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In tempi di crisi lo Stato è inflessibile (ma solo con i cittadini)

Un nuovo caso da parte dell'esperto in materia legale per Senigallia Notizie

Soldi, mancati pagamenti: crisi finanziaria e imprenditoriale

In questo periodo di grave crisi economica e morale, anche il diritto sembra essersi piegato alle logiche dell’economia, della finanza, dei tributi. Altrimenti non si spiegherebbe come sia possibile che ad un imprenditore campano sia accaduto quel che gli è successo e che qui vi racconto.

L’Agenzia delle Entrate di Salerno accerta che nel 2007 la società da lui amministrata non aveva versato l’IVA per 59.202,00 euro. Per tale ragione il GIP disponeva con decreto il sequestro per equivalente di corrispondenti somme di denaro sui conti personali dell’amministratore.
In particolare il decreto di sequestro preventivo veniva disposto sulle somme di danaro giacenti sui conti correnti intestati all’amministratore e, in caso di incapienza di fondi, su beni mobili o immobili, su quote sociali nella disponibilità dell’indagato medesimo.

L’imprenditore proponeva istanza di riesame evidenziando che l’omesso pagamento dell’Iva era dipeso dal mancato incasso di fatture per oltre 500.000 euro e che dalla “cassa” egli non aveva prelevato un solo euro per fini personali.

Niente da fare. Sia per il Tribunale che per la Cassazione (sent. 15050/2013) il ricorso è infondato perché il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato può incidere contemporaneamente od indifferentemente sui beni dell’ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l’unico limite per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto. Ma con riferimento specifico ai reati tributari, la Corte di Cassazione ha affermato che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 19, comma secondo, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non può essere disposto sui beni appartenenti alla persona giuridica qualora si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato D.Lgs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, fatta eccezione per l’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti.

Rimane quindi la responsabilità – penale innanzi tutto – del legale rappresentante o di chi ha agito per la persona giuridica che può essere attinto pertanto da sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, in materia di reati tributari, senza necessità della preventiva escussione del patrimonio dell’ente.

In questa storia assurda, che dimostra che la responsabilità penale non è più solo per dolo o per colpa, spero almeno che tra i debitori che dovevano 500.000 euro alla società non ci fosse proprio lo Stato; diversamente saremmo di fronte ad un vero e proprio esempio di inciviltà giuridica e sociale, in cui lo Stato-debitore condanna il cittadino-creditore per non avergli versato somme di gran lunga inferiori a quelle da esso stesso dovute.

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