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Islam: Il Patto della Pre-Eternità (2)

dal Prof. Gianfederico Tinti

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La riflessione sulle radici culturali coraniche della mancata distinzione tra religione e politica può aiutarci a comprendere più in profondità i termini del dibattito culturale e politico riguardante l’Islam.
Innanzitutto, è opportuno precisare che ci troviamo di fronte ad una grande civiltà, che ha dato un notevole contributo culturale all’umanità intera. Ricordiamo alcuni ambiti: la medicina, la matematica, le acquisizioni del pensiero greco ecc…Come mai, da una civiltà evoluta, è scaturito un atteggiamento di rancore e violenza verso l’Occidente, che si esprime in gesti per noi assurdi oltreché disumani?
Le cause sono molteplici: alcuni sottolineano le condizioni di povertà delle nazioni islamiche e gli effetti della colonizzazione dell’Occidente, altri che le radici della violenza vadano cercate più in profondità, da un lato nell’impeto guerriero del testo coranico – che andrebbe però contestualizzato nell’epoca storica di Maometto -, dall’altro nella mancata assimilazione dei processi culturali moderni da parte del mondo islamico.Noi vogliamo sottolineare alcuni aspetti teologici della questione, operando anche opportuni confronti culturali, per evidenziare l’influsso delle concezioni religiose sulle usanze e sulla legislazione civile.
Stabiliamo un primo parallelo tra la dottrina del peccato originale e quella islamica del patto della pre-eternità, per coglierne le implicazioni sociali.
Conosciamo la dottrina cattolica del peccato originale basata sul noto testo della Genesi. Il divieto fatto all’uomo di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, "perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti" (Gn 2,17) evoca simbolicamente il limite creaturale e invalicabile che l’uomo deve liberamente riconoscere e rispettare. Il Catechismo della Chiesa Cattolica commenta: "Le conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l’espressione di san Giovanni: il peccato del mondo (Gv 1,29). Con questa espressione viene anche significata l’influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini" (408).
La vita dell’uomo è una lotta, una tensione, un combattimento, infatti: "In conseguenza del peccato originale, la natura umana è indebolita nelle sue forze, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, e inclinata al peccato (inclinazione che è chiamata concupiscenza)" (418). La dottrina cristiana non si spinge più oltre, quindi nessuno nasce ebreo o cristiano e nessuno può ricevere per la sua fede la collocazione automatica in una categoria sociale. Gli uomini nascono con una inclinazione al male, ma sono tutti eguali di fronte a Dio e nella vita sociale.
Nell’Islam la concezione originaria è profondamente diversa, se non opposta. L’uomo nasce integro, con un orientamento interiore al divino e già appartenente alla comunità. E’ l’educazione ricevuta in famiglia che lo conferma o lo disvia da questo atteggiamento. I profeti che si sono susseguiti, solo come "guide e ammonitori", ricordano all’umanità il patto di "a làstu", avvenuto alle origini:
"E quando Signore trasse dai lombi dei figli di Adamo tutti i loro discendenti e li fece testimoniare contro se stessi: ’Non sono io (a làstu), chiese il Signore?’. Ed essi risposero: ‘Sì, certamente!" E questo facemmo perché non aveste poi a dire, nel giorno della risurrezione: ‘Noi non lo sapevamo !’ " (7, 172).
Nel passo coranico viene descritto il grande patto della "pre-eternità" ( mithaq) stipulato da Dio con la stirpe di Adamo, che impegna tutti gli uomini e ciascun uomo a riconoscere Iddio, rinunziando ad ogni idolatria e a rendergli un culto di sincera adorazione.Ciò significa che nel cuore dell’uomo, nell’interiorità della coscienza c’è una predisposizione naturale a riconoscere Dio, una sorta di "religione naturale" (fitra) che orienta l’essere umano verso il suo Creatore e rende inescusabile l’ateismo.
Le conseguenze di questa dottrina, che capovolge la concezione cristiana sostenente la fragilità della natura umana ferita dalla colpa originale, si riflettono sulla vita sociale, infatti, se gli uomini hanno aderito – nel momento metastorico del grande patto – al monoteismo assoluto, allora fin dalla nascita essi sono tutti musulmani.C’è una solidarietà originale nel bene, dal quale, però, è grave dissociarsi, perciò se tutti nascono musulmani ne consegue che allontanarsi dall’Islam è particolarmente condannato. Sono i genitori che trasmettono credenze ingannevoli, educando nell’errore figli altrimenti segnati dalla verità.Da tale dottrina scaturisce la suddivisione della società in quattro grandi categorie: i musulmani, i dhimmi (protetti), i kafir (politeisti e atei), i murtadd (rinnegati), con diritti via via limitati e, inoltre, che il matrimonio è permesso fra coniugi di religioni diverse solo nel caso in cui il marito sia musulmano. Questo sostiene la Saharìa, fonte della legislazione statale in varie nazioni, con conseguenze assai pesanti per chi non condivide la fede islamica.
Approfondiremo questo tema nella prossima comunicazione. (Segue)

Redazione Senigallia Notizie
Pubblicato Venerdì 10 marzo, 2006 
alle ore 9:54
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