Ridurre le tasse per vivere bene insieme
Una proposta di cambiamento tra imposte, cittadinanza, opportunità e crisi economica
E’ molto diffusa la convinzione che molta parte della crisi economica in cui stiamo vivendo (e di cui stiamo forse morendo) derivi dai rimedi che i governi centrali e locali mettono in atto per porvi rimedio. L’incrudelimento del sistema fiscale, in altre parole: il peso di imposte dirette e indirette, tasse, tariffe, accise di ogni genere, è talmente grande che chi non ha lavoro si vede privato del poco che ha, e chi ha lavoro si chiede se gli conviene continuare a lavorare per non rimetterci troppo.
Parliamo in particolare del Comune, che è l’ente della pubblica amministrazione più raggiungibile dai cittadini, non per altro; ma il discorso varrebbe per tutti gli enti pubblici dotati di facoltà di imposizione. Cosa fanno i responsabili della politica comunale? Tutto quello che è loro possibile per prendere soldi ai cittadini, con la giustificazione che, non potendo più chiudere il bilancio, non sarebbero in grado di offrire servizi a una città che è abituata a un alto livello di servizi. Ed è un fatto che, pur di non rinunciare alle entrate, il nostro Comune sta facendo di tutto; anzi si può dire che sia quella la sua massima occupazione. Ha rinforzato l’ufficio tributi con nuovo personale e cospicui incentivi alla prelazione, riscosso Ici pregresse sulla base di cavillosissimi argomenti che non tutti i comuni condividono, ci ha fatto pagare la mini Imu, tenuto alti gli importi della Tares, predisposto contravvenzioni a destra e a sinistra (di 400 euro per i commercianti del Corso che non puliscono il Corso, per fare un esempio) – e affido ai contribuenti il compito di completare l’elenco. Da ultimo, come facevano una volta i nobili debosciati, ha messo in vendita (a trattativa privata) il patrimonio comunale pubblico, il che significa rinunciare a molte entrate nel tempo per avere i soldi da spendere subito.
Sul fronte della spesa, invece, ha mantenuto un certo numero di servizi e ridotto o contratto altri (basti guardare quanta sporcizia e incuria nelle strade) senza però fare una vera spending review; il che se non altro gli permette di non mettere in discussione il modo di spendere i soldi. La sola spesa utile che doveva fare è quella della libertà dagli schemi mentali della pubblica amministrazione e quella della fiducia nei cittadini; ma il Comune questa spesa non l’ha fatta.
Di cosa parlano allora i responsabili del Comune quando parlano di bilancio partecipativo e di centri sociali decentrati? Qui ci sarebbe un mare di soldi da non-spendere, quindi da guadagnare. È questo il lavoro sociale. Non quello che si dà per punizione a Berlusconi e a Boy George, ma quello dei lavori socialmente utili (LSU) che, nati come politica attiva del lavoro in Italia, sono basati sulla partecipazione ad iniziative di pubblica utilità limitate nel tempo per soggetti svantaggiati nel mercato del lavoro. È proprio il caso nostro, quello di una città in cui le professionalità non impiegate sono tante. Perché questo tipo di lavoro vale moltissimo, di più di quello retribuito. Vale per il pubblico, perché non deve spendere, e vale per il contribuente perché con le tasse che paga si possono fare ulteriori cose. Oppure ne paga di meno. È utile infine a chi lo svolge dal momento che, non implicando circolazione di denaro, chi presta l’opera non paga l’Iva e non subisce decurtazioni fiscali. Il lavoro viene compensato “solo” con lo sgravio fiscale. Ma è tanto, se pensiamo che 200 euro di tasse in meno sono 500 euro puliti perché sull’esenzione dalle tasse non esiste imposizione.
Ecco cosa il Comune può fare in tempo di crisi per mantenere il livello dei servizi e creare opportunità di lavoro: organizzare il lavoro sociale. I fini sono evidenti, e sono quelli propri di un’amministrazione pubblica: restituire la città alla città e ai suoi abitanti. C’è un buon modo per responsabilizzare i cittadini alla cittadinanza: consegnare alle loro cure la città. E fare del loro lavoro un’opportunità di risparmio, se non di guadagno. E gli strumenti ci sono: tra gli altri quelli del volontariato. Perché il Comune non scambia mai niente con la banca del tempo? Il sistema del volontariato non può essere economicamente indifferente e legato a una partecipazione solo etica. Questi strumenti devono uscire dall’infanzia ed entrare a pieno titolo come soggetto economicamente rilevante pur rimanendo senza-scopi-di-lucro.
Come esempio pratico pensiamo a due scuole: quelle per l’infanzia della Cesanella e delle Saline. Hanno bisogno, soprattutto la seconda, di lavori di ripristino e risanamento. Il Comune affida il progetto a un professionista disoccupato e i lavori alle professionalità non occupate del quartiere. Il Comune spende solo per mezzi e materiali, assicurazione a chi lavora e sorveglianza: poca cosa rispetto al beneficio che se ne ricava. E di persone che accetterebbero la proposta se ne potrebbero trovare diverse con facilità se il comune in cambio le esentasse dal pagamento delle tasse comunali. Anche imprese, io penso.
Ora non so quanto grande possa essere un simile orizzonte, né teorico né economico, ma lo credo grande quanto più l’amministrazione ci crede. Pensare ad altri esempi lo apre indefinitamente. Immagino per esempio che per la pulizia delle vie sarebbe lo stesso. Per i servizi sociali lo stesso. Trascuro infine di ricordare la popolarità che avrebbe un’amministrazione che non si vale di un commando di grassatori che estorcono denaro ai cittadini con procedure minestra o finestra, ma dei cittadini stessi attivati per risolvere i problemi e offrire vantaggi che ricadono direttamente su di loro e sulle rispettive comunità.
Spero che i diretti interessati vogliano considerare questa prospettiva. Sarebbe una svolta non solo per il nostro Comune ma, in quanto paradigma, per un ampio spettro di problemi e di opportunità.
Per esempio il Vicesindaco Memè non risponde qui, ma in una pagina facebook ad Anna Maria Bernardini che ha riprodotto l'articolo "Ridurre le tasse per vivere bene insieme (grazie, Anna):
"L'amministrazione Mangialardi lo sta già facendo da due anni e ha già coinvolto 4 scuole...!!!! Grazie ai genitori...!!!!".
In questa risposta, (come in quella di Mauro Mangialardi che ricorda come il Centro Sociale, in collaborazione con le scuole e i genitori, abbia non solo fatto "quei lavori", ma ogni anno partecipato alla festa degli alberi), riconosco distintamente una tecnica elusiva della burocazia politico-amministrativa di questo comune: tu proponi una cosa e loro ti rispondono: "c'è già un progetto", oppure "lo stiamo già facendo". Si tratta di una tecnica di falsificazione che vuole ottenere come risultato di spogliare la proposta della sua novità. Vorrei dunque chiamare fuori dalla sua tana fb il Vicesindaco Memè perché trovi il coraggio di ripetere pubblicamente quello che ha detto nel suo conversario di amici, e, se possibile, di rispondere a tono: quante migliaia di euro sono state scontate ai genitori (!!!!) che da due anni sono coinvolti nelle quattro scuole (!!!!)? Perché è questo il contenuto della mia proposta, non la festa degli alberi: pagare il lAVORO con lo sgravio fiscale.
Un simile atteggiamento, che mi assomiglia a una specie di digestione preventiva delle novità (il dio Crono si mangiava i figli perché era contrario a ogni innovazione - poi un pietrone gli andò di traverso), rende lo scambio di idee molto difficile, come è difficile discutere con persone che mantengono a tempo pieno un atteggiamento da falsari. Per parte mia basterebbe che si stesse sul tema per essere scambievoli e trovare una condivisione. (Leonardo Badioli)
Per poter commentare l'articolo occorre essere registrati su Senigallia Notizie e autenticarsi con Nome utente e Password
Effettua l'accesso ... oppure Registrati!