Pd Ancona: la crescita deve ripartire dagli enti locali
Il segretario provinciale Lodolini riflette sugli sforzi chiesti ai Comuni locali
Nelle ultime settimane ho letto diversi appelli da parte di forze economiche e sociali, a livello nazionale ma qualcosa anche a livello locale, volti a chiedere ai Comuni criteri di determinazione della tassazione locale che tengano conto delle difficoltà delle diverse categorie.
Appelli e richieste legittime, soprattutto considerando la fase di grave recessione che sta attraversando il Paese.
Ritengo però altrettanto legittimo fare una riflessione, numeri alla mano, sulla situazione in cui si trovano gli enti locali, i Comuni in primis, dopo anni di manovre governative che hanno individuato proprio negli enti locali i soggetti ai quali chiedere maggiori sforzi.
Due numeri per spiegare questo. Il primo numero: nel 2010 il deficit registrato dal bilancio dello Stato è dipeso per il 90% dall’amministrazione centrale e solo il restante 10% è attribuibile alle amministrazioni locali.
A fronte di questo rapporto l’intervento governativo volto al taglio della spesa è stato altamente sproporzionato: già a partire dai Governi di centrosinistra (onde evitare di essere accusato di parzialità) e in modo ancor più accentuato con Tremonti, lo sforzo per il risanamento dei conti pubblici è stato chiesto in gran parte agli enti locali pur non essendone questi i principali responsabili.
Un po’ di equità anche in questo caso non avrebbe fatto male! E qui arriva il secondo numero: dalla Ragioneria dello Stato emerge in modo molto evidente che le manovre messe in atto lo scorso anno per risanare le finanze dello Stato prevedono un aumento delle entrate per le amministrazioni centrali pari all’88% , a fronte di una riduzione delle loro spese dello 0,8%. Lo Stato centrale partecipa al taglio della spesa pubblica con lo 0,8 %, i Comuni con un corposo 25%: una sproporzione eccessiva, sostanzialmente insostenibile.
Per non parlare poi delle decisioni prese sui costi della politica: anziché intervenire sugli stipendi dei manager pubblici, remunerati con cifre a cinque o sei zeri, si e’ preferito tagliare le indennità degli amministratori locali, penalizzare la nostra Provincia che, non andando più al voto, al rischio di caos amministrativo vede affiancarsi, stante l’incertezza dei tempi di approvazione del Ddl, la preoccupazione per un vuoto amministrativo che penalizzerebbe la comunità tutta.
Per cercare di risollevare i Comuni è stata poi introdotta l’Imu, un’imposta municipale che di municipale ha solo il nome, visto che buona parte delle entrate rimarrà nelle casse dello stato centrale e quelle che rimarranno ai comuni saranno esattamente tarate per compensare il taglio dei trasferimenti statali.
Nessuna risorsa aggiuntiva quindi per i Comuni; e in più, il governo “minaccia” di aumentare le aliquote quest’estate, se il gettito della prima rata di giugno non si rivelerà sufficiente. Tutto alle spalle dei Comuni. Va precisata una cosa sul tema. L’Imu è l’imposta introdotta durante il governo Berlusconi con un pasticcio nel federalismo fiscale voluto dalla Lega Nord e sostenuto dal Pdl. La nuova imposta comprende anche l’ex tariffa per la raccolta dei rifiuti oltre alla imposizione patrimoniale sugli immobili.
Di fronte a questi dati non posso che chiedere alle forze economiche e sociali, anche del nostro territorio, di provare a fare insieme una battaglia che porti a realizzare in Italia un federalismo vero, e non quel “federalismo balbettante”, ad intermittenza, che ha accompagnato in questi anni il Paese.
Un federalismo nel quale si deve consentire agli enti locali virtuosi di poter investire le risorse a disposizione, nel quale i Comuni che hanno in cassa le risorse possano pagare i loro fornitori con tempi congrui. E tutto ciò e’ possibile solo riscrivendo il Patto di Stabilità e solo ripensando radicalmente il patto fra Stato ed autonomie locali. Il patto di stabilità, con le sue folli rigidità, produce uno spreco alla rovescia. Uno spreco di investimenti, spreco di sostegno alle imprese ed alle famiglie, spreco di opportunità per aiutare dal basso una ripresa che le sole politiche di austerità non sanno suscitare.
Al Governo è chiesto di cambiare e rimodellare il patto di stabilità almeno per le opere che riguardano l’edilizia scolastica, quelle sostenute per il maltempo eccezionale di quest’inverno e per il riassetto idrogeologico”.
E’ una priorità ineludibile, cui dare risposta subito, prima che la rabbia delle categorie economiche e delle famiglie si scarichi sugli amministratori locali, che di questo blocco non hanno responsabilità. Un nuovo e positivo rapporto tra cittadini ed istituzioni passa anche da qui. Se davvero si vuole tornare a far crescere questo Paese, si deve ripartire innanzitutto da qui. Da quei Comuni che hanno fatto la storia dell’Italia, e che ora sono gli unici che possono consentire alla nazione di poter mantenere la sua coesione e farla ripartire.
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