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Martedì 26 novembre proiezione di “American beauty” alla Piccola Fenice

Appuntamento alle ore 21.15

Senigallia Concerti 2024/25 - Concertando - 6 dicembre 2024
rassegna cinematografica Linea d'ombra

Martedì 26 novembre ore 21:15 alla Piccola Fenice di Senigallia, proiezione di “American Beauty” per il ciclo “Una voce fuori campo”.

La prima “voce fuori campo” che inaugura questo nuovo ciclo di Confluenze Cinema è quella del defunto Lester, 42enne depresso, la cui vita triste e monotona con la moglie Carolyn (Annette Benning) prende una svolta nel momento che incontra Angela (Mena Suvari), adolescente amica della figlia Jane (Thora Birch). Dalle sue parole apprendiamo i fatti che hanno portato alla sua morte (un po’ come succedeva a William Holden in “Viale del tramonto”, il capolavoro di Billy Wilder che verrà proiettato martedì 11 febbraio 2025 all’interno della stessa rassegna). Ad interpretarlo è Kevin Spacey, che proprio con questo ruolo ottenne il suo secondo Oscar (il primo come attore protagonista), e lo trattenne nella leggenda fino alle note vicende di accuse per molestie sessuali.

Ha un’anima divisa in due “American Beauty”, girato da Sam Mendes nel 1999 e uscito nei cinema a gennaio 2000. Rivisto oggi può apparire datato? Eppure non lo è, perché è stato lo stampo evolutivo ed istantaneo di un metodo a venire, tanto fu il successo all’epoca. Una grandinata di premi, tra cui tre Golden Globe e sei Bafta, nonché 5 oscar (su ben otto nomination), vinti su quasi tutte le categorie principali, inclusi film, regia e attore (come si diceva sopra, lo zenit della carriera di Spacey), E (RI)valutato ai giorni nostri si spalanca nuovamente la visione (ma lo sapevamo) di un film apripista, che ha lasciato dietro di sè molti epigoni e ha spaccato in due la storia del cinema con un taglio evidente. E in un senso ben specifico: “American Beauty” è allo stesso tempo sia l’ultimo grande classico del novecento che il primo grande film del nuovo millennio. Unico, quindi, e di un’importanza monumentale. Da lì a breve il cinema avrebbe cambiato le fattezze, sarebbe diventato liquido, non più tangibile. La costruzione dei tempi nel cinema, ormai digitale, si sarebbe diversificata, indebolita a scapito di una forma più stemperata ed adeguata alle nuove tecnologie. Neppure il suo autore, Sam Mendes, nonostante gli ottimi risultati conseguiti con i suoi successivi lavori ha saputo più mantenere questa forma bilaterale-coassiale.

Un classico, si diceva, di questo “American Beauty”, ormai lo è di sicuro. E come i classici che si rispettano ha influenzato molto il cinema di lì a venire, per il suo piglio drammatico spennellato di dissacrante ironia. Merito questo, oltre che della perfetta regia di Mendes, da condividere con il cast e tutto il comparto tecnico-artistico coinvolto: la sceneggiatura di Alan Ball, la magnetica colonna sonora di Thomas Newman (divenuta famosissima, e che anch’essa ha generato imitazioni infinite, tanto da segnare per tutto il decennio e oltre cinema e tv con quella stessa atmosfera da “new millenial”) e la fotografia di Conrad L. Hall (premiata con l’Oscar), che rimane esemplare nel ritrarre “frontalmente” la vicenda e imprigionare i protagonisti dapprima nella monotonia, rappresentata con quadri sgargianti di colori edulcorati, antitetici, per poi liberarli alla fine attraverso l’evoluzione della storia, sempre più grigia e scura, in una cupa dimensione da noir.

All’epoca tutto il cast fiammeggiava, e spiace constatare che con il passare del tempo la notorietà dei tre giovani co-protagonisti (Thora Birch, Mena Suvari e Wes Bentley) sia venuta a meno, nonostante il successo planetario del film. Annette Benning, nel ruolo della moglie insoddisfatta, si immerge letteralmente in un uno dei ruoli più riusciti della sua carriera. Determinanti nella storia i personaggi interpretati da Chris Cooper e Allison Janney (i vicini di casa), quasi i più eccezionali di tutti, nei loro ruoli alla deriva e dalla psicologia fortemente caratterizzata.

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