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Marangoni si difende dall’accusa di truffa e riciclaggio

"Io la vittima, pagavo anche 150 mila euro al mese per coprire alcuni interessi. Processo mediatico"

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Stefano Marangoni, Domenico LisoStefano Marangoni si difende. Sostiene di essere lui la vittima di una truffa perpetratagli dai quadri direttivi della Banca del Titano. E’ questo il succo dell’incontro che lo stesso Marangoni, indagato per riciclaggio dal Tribunale di Ancona per un giro di milioni di euro, ha voluto come occasione per ribattere alcune dichiarazioni e pubblicazioni che gli hanno reso la vita difficile: "Contro di me un processo mediatico" afferma.

La vicenda era venuta fuori lo scorso 30 giugno quando sulla stampa locale venne pubblicata la notizia che l’imprenditore fabrianese residente a Senigallia era stato indagato per riciclaggio e frode ai danni dell’istituto di credito della Repubblica di San Marino. Un procedimento che ne richiamava a sua volta un altro, quello portato avanti dal Tribunale commissariale di San Marino risalente al 2007: l’accusa in quel caso era per concorso in truffa insiema a M. F. e ad A. P., con i quali comparirà a giudizio il prossimo 20 settembre.

E questo è uno dei punti per cui Marangoni ha voluto difendersi dalle pubblicazioni sulla stampa: "Da quando sono apparsi quegli articoli – afferma – praticamente gli istituti non mi concedono più credito, non riesco più a cambiare un assegno circolare: sono stato leso, pur avendo portato al giudice commissariale della documentazione che io e il mio avvocato Domenico Liso abbiamo portato dall’istituto di credito per far luce sulla vicenda, documentazione che ci veniva puntualmente nascosta con le scuse più assurde".

Ma non è il solo problema per l’imprenditore: perchè se il 20 settembre comparirà dinanzi al Tribunale sanmarinese, c’è anche il tribunale di Ancona che indaga sui soldi della truffa alla banca: l’accusa in questo caso è di riciclaggio del denaro che scompariva tramite un giro di assegni per la quale verrà sentito il prossimo 29 luglio sotto sua richiesta insieme ad altre 15 persone per smentire le accuse mosse dal Gico.

"Dal 2002 – afferma Stefano Marangoni – è iniziato il mio rapporto con la Banca del Titano che mi concesse delle linee di credito, inizialmente su alcuni assegni post-datati dei clienti delle mie società", negozi di abbigliamento tra Senigallia e Fano oltre al ristorante-discoteca Bahia di senigallia. "Presentando i titoli alla Banca, questa erogava l’importo anche grazie ai certificati di deposito posti come garanzia di cui ora non si ha più traccia. Quando però ho avviato un’attività di compravendita di auto di lusso usate, ho avuto bisogno di maggiore liquidità: liquidità che mi veniva concessa attraverso mutui accesi presso la stessa banca che aggravavano la mia posizione in quanto, solo per interessi passivi, sono arrivato a pagare anche 150mila euro al mese".

Marangoni afferma anche che gli furono suggeriti acquisti e altre operazioni con il sistema di accensione di altri mutui, fino a somme intorno al milione di euro. Soldi che poi dall’istituto non venivano mai erogati e che hanno causato una crisi di liquidità: "Fu allora che fui costretto a mettere in piedi il famoso giro di assegni di circa 900 mila euro che quotidianamente si intrecciava sui conti delle varie società e che non si può considerare riciclaggio ma semmai autofinanziamento. In attesa che cambiasse qualcosa. Quel qualcosa arrivò ed erano i titoli "zero coupon" che per il Gico sono il capro espiatorio della truffa, ma che in realtà arrivarono solo alla fine della vicenda e a ridosso del commissariamento della banca".

Inoltre altri addebiti e accrediti furono effettuati senza il consenso del titolare dei conti correnti, o con la dicitura "come da disp." al posto della firma oppure falsificando proprio la firma, completamente "a mia insaputa", continua Stefano Marangoni.

Insomma, Marangoni, insieme al suo avvocato Domenico Liso, ha illustrato un giro di assegni e crediti/debiti da cui non è potuto uscire perchè in crisi di liquidità, crisi determinata dal giro stesso in cui era finito. Fino a che il debito ai suoi danni non è arrivato a diversi milioni di euro, 12 circa. E fino a che la banca non ha chiuso i battenti, dopo un breve periodo di commissariamento. Successivamente la stessa banca ha cambiato nome e riaperto: nella figura del direttore il commissario dell’istituto chiuso.

di Carlo Leone

Carlo Leone
Pubblicato Martedì 20 luglio, 2010 
alle ore 14:28
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