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Torna libero il papà di Almas Mahmood, dopo il rapimento della figlia nel 2010

Pena ridotta "per l'attenuata pericolosità" dell'uomo. La famiglia trasferita ad Ascoli Piceno

Netservice - Editoria on-line
La conferenza che la famiglia Mahmood tenne dall'avv. Mauro Diamantini il 25 gennaio 2010

Torna libero Akatar Mahmood, il pakistano che assieme alla moglie Nabeela Aslam si rese responsabile del rapimento della figlia, Almas Mahmood, nel gennaio 2010. Torna libero dopo due anni di arresti domiciliari ad Ascoli Piceno dove la famiglia si era nel frattempo trasferita.

La vicenda iniziò molto prima di quel 18 gennaio 2010, data del rapimento, con i rapporti incrinati tra l’allora 17enne e la sua famiglia: lei, che voleva vivere all’occidentale, era stata affidata alla comunità Cante di Montevecchio di Fano e sosteneva di non voler vedere più i propri genitori, i quali si erano preoccupati per uno stile di vita che più che all’occidentale, l’aveva portata a fumare, ad uscire spesso e fare tardi, a prendere brutti voti a scuola.

Da quella dura presa di posizione venne poi la decisione dei familiari di parlarle a tutti i costi per convincerla a riavvicinarsi a loro: il 18 gennaio si presentarono a bordo di una station wagon di fronte all’istituto superiore Cesare Battisti di Fano e la portarono via verso Roma.
Dalle testimonianze scattarono poi le ricerche che si conclusero con l’arresto della coppia e il fermo per gli altri due figli coinvolti, uno dei quali minorenne, proprio mentre stavano tornando a Fano, per riportarla in comunità.

La vicenda portò la famiglia Mahmood alla ribalta sul web e sui quotidiani locali e nazionali. Anche per le varie notizie che si susseguivano sul loro conto, la moglie 37enne Nabeela Aslam volle incontrare la stampa per chiarire la loro posizione in merito al presunto rapimento, che in realtà nascondeva – nelle loro intenzioni – solo la volontà di chiarirsi.

Dopo diversi mesi di silenzio e dopo il trasferimento nel capoluogo della provincia picena, ora la nuova fase per il pakistano Akatar che in via Carducci, a Senigallia, teneva un commercio ambulante di tappeti e prodotti orientali.
Grazie alla richiesta dell’avvocato del foro senigalliese Mauro Diamantini la pena è stata ridotta dalla Corte d’Appello di Perugia a due anni (anziché due anni e quattro mesi). Mentre per il figlio allora 16enne era stato richiesto al Tribunale dei minori la messa alla prova.
Ora si tratta di ricominciare una nuova pagina, con la consapevolezza – questa già acquisita – che la loro figlia una decisione l’ha presa.

Commenti
Solo un commento
O. Manni
Paul Manoni 2012-08-30 19:43:35
Sono contento per lo sconto di pena. Speriamo che il padre di Almas, abbia finalmente imparato che il dialogo con ii propri figli, non può avvenire sul piano delle imposizioni...Figuriamoci su quello del sequestro di persona! A poco servono le parole tendenti ad attenuare il comportamento decisamente sopra le righe della famiglia della ragazza..."vivere all'occidentale", qualsiasi cosa questo possa significare dalla prospettiva culturale e religiosa integralista dei tanti cittadini pakistani in Italia, per una ragazza di 17 anni che vive e si integra nella nostra società, appunto "occidentale", cioè aperta, sviluppata progredita e soprattutto libera e laica, è la normalità, checchè ne voglia dire o fare la sua famiglia. Le ultime due righe dell'articolo, soprattutto le ultime 8 parole, riassumono in modo perfetto questi concetti. Ci sono dei diritti che vanno garantiti a tutti e tutte.
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