"Carnivori" contro vegetariani: regimi alimentari a confronto
Il Dottor Caramia risponde alla "provocazione" di un nostro commentatore
In riferimento al commento del Sig. Tommaso, che forse era un po’ innervosito non avendo dormito abbastanza la notte, visto che ha mandato il commento alle 5,20 del mattino dopo aver cancellato tutto quello che (a fatica?) aveva scritto, vorrei far presente quanto segue.
Ritengo di aver sottolineato ampiamente sia l’importanza di non eccedere con le proteine, sia l’importanza delle proteine vegetali, dell’opportunità di un loro apporto equilibrato con quelle animali, e che comunque una dieta vegetariana deve prevedere una equilibrata associazione, ad esempio di cereali e legumi per prevenire delle carenze, in quanto negli alimenti di origine vegetale vi è una insufficienza di qualche aminoacido, che varia da vegetale a vegetale, per cui è indispensabile assumere i vegetali in maniera fra loro equilibrata per non andare incontro a delle carenze.
Le nostre cellule, come quelle di tutti gli altri animali, si differenziano da quelle vegetali in quanto:
– le cellule animali hanno una membrana cellulare formata in prevalenza da lipidi, e più precisamente fosfolipidi (che variano in rapporto ai lipidi introdotti con la dieta: per tale motivo i lipidi della dieta sono estremamente importanti) mentre le pareti delle cellule vegetali sono costituite da cellulosa, un polimero del glucosio, proteine e, per azione di alcuni metabolismi, da lignina ecc.
– le cellule animali hanno, a differenza di quelle vegetali, dei lisosomi deputati alla degradazione e digestione delle molecole a loro estranee o endogene;
– le cellule animali hanno, a differenza di quelle vegetali che ne sono prive, dei centrioli importanti per la mitosi cioè la riproduzione cellulare;
– le cellule animali non hanno, a differenza di quelle vegetali, i così detti plastidi e i cloroplasti che con la clorofilla determinano la produzione di glucosio e ossigeno (O2) dalla anidride carbonica (CO2), sfruttando l’energia solare, cioè la fotosintesi clorofilliana: per tale motivo le piante sono il nostro ossigeno, mentre noi siamo dei produttori di O2;.
– le cellule animali non hanno, a differenza di quelle vegetali, la caratteristica presenza di numerosi vacuoli la cui funzione principale è quella di mantenere il turgore cellulare il pH ottimale ecc.
Tutti questi elementi dimostrano che, tenendo presente le quantità ottimali e senza sminuire il ruolo delle proteine vegetali come su riportato, le proteine animali, per la loro completezza, possono risultare, in particolari situazioni in cui serve una disposizione ottimale di tutti gli aminoacidi (gravidanza, allattamento, seconda-terza infanzia ecc), più appropriate rispetto a quelle vegetali.
Il migliore alimento per i lattanti del regno animale è il latte materno, che nella razza umana, un tempo, veniva assunto ben oltre l’anno di età. Ma questo contiene le proteine animali e se la natura ha reso questa la dieta ottimale, dovrebbe far ameno sorgere qualche dubbio a quanti ricorrono alla dieta vegana, altrimenti la natura avrebbe provveduto diversamente.
E’ inoltre noto che in moltissimi millenni, dall’Orrorin tugenensis, il primo ominide vissuto sei milioni di anni fa (che aveva I canini, la cui dimensione è a metà strada fra l’uomo e lo scimpanzé, a testimoniare una dieta onnivora basata su frutta dalla buccia coriacea e da piccole quantità di carne) all’Ardipithecus ramidus ominide vissuto 4 milioni e mezzo di anni fa, all’Australopithecus afarensi (la famosa Lucy così chiamata dai suoi scopritori in onore della canzone Lucy in the Sky with Diamonds dei Beatles) intorno ai 3,2 milioni di anni, tutti assumevano proteine animali.
Secondo Shannon McPherron, archeologo all’Istituto Max Planck per l’Antropologia Evolutiva di Lipsia, in Germania, "Nei musei si vedono immagini di Lucy che cammina per l’Africa Orientale alla ricerca di cibo, mentre adesso potremo mettere un utensile in mano a Lucy", in quanto sarebbero stati usati degli utensili in pietra appartenuti all’Australopithecus afarensis, cioè alla famosa Lucy (i cui resti sono conservati nel museo di storia naturale a New York) per rimuovere la carne dalle ossa e per estrarre il midollo, scoperta (riportata anche dalla rivista scientifica Nature) che “potrebbe anche portarci a riconsiderare la relazione tra il volume del cervello dei nostri antenati e la loro dieta a base di carne” (secondo illustri studiosi e ricercatori vi sarebbero pertanto dei rapporti fra apporto di proteine animali e sviluppo cerebrale nel corso dei millenni). I suoi denti erano adatti a un’alimentazione onnivora. Gli Australopitechi pertanto si nutrivano occasionalmente di carne, un po’ come fanno oggi gli scimpanzé.
L’Homo habilis, vissuto da 2,4 a 1,5 milioni di anni fa, viene già ritenuto uomo per le sue abilità manuali: utilizzava, infatti, strumenti rudimentali per la caccia. Presenta un aumento del volume cerebrale che raggiunge i 600 cc ed è così chiamato per la capacità di costruire strumenti in pietra, cosa che richiede una certa manualità e quindi un cervello più sviluppato. Si nutriva prevalentemente di carne.
L’Homo erectus, vissuto fra 1,6 milioni di anni fa e circa 300-100 mila anni fa, diretto discendente dell’habilis è ormai un cacciatore-raccoglitore molto simile all’uomo. Di questa specie il ritrovamento più importante è quello fatto in Kenia, soprannominato ragazzo del Turkana (i cui resti sono conservati di fianco a quelli di Lucy nel museo di storia naturale a New York). La struttura del cranio, i denti e il torace indicano un’alimentazione prettamente carnivora, quindi con abitudini di cacciatore anche di grossi animali e di pescatore. Il volume celebrale è di circa un terzo più grande di quello dell’Homo habilis (da 600 cc a 900 cc, ma arriva fino a 1200 cc). Circa 500.000 anni fa l’Homo erectus scopre il fuoco.
Secondo alcuni, per analogia con attuali popolazioni di cacciatori/raccoglitori, è probabile che le calorie fornite dalla carne non superassero mai 1/3 delle calorie totali. Infatti un’assunzione di proteine in quantità superiore al 50% delle calorie totali avrebbe portato a patologie (Speth 1989, 1991).
L’Homo sapiens arcaico usava coltelli di pietra e segni obliqui sugli incisivi, indicando un uso di carne Tuttavia l’abbondanza e l’orientamento delle strie prodotte da materiale abrasivo, simili a quelle delle attuali popolazioni prevalentemente vegetariane, mostrano una dieta formata prevalentemente da materiale vegetale (Lalueza et al. 1996b).
Anche per l’uomo moderno o Homo sapiens moderno sembra che la carne non abbia mai costituito la base dell’alimentazione. Infatti l’esame dei fitoliti dello smalto dei denti e del tartaro ha mostrato un uso prevalente di cereali come alimenti (Lalueza et al. 1996a). L’usura dei denti mostra un’abbondanza ed un orientamento delle microstrie simile a quelli delle popolazioni moderne prevalentemente vegetariane (Lalueza et al. 1996b). Il rapporto stronzio/calcio era piuttosto elevato nel Mesolitico (10.000 e 8.200 anni fa), indicando un’alimentazione prevalentemente basata su vegetali; tuttavia in seguito, nel Neolitico (da 8.200 a 5.000 anni fa), aumentò nuovamente, forse a seguito dell’allevamento di animali (Grupe 1995).
La riduzione dei denti postcanini, e specialmente del terzo molare, che spesso manca (dente del giudizio), sta ad indicare un cibo di minore consistenza che in precedenza, probabilmente a causa dell’uso del fuoco per cucinare. Va inoltre rilevato che l’uomo moderno ha lo spessore dello smalto maggiore di quello dell’uomo di Neandertal (da 100.000 a 30.000 anni fa, specializzato per un’alimentazione più carnivora)(Zilberman & Smith 1992, Molnar et al. 1993), anche se ambedue l’hanno un po’ minore di Australopithecus cosa che potrebbe indicare un minor uso della carne da parte dell’uomo moderno, rispetto a quello di Neandertal.
Come si può vedere, le proteine animali sono state presenti, sia pur in quantità variabile, nell’alimentazione dell’uomo fin dalle sue origini più lontane mentre l’obiettivo principale della nutrizione è progressivamente evoluto. Inizialmente lo scopo essenziale era quello di saziare la fame, poi si è pensato che era necessario apportare energia al corpo e, successivamente di prevenire i deficit nutrizionali e le malattie carenziali per mantenere lo stato di salute.
Dagli anni 1950, indagini epidemiologiche hanno evidenziato il ruolo della qualità degli alimenti nel condizionare lo stato di salute di intere popolazioni, ed è emersa l’importanza della “Dieta mediterranea” per cui le popolazioni del Mediterraneo, per il fatto di assumere olio d’oliva come lipidi, molta frutta e verdura hanno meno patologie croniche-degenerative di altre popolazioni del Nord Europa.
E’ stato inoltre evidenziato che gli Esquimesi, nonostante la loro dieta povera di frutta e verdura e ricca di lipidi e proteine, rappresentati però da olio di pesce e pesce, presentano meno patologie cardiovascolari di altre popolazioni nordiche. Ugualmente i giapponesi, che vivevano nell’isola di Okinawa, hanno detenuto il maggior numero di centenari fino a circa 15 anni fa in quanto la loro dieta era basata su pesce, frutta, verdura, pochi grassi e sale con un apporto calorico più basso del 30% rispetto agli occidentali ma apporto di flavonoidi otto volte superiore a quello degli Stati Uniti. In tali soggetti i livelli ematici di omocisteina e di colesterolo, importanti fattori di rischio cardiovascolare, erano i più bassi del mondo e la maggior parte delle persone aveva un indice di massa corporea compreso tra 18 e 22. Quando è stata abbandonata la dieta tradizionale e vi è stato un notevole aumento nel consumo di grassi sostituendo inoltre il pesce con la carne, è aumentato il numero degli obesi e la longevità si è notevolmente ridotta avvicinandosi a quella dei paesi occidentali industrializzati (181,182).
Tali riscontri hanno portato nel corso degli anni a formulare dapprima delle raccomandazioni, valide per intere popolazioni e distinte per sesso ed età, e successivamente, con l’avvento della nutri genomica a tenere in considerazione anche i possibili fattori di rischio del singolo individuo dovuti alla variabilità genetica (183).
Per la realtà scientifica sotto vengono riportate alcune voci bibliografiche di personaggi illustri anche vegetariani (dal tono del commento il Sig. Tommaso sembrerebbe un vegetariano) che riportano quanto da me scritto e dalle quali da tempo ho in parte appreso quanto so. Sono Autori che certamente non “distorcono la realtà”, “non scrivono per complicità” , “hanno l’apertura mentale” alcune delle quali, visto la loro importanza, si possono trovare in maniera sintetica anche su Google per cui, per compiacerlo, ho inserito una voce che, in questa occasione, ho visto essere riporta parzialmente su Google (era stata riportata dalla rivista Nature).
Bibliografia
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- Angela P, Angela A. La straordinaria storia dell’uomo" Mondadori Editore 1989.
- Levi Montalcini R. La galassia mente. Ed. Baldini & Castoldi. 2001.
- Leonard WR. Cibo per pensare. – Le Scienze n.413 2003.
- Lucy macellava animali? (National Geographic)
- Caramia G. Dagli alimenti alla nutrigenomica: attualità. Ped. Med. Chir. (Med. Surg. Ped.), 2010;32:145-160.
Del Dr. Giuseppe Caramia
Primario Emerito di Pediatria e Neonatologia
Azienda Ospedaliera Specializzata Materno-Infantile "G.Salesi"
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