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L’Italia patria di pizza, sole, mandolino e pasta

O almeno, una volta eravamo conosciuti solo per questo...

Il Colosseo, a Roma

Poi gli “stranieri” hanno aggiunto “meritatamente” gli stereotipi di mafia, camorra, corruzione. Ed in questi ultimi anni, onde non farci mancare nulla, si potrebbe aggiungere anche la voce “miseria“. Anzi, sicuramente il vocabolo miseria ha rubato quel primo posto occupato inizialmente dal termine “pizza”.

Anche se ritengo che non erano veri nè le prime tre classificazioni, come non lo sono neppure i tre stereotipi.
Oggi, di sicuro, almeno per il 40% della popolazione, il termine più riconoscibile con cui si identificano gli italiani è: “miseria”.
Parliamo di miseria e non ci rendiamo conto che siamo dei Cresi. Non ci rendiamo conto che la vera ricchezza del nostro Paese rientra nelle sconosciute – almeno a quanto pare – parole come: arte, cultura, turismo, enogastronomia, di cui il Paese è sfacciatamente ricco ed altrettanto sfacciatamente sottovalutato.

Le tre uniche parole alle quali dovremmo affidarci, per poter cancellare e debellare la parola miseria, che racchiude in sé i tanti mali italiani che ci affligge, quali la disoccupazione, la sfiducia, la rabbia, il malcontento.
Gli economisti, coloro che poverini, perennemente e voglio credere inconsapevolmente, siedono sulle assolute verità, dispensando certezze, ci danno le loro pillole di placebo, sciorinandoci teorie di Smith, di Marx, di Keynes, liberiste, liberali. Ma poi i risultati sono sempre sotto gli occhi di tutti.

Si è provato a ridurre i mali con “governi tecnici”, a cui dopo il loro fallimento, si sono avvicendati quelli così detti “governi politici”. Entrambi vedevano, ed alcuni continuano a vedere, lucine in fondo ad un tunnel che poi visti i risultati si è appurato che fossero solo degli evanescenti miraggi. Le industrie hanno delocalizzato; le banche sono gestite da individui con le mani guantate professionalmente come i migliori avari, foraggianti l’alta finanza, trascurando gli operatori del lavoro manuale; i politici perdono tempo in tavole rotonde a discutere di processi, di poltrone, di leggi elettorali, rimandando tutto ciò che è più importante, ma a cui non sanno porre rimedio; la corruzione dilaga in tutto il paese. Gli amministratori delle regioni, tolte due o tre, sono indagati. Ma vero è, che ogni tanto, anche per un puro calcolo di probabilità, si è costretti a leggere anche qualche notizia incoraggiante. O almeno, cerco di vederla con questa ottica positiva, anche se con un leggero sorriso ironico sotto quei baffi che non ho mai posseduto.

E’ di pochi giorni fa, la notizia che la Corte dei Conti ha aperto un’istruttoria su delle decisioni di declassamento che le tre agenzie di rating (Standard & Poor’s – Moody’s – Fitch) aprirono nei confronti dell’Italia nel luglio, maggio e dicembre del 2011, nonchè nel gennaio del 2012, non tenendo conto, però, del valore dei capitali artistici che l’Italia possedeva e possiede. Un novello scontro tra Golia e Sansone. La pulce che affronta l’elefante.
E ci si è pure divertiti a fare un elenco di monumenti con a fianco il loro valore. Valore poi stimato in base a quali parametri: questo non si sa. Insomma tanti Totò seriosi, questi ricoperti da ampie toghe, ma altrettanto poco credibili. E credo che anche questa sarà destinata a scoppiare come la classica bolla di sapone… ma per lo meno ci invita a sognare in un periodo di sonni non certo tranquilli.
Il nostro è un un po’ come un guasconeggiante minacciare le “tre sorelle”: “Voi non sapete chi siamo noi. Se volete, siamo in grado di incartarvi, tutti e tutto, con banconote da 500 €“.

Ma in verità, nel nostro “Bel Paese”, non c’è una regione che non possa affermare di avere tesori artistici, nascosti e visibili a tutti: dalle profondità marine, ai magazzini (magari non visibili dal pubblico ed in mezzo all’umidità), dai musei, alle piazze, sotto forma di chiese, palazzi, mausolei. Un patrimonio composto da un numero considerevole (credo milioni di reperti, ma non sono riuscito a trovare su internet il numero esatto totale) di “pezzi” custoditi in circa 3.500 musei e 5.000 siti culturali. Oltre a questi, 45.000 beni architettonici, 12.000 biblioteche. E se vogliamo inserire, come del resto è doverosi inserirli, il teatro, il cinema (visto infatti che la Corte dei Conti ha preso in carico, come bene artistico, anche il film la “Dolce Vita” di Federico Fellini), non possiamo dimenticare anche di inserire nella lista gli oltre 30.000 luoghi dove si fanno rappresentazioni e si esalta l’arte del “Bel Canto”. Non chiedetemi come versano tutti questi luoghi: risponderei, moltissimi con disagi, altri con notevolissime difficoltà per non usare il termine “degrado” che la dice lunga parlando di reperti “datati”.

E sembra che i nostri parruconi, vista la loro età non più verde, se ne siano accorti solo ora. Ben venga comunque. Sempre meglio tardi che mai. Anche perché, gli unici che non se ne sono ancora accorti, sono invece i “famigerati politici”. Siano che essi si autodefiniscano tecnici o politici di “professione” (che brutta parola, visto che il significato richiederebbe una particolare competenza, una specifica abilità).
Costoro, tutti, non si sono resi conto che il non sfruttare (facendoli fruttare come dovrebbero) queste immense ricchezze, è da incoscienti, incapaci, culturalmente impreparati. E visto il loro prevalentemente orientamento clericale-cattolico-beghino li definirei colpevoli di un “peccato capitale”.
La loro cecità, la loro noncuranza è un po’ fare quel simpatico dispetto alla moglie che tutti conosciamo. Abbiamo tolto a scuola, anche lo studio dell’arte e quello della geografia. Del resto a che serve l’arte, la cultura, dal momento che non danno da mangiare, come affermò a suo tempo uno “sprovveduto” (educato eufemismo, anche troppo) per non parlare poi di geografia: a chi serve se nessuno oggi ha più i soldi per spostarsi?

Ma quello che è più grave è che la maggior parte di questo ben di Dio giace nei magazzini in attesa di essere restaurato, da restauratori che a loro volta attendono l’ordine ed i mezzi economici per farlo, attrezzati della sola loro passione, competenza (loro si) e… pazienza. Non solo, ma spendiamo risorse per debellare, attraverso i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, il commercio abusivo di opere d’arte che magari una volta recuperate, finiscono in quei magazzini di cui parlavo sopra e li rimangono in attesa della “manna”.

Altra cosa da conoscere è che attualmente l’Italia è la nazione a detenere il maggior numero di siti inclusi nella lista mondiale dei Patrimoni dell’Umanità (con 49 siti), seguita dalla solita Cina (con 45 siti) che anche qui ci alita sul collo, pronta a superarci. E se da una parte ciò è cosa che ci rende, o ci dovrebbe rendere, particolarmente orgogliosi, dall’altra colpevolizza maggiormente chi non fa nulla per tramutare “cocci”, “intonaci”, “mura”, “pitture”, “monumenti”, ecc.. ecc.. in “lavoro”, economia”, “benessere”, ecc… ecc…
I fondali dei nostri mari sono pieni di reperti ed anche qui si evita di recuperarli, perché non si sa che poi che farci. Magazzini senza nome con reperti ancora da schedare, quindi non classificati per importanza e non classificabili per valore, abbandonati a se stessi con una parvenza più di rifiuti che di opere d’arte. Quasi che fossero più una specie di peso, che una ricchezza da mostrare e su cui far legalmente ed economicamente conto, con lo stesso impegno con cui altri lo hanno fatto illegalmente con i loro fottuti “Derivati”. Ed allora ritornando ai nostri “parruconi”, credo che siano stati gli unici a comportarsi come Cornelia, che rivolgendosi alle matrone romane che esibivano i loro ornamenti esclamava, con il massimo orgoglio mostrando i suoi figli: “Questi sono i miei gioielli”. In ritardo e sicuramente senza che nessuno li ascolterà. O magari li ascolteranno facendoci su dei sorrisolini di autosufficienza, lasciando che i miliardi di euro richiesti come risarcimento restino solo una pia illusione. Ma quanto meno, costoro, sono da elogiare per aver fatto sentire una voce, quella dell’Italia, che oggi (o forse sempre) nessuno ha mai ascoltato.

Siamo una nazione in miseria, che si alza il mattino (almeno per il 90%), e si deve inventare un lavoro, per poter far fronte ai bisogni giornalieri – che per qualcuno diviene anche strettamente di carattere alimentare – di sopravvivenza. Siamo divenuti in pochi anni, dal 5°, poi 7° paese industrializzato al mondo, al “terzo mondo” di questa tanto decantata Comunità Europea. Una EU tutta impegnata a pensare ai bisogni di pochi privileggiati dimenticandosi della maggior parte dei popoli di questo vecchio continente. Siamo una nazione in cui il 10% delle famiglie detiene il 50% dell’intera ricchezza del Paese.

Sembra quasi una maledizione, che gli abitanti dei paesi più ricchi non abbiano la consapevolezza di stare seduti sopra delle immense ricchezze. Salvo pochi. Quei pochi che poi speculano, sfruttano, schiavizzano, tutti gli altri.
I paesi arabi stanno seduti e galleggiano sul loro sottosuolo che trasuda oleosa ricchezza. E mentre gli emiri aprono i loro rubinetti in oro, l’uomo della strada “fortunato” trascina con la corda il somarello o vende datteri. Il sottosuolo del Sud Africa è tempestato da ogni sorta di ori, di diamanti. La Russia poggia i piedi su di un immenso gasdotto, poi ci sono altri che hanno immense foreste di alberi dal legno pregiato, hanno parchi e spiaggie da favola e tutti, sempre appartenenti alla casta di quei pochi, sanno come farli fruttare. Noi no. Non abbiamo neppure quei pochi.

Ci incolpano bugiardamente di essere un popolo tutto pizza, sole, mandolino e pasta? Beh, cari amici, credo che sia ora di svegliarci ed applicarci questa etichetta alla lettera, solo che lo volessimo, che ne fossimo consapevoli e che di questo si facessero interpreti, principalmente, i nostri politici ed amministratori.

Figuratamente, ma poi mica più di tanto, non dovremmo far altro che alzarci il mattino e aprire la biglietteria per far entrare le file di turisti ansiosi di vedere il “nostro” patrimonio artistico. Dovremmo alzarci e aprire i “nostri” ristoranti per preparare i “nostri” manicaretti preparati dai “nostri chef”, quando al termine delle visite, costoro, si riverseranno affamati sulle tavole imbandite, dove ad attenderli ci saranno i “nostri” vini delle “nostre” vigne sapientemente preparati dai “nostri” viticoltori. Il tutto sapientemente “tutelato”, non certo da un timbro, da un bollino, da una stampigliatura. Ma da leggi capestro. Se ti becco che sgarri, ti spezzo le gambe, perché “Caino” è stato avvisato. E questo sia per noi italiani che in egual misura per quelli che italiani non sono.

Ogni regione dovrebbe preparare e rinnovare periodicamente un programma variegato di pacchetti di itinerari turistici, artistici, culturali, sia brevi (giornalieri) che più impegnativi (settimanali), suddivisi anche per livelli di prezzi. Un riguardo particolare agli studenti e agli studiosi. Gli italiani dovrebbero beneficiare di sconti, logicamente più congrui per gli indigeni. Il campanilismo, neppure dirlo, dovrebbe andare sotterrato, mentre dovrebbero essere studiati viaggi itineranti di mostre contenenti il “migliore esistente” della regione. In modo che tutti possano, prima o poi, usufrire della notorietà che questi portano.
Le opere d’arte anche fotografate dai naviganti su Internet dovranno pagare un obolo (una SIAE alla memoria degli artisti ed a favore del Bel Paese che la deve custodire) ad ogni clik, studiando una formula che permetta l’incasso: attraverso la pubblicità che appare al clik?
Le opere d’arte potranno girare solo all’interno del Paese. Andrà loro ritirato il passaporto così che mai più dovranno superare i confini di Stato. Se le vuoi vedere, caro Turista, vieni a casa mia e visto che è di mia proprietà, che ho il compito di curarle e custodirle come è giusto che sia, che l’ospitalità è sacra e deve essere fatta a regola d'”arte”, la visita ce la paghi “pro fu ma ta men te”. Anche il petrolio costa caro, eppure, malgrado puzzi, inquini e certamente non è bello da vedersi, magari mugugnando, ma lo si paga. Altrettanto allora lo si può fare per le opere che tutti ci invidiano.
Del resto si pagano profumatamente le Ferrari? le BMW? Le Mercedes? Il diamante Rosa? Il soggiorno in Polinesia? non comprendo perché si debba pagare soli 15 € per entrare al Colosseo, mentre per andare a Disney Land devi pagare dai 50 a 100 € (divertimenti compresi)?

Non fidandomi più delle capacità imprenditoriali dello Stato, affiderei i pacchetti di cui sopra, in appalto a dei privati. In modo che li gestiscano pagando un affitto allo Stato che si impegna a sorvegliare che il patrimonio non subisca danni e ad effettuare opere di restauro al bisogno.
Mi chiedo quanto personale, oltre agli addetti propriamente ai lavori, sarebbe movimentato? Agenzie di viaggio, trasporti, manutenzioni, assicurazioni, banche (purtroppo queste sono come i cinesi, le trovi dappertutto). A questo punto, lasciamo pure che la nuova nata FCA (ex FIAT) porti le sue quattro lamiere all’estero, che si delocalizzi le nostre ditte in Cina, in Turchia, in Polonia, in Romania. Voglio vedere a delocalizzare i quadri esposti alla Galleria degli Uffizi? Anche qui i prezzi di 7 € per l’ingresso gridano vendetta? Cari signori… è finita la pacchia.
Se Della Valle restaurerà il Colosseo, dovrà ricavarne qualche cosa o no? E se la Merkel scenderà a Capri, dovrà venirci ben imbottita di euro o no?
La parola miseria dovrebbe, potrebbe, scomparire dai dizionari italiani.

Ma… ohi, ohi… Quanto dormivo bene e che bel sogno stavo facendo, e come sempre quanto sono angoscianti certi risvegli, tanto più che dalla poltrona in cui ti eri appisolato vedi e torni a riascoltare la TV che parla di scandali… di nuovo… e questa volta sento che parlano di Quirinale… Questa volta che cosa avrà combinato?!?

Franco Giannini
Pubblicato Sabato 15 febbraio, 2014 
alle ore 7:00
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