Vent’anni dopo la strage di Capaci: quale verità sulla morte di Giovanni Falcone?
Intervista al magistrato Piergiorgio Morosini, giudice presso il tribunale di Palermo
“Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere.”
(Giovanni Falcone)
Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone veniva fatto saltare in aria nei pressi dello svincolo di Capaci a pochi chilometri da Palermo con 500 kg di tritolo posizionati in una galleria scavata sotto l’A29.
Insieme al magistrato, perdevano la vita sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. A vent’anni esatti sono conosciuti soltanto i nomi degli esecutori materiali della strage, poiché le indagini mirate a scoprire i mandanti ed eventuali intrecci di natura politica non hanno prodotto risultati significativi.
In occasioni del ventennale della morte di uno degli uomini-simbolo della lotta a Cosa Nostra, SenigalliaNotizie.it ha raccolto la testimonianza del magistrato Piergiorgio Morosini per cercare di fare il punto sul biennio di bombe che ha caratterizzato il ’92 e il ’93.
Piergiorgio Morosini è magistrato dal 1993, giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo e titolare di numerosi processi a Cosa Nostra. E’ stato estensore di sentenze relative ai capi storici della mafia (Riina Salvatore, Provenzano Bernardo, Brusca Giovanni e Bagarella Leoluca). Si è occupato di infiltrazioni mafiose nella sanità, negli appalti di opere pubbliche, nella politica e nella giustizia.
Il 23 maggio 1992 veniva assassinato Giovanni Falcone; dopo vent’anni sono ancora molti i risvolti oscuri di questo e di altri eventi legati alla stagione terroristica nel biennio 1992-93. Oltre alla vendetta o alla cautela preventiva da parte di Cosa Nostra, qual è stata l’effettiva finalità dell’uccisione di Giovanni Falcone?
Molti tasselli riguardanti la strage di Capaci, ma anche quelli dell’attentato di via D’Amelio mancano ancora a completare un mosaico definitivo. Basti pensare che le sentenze di colpevolezza di svariati protagonisti di queste vicende sono state negli ultimi anni, completamente ribaltate: sono emersi depistaggi colossali, inquinamento di prove e test fasulli. E’ plausibile che le stragi del ’92 e del ’93 abbiano oltre che una matrice corleonese, una natura di ben altra entità. Va ricordato che il biennio in questione, fu un anno estremamente particolare, un periodo di transizione contrassegnato da una forte tensione sociale e da grandi mutamenti di carattere politico e sociale; Tangentopoli e Mani pulite stanno spazzando via la classe politica e i partiti della cosiddetta Prima Repubblica; è verosimile che ci siano state delle entità esterne a Cosa Nostra che abbiano svolto un ruolo di primo piano nella stagione delle stragi. Entità appartenenti ad un’ala deviata dei servizi segreti, del mondo politico o di grandi realtà economiche che volevano indirizzare i propri interessi. La cosa più preoccupante sono le analogie che si stanno presentando tra il periodo attuale e quello della stagione delle stragi: gli attentati ad Equitalia, il manager Adinolfi gambizzato e infine la bomba di Brindisi sono tutti fatti allo scopo di destabilizzare ancora una situazione già molto critica.
Le cito un passaggio della sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta: “Il processo sulla strage di Capaci non apporta tutte le verità che ci aspettavamo. Il processo concerne esclusivamente gli esecutori materiali che hanno schiacciato il bottone ma questo processo è impregnato di riferimenti e allusioni che rimandano altrove, quelli che nel linguaggio non giuridico vengono chiamati ‘mandanti occulti’…” dopo vent’anni sono emersi nuovi tasselli del mosaico?
E’ lo stesso leit motiv che accompagna tutte le stragi di quegli anni. Sotto i colpi della mafia in quasi 25 anni sono caduti magistrati, poliziotti, giornalisti, segretari di partito, ufficiali dei carabinieri, prefetti, parlamentari; per citarne alcuni, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Cesare Terranova nel ’79, Piersanti Mattarella nell ’80 o Rocco Chinnici nell’83, tutte vittime definite dalle sentenze come ‘politico-mafiose’, ma a finire alla sbarra sono stati i mafiosi della fazione corleonese; nonostante dagli atti ufficiali sia emerso in modo inequivocabile un ruolo sicuramente da protagonista di qualche entità extra mafiosa, non si è riusciti a far luce fino in fondo, attribuendo dei volti e dei nomi a questi cosiddetti ‘mandanti occulti’. Tornano alla mente le parole di Giovanni Falcone, qualche ora dopo il fallito attentato ai suoi danni all’Addura nel giugno del 1989: “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. […]Esistono forse punti di collegamento fra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi.[…]”
Cosa nostra ha agito autonomamente o sulla base di patti oscuri? Sono state fatte numerose teorie: si è parlato di “un doppio stato”, di mandanti a volto coperto estranei alla galassia mafiosa, si è parlato di un pezzo di Stato che si sarebbe nascosto dietro Cosa Nostra per scagliarsi contro un altro pezzo di Stato… cosa c’è di vero?
Esiste una verità processuale che mostra come le indagini del 1992-1993, sfociate nell’individuazione di coloro che le hanno compiute e di coloro che, dall’interno di cosa Nostra le hanno progettate,non possono dirsi concluse. Le supposizioni di cui sopra, sono state tradotte in piste investigative alimentate non solo dalle più o meno recenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Giovanni Brusca, Gaspare Spatuzza, Salvatore Cancemi … il Procuratore della Repubblica di Firenze sino al 1998 e poi Procuratore nazionale antimafia sino al 2006, ha speso parole chiare a proposito affermando “ Dalle indagini si delinea un’aggregazione di tipo orizzontale, dove ‘ i mandanti a volto coperto’ sarebbero estranei all’organizzazione mafiosa di Cosa Nostra, in cui ciascuna delle parti è portatrice di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso, nel quale convergono finalità diverse”.
I magistrati della procura di Firenze Gabriele Chelazzi e Giuseppe Nicolosi, nel concludere la requisitoria del processo dell’attentato di Firenze dissero “La campagna di stragi del ‘92,’ 93 e ‘94 volevano condizionare la storia del nostro paese” … si è parlato anche di un tentato golpe di Cosa Nostra, non più “uno stato nello stato, ma uno stato a sé” cosa c’è di vero?
Un importante spiegazione al riguardo è stata fornita ai magistrati da Leonardo Messina che ha illustrato come fosse tornato in auge a Cosa Nostra in quegli anni il “sogno” di diventare indipendente, un sud separatista rispetto al resto della nazione. Messina riferisce fatti per conoscenza diretta e viene considerato attendibile da investigatori magistrati. Il pentito riferisce ai pubblici ministeri e lo ripeterà anche alla commissione Parlamentare antimafia “Cosa Nostra non può rimanere succube dello Stato, vuole avere il suo di Stato. […] Non doveva trattarsi di un controllo di altri ma dell’impossessamento totale.”Il progetto, chiarirà nel 1993 ai magistrati, consisteva nella futura creazione di un nuovo soggetto politico in cui fare convergere altre realtà mafiose italiane, uomini dei servizi segreti, grossi imprenditori provenienti da ogni parte d’Italia.
La stagione degli attentati iniziò dopo la disfatta di Riina al primo maxi processo del 30 gennaio 1992…fu un segnale o una vendetta nei riguardi di quelle che vennero definite dal procuratore aggiunto di Palermo Guido Lo Forte “aspettative non soddisfatte da parte dei mandanti oscuri”, oppure erano conseguenza di altro?
Gli attentati del biennio ’92-’93 hanno più chiavi di lettura; la più riduzionista, che io personalmente non condivido, è quella della logica del ricatto. “Fare la guerra per ottenere la Pace” diceva Riina, ovvero concedere una tregua per ottenere revisioni dei processi a carico dei corleonesi che si traducevano in un ammorbidimento del regime carcerario duro, il famoso 41 bis, fino ad arrivare all’impunità che da sempre costituisce un fattore di sopravvivenza e sviluppo di Cosa Nostra, camorra e ‘ndrangheta. A ben vedere secondo me c’è dell’altro, qualcosa di molto più ambizioso che mirava a sovvertire l’ordine dello Stato stesso.
Nel 2009 sono spuntate nuove fonti di prove, il famoso papello del ’92” che sarebbe stato scritto direttamente dalla mano di Totò Riina e che proverebbe l’esistenza di una trattativa tra stato e mafia..cosa c’è di attendibile?
I magistrati hanno raccolto un documento che sarebbe alla base di una trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato. A consegnare il documento è stato Massimo Ciancimino; il ‘papello’, così viene definito in gergo il documento in questione, conterrebbe un dettagliato programma mafioso sulla giustizia penale, tra cui la revisione del primo maxi processo di Palermo che ha condannato all’ergastolo i componenti della cupola per centinaia di omicidi; l’annullamento del regime carcerario del 41 bis; detenzione vicino alle abitazioni dei familiari, la modifica della legislazione sulla confisca dei patrimoni mafiosi e tanto altro. Riguardo la veridicità di questo documento preferisco attendere l’esito del processo in corso prima di pronunciarmi.
In questi vent’anni come è cambiato il modus operandi di Cosa Nostra?
Cosa Nostra ha abbandonato le bombe a favore degli affari; si spara molto meno e si concentrano gli sforzi in ambiti economici. Basti pensare alle infiltrazioni mafiose oramai presenti in pianta stabile anche al Centro e al Nord. Il luogo comune che vuole “cosa nostra” relegata nel meridione non corrisponde oramai più alla realtà almeno da un ventennio. Le nuove frontiere si chiamano, riciclaggio, smaltimento di rifiuti; consideri che la mafia arriva a far pagare alle aziende del nord circa i 4/5 in meno rispetto alle cifre che dovrebbero spendere per lo stoccaggio legale degli scarti tossici. Il dato più inquietante è che sono i privati a rivolgersi alla mafia per chiedere aiuti; tutto ciò è una conseguenza diretta della scarsa fiducia e dello scarso aiuto che lo Stato oggi è in grado di garantire ai liberi cittadini.
Dicevamo all’inizio che l’Italia è stata sconvolta negli ultimi giorni da un nuovo tremendo attentato effettuato ad una scuola intitolata proprio a Giovanni Falcone; che idea si è fatto al riguardo?
E’ un fatto estremamente inquietante e grave dal grande valore simbolico: lo scopo è sempre quello di destabilizzare la gente. Non è un caso che come obiettivo si sia scelto proprio una scuola e per giunta intitolata a Giovanni Falcone: la scuola dovrebbe essere il posto più sicuro per i ragazzi, dove si forgia la futura classe dirigente e politica … ecco, il messaggio che vorrebbero veicolare è proprio questo. Non esisono posti sicuri. Non solo, le bombole sono esplose in prossimità del tribunale, nello stesso giorno in cui il corteo della legalità faceva tappa a Brindisi e a pochi giorni dal ventennale della strage di Capaci. Niente di tutto questo corrisponde ad una casualità.
Concludo citando Falcone “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle Istituzioni. “… è una visone troppo utopistica?
No, è un punto di vista intriso di speranza verso il futuro. E’ sicuramente una battaglia complessa e dura che non deve essere perseguita solo nelle aule di Tribunale, ma passa attraverso l’operato quotidiano di ognuno di noi. C’è bisogno che si crei una nuova coscienza collettiva che sia immune alla corruzione e alla paura: solo in quel momento la mafia potrà veramente essere debellata.
e per giunta su viveresenigallia queste interviste (quelle serie, non quelle al sindaco) non si trovano. Ancora complimenti.
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