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Storia e storie (d’Italia) nei 150 anni del Liceo Perticari di Senigallia

Svolto l'incontro su Dante e sull'Italia unita: grande mistificatore o intellettuale lungimirante?

Scorcelletti - Laboratorio Analisi

Liceo Classico G Perticari di SenigalliaVenerdì 13 gennaio 2012 si è svolto il terzo appuntamento celebrativo dei 150 anni della fondazione del liceo classico "G. Perticari" di Senigallia, inserito nella rassegna "Storia Storie". Il suo dirigente scolastico, prof. Alfio Albani, ha contribuito alla ricorrenza con una relazione su "Dante e l’idea d’Italia" perchè a lui, ala sua poesia e all’uso del volgare si deve l’idea d’Italia, "il giardino dell’impero", "il paese in cui il sì dolce suona".

Fin dall’inizio Albani ha sottolineato come senza Dante e l’unità linguistica e poetica da lui avviata, gli stessi Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele II compreso, avrebbero svolto altri "mestieri".

L’idea d’Italia, "unità d’intenti di core", quindi deriva da una lingua volgare, una lingua così piana e chiara da essere utilizzata nella stessa Costituzione italiana per la quale, onore ai Costituenti, si è volutamente rifiutato ogni linguaggio cavilloso, giuridico, burocratico.
Quando Dante eleva a dignità letteraria e poetica il volgare, ci troviamo in un contesto storico particolarmente drammatico: crisi ormai irreversibile dell’impero, trasferimento della sede papale ad Avignone, lacerazione e lotte di tutti contro tutti: all’interno delle città con le varie fazioni, tra città e città, tra regione e regione.

Eppure nonostante questo, Dante non teme di esaltare l’impero e invocare un’Italia unita, dalle Alpi alla Sicilia, quindi per lui ben definita anche geograficamente.
Grande mistificatore? Secondo Albani sì, perchè l’uno non esisteva più e l’altra non esisterà per diversi secoli ancora. Una mistificazione però di grande portata perchè ha creato in primis l’idea d’Italia e forse, estrapolando un po’, anche quella di Europa.

In ogni caso, quello che occorre sottolineare è la grande fama di Dante nell’Europa del ’300 come prototipo dell’intellettuale laico: si calcola che in quel periodo, dei 150mila libri in circolazione, 1000 fossero copie della Divina Commedia. Successivamente però, specie in età umanistico-rinascimentale, su Dante cala un lungo e pesante oblio: nel dibattito sulla lingua vengono a lui preposti come modelli da imitare Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. Tale tradizione giungerà poi fino a Leopardi.

Ma come un fiume carsico che scompare e ricompare (il paragone è di Albani), così la grandezza di Dante si riafferma a partire dal ’700 e dalla rivoluzione francese: Alfieri, Monti, Foscolo, fino ad Abba e Nievo ne sono la riprova.
Nell’800 poi si assiste ad una vera e propria "Dantemania": lo stesso Mazzini elevando il Tricolore a vessillo dell’Italia unita, ha tratto ispirazione da Dante, identificando il bianco, il rosso e il verde con le tre virtù teologali (fede, carità e speranza) esaltate da Matilde nel XXVI canto del Purgatorio.

Nel ’900, dopo le celebrazioni del centenario della morte di Dante (1321), l’Italia scopre la prosa a discapito della poesia, cosicché si verifica un’anticipazione di Pirandello e Svevo rispetto a Dante. Una svolta si ha nel ’39 con la pubblicazione delle "Rime" da parte di Giulio Einaudi, quindi con la rivalutazione di Montale e Luzi per finire a Pavese che invita ad un vero e proprio ritorno a Dante.

Infine Albani, dopo aver ricordato l’abbraccio di Virgilio e Sordello (Purgatorio, canto VI) uniti in nome della lingua al di là delle divisioni dell’Italia – così come la poesia unisce Dante e Virgilio -, conclude con il riferimento a Primo Levi che a memoria ripeteva il canto di Ulisse come senso della vita e dell’oltre.

Riportando i risultati di ricerche svolte negli Stati Uniti e in Francia, Albani evidenzia come Dante risulti, insieme a Cervantes, tra gli autori più letti nel mondo ed è nota la sua influenza su poeti come Ezra Pound ed Thomas Eliot nonchè su due recenti premi Nobel, José Saramago (1998) e John Maxwell Coetzee (2003).

E con rammarico deve constatare che in Italia lo studio di Dante nelle scuole superiori sia limitato ad una semplice sistesi antologica.

Che la cultura nel nostro paese, veramente non paghi?

di Laura Pierini

Redazione Senigallia Notizie
Pubblicato Lunedì 16 gennaio, 2012 
alle ore 9:19
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Commenti
Solo un commento
gianburrasca 2012-01-16 19:12:16
si può fare di più
Sembra che dalla riflessione sull'idea di Italia, ciò che veramente poteva rappresentare un paragrafo (non un capitolo) nuovo negli studi su Dante, si sia poi scivolati su una banale considerazione di Dante nei vari secoli...Albani poteva fare meglio!
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