le aree richieste o già interessate dalle attività di ricerca di petrolio si estendono per circa 29.209,6 kmq di aree marine, 5.000 kmq in più rispetto allo scorso anno. Attività che vanno a mettere a rischio il bacino del Mediterraneo dove già si concentra più del 25% di tutto il traffico petrolifero marittimo mondiale provocando un inquinamento da idrocarburi che non ha paragoni al mondo.
La situazione geopolitica internazionale avrebbe dovuto portare prioritariamente a maggiori investimenti nell’efficienza energetica e nelle energie rinnovabili, le uniche che non dipendono da alcun fornitore estero, invece con il decreto Sblocca Italia, viene dissipato il capitale naturale del paese e vengono favoriti i soliti insostenibili interessi speculativi.
Anche il mare davanti a Senigallia sarà interessato dalle attività di ricerca di petrolio e di gas: già lo scorso 17 settembre il Ministero dell’Ambiente ha concesso la compatibilità ambientale al progetto dell’ENI denominato “Clara NW” i cui lavori sono collegati alla concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi denominata “B.C13.AS”, una concessione di circa 400 chilometri quadrati. Avremo quindi l’installazione di una nuova piattaforma a 4 gambe (Clara NW) e la perforazione di quattro nuovi pozzi per gas e petrolio, nonché l’installazione di una condotta sottomarina di 13 km dalla nuova piattaforma ad una già esistente, detta Calipso. (VEDI MAPPA)
Per quattro gocce di petrolio stanno mettendo in pericolo l’economia turistica, la pesca e l’ecosistema del Mare Adriatico.
Per questo, come Città Futura riteniamo necessario e urgente che il Comune di Senigallia e le altre amministrazioni locali rivierasche inizino a porsi il problema di quale progetto di futuro dare ai nostri territori. Infatti il calcolo costi-benefici dell’impatto economico, sociale e ambientale che sta dietro provvedimenti come lo “Sblocca Italia” è assolutamente perdente quando si pensi che l’inquinamento sistematico e il rischio di incidente mettono a rischio aree di pregio naturalistico e paesaggistico, dove si svolgono fiorenti attività economiche legate ai settori delle pesca e del turismo.
Per questo in tutte le sedi politico amministrative ci impegneremo affinché venga chiesta al presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, di rivedere le norme del decreto “Sblocca-Italia” e in particolare l’articolo 38 che hanno un impatto diretto sui territori e sul mare della nostra Regione e che estromettono i territori interessati dai processi decisionali. E in caso di conversione in legge del decreto, chiederemo al nostro Comune e alla Regione Marche di procedere all’impugnazione di detto articolo di fronte alla Corte Costituzionale.
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