La morte di Licia Rognini Pinelli. Il ricordo dell’Associazione di Storia Contemporanea
La 96enne, vedova di Giuseppe Pinelli, era nata a Senigallia
La mattina di lunedì 11 novembre è morta a Milano, all’età di 96 anni, Licia Rognini Pinelli, vedova di Giuseppe, l’anarchico trattenuto per tre giorni e poi defenestrato dalla Questura meneghina nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969.
Licia aveva 96 anni, gli ultimi 60 dei quali trascorsi alla ricerca della verità e della giustizia per la morte del marito, il militante ingiustamente accusato della bomba di Piazza Fontana; aveva poi passato il testimone della sua battaglia per la verità alle figlie Silvia e Claudia. Insignita dall’ex capo di Stato Giorgio Napolitano dell’onorificenza dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, Licia non ci teneva ad essere citata e a comparire: donna concreta e di poche parole, ha sempre continuato a credere che sul decesso del marito non fosse stata fatta verità fino in fondo, permanendo versioni false e menzognere.
Licia era nata a Senigallia il 5 gennaio 1928, figlia di un falegname anarchico che, sotto il regime, non trovava più lavoro.
“Grazie a un’importante mediazione – ricorda il prof. Marco Severini (Università di Macerata) che, come presidente dell’Associazione di Storia Contemporanea, era andato a intervistarla durante il ponte dei Santi del 2019, ricavandone poi il libro “Licia. Storia della prima italiana che denunciò un questore” (Marsilio, 2020) – trovò il posto alla Pirelli di Milano: così l’intera famiglia si trasferì nella metropoli lombarda e il primo impatto per l’ancora infante era stata un enorme caseggiato di viale Monza in cui abitavano centinaia di persone”.
Licia aveva cominciato a lavorare a 13 anni, a Milano nel settembre del 1941, dopo aver lasciato le scuole dell’avviamento: il suo primo incarico l’aveva ottenuto in uno studio di compravendita cosicché accompagnava a piedi, oppure con il tram, i clienti in tribunale o in municipio per comperare o vendere delle case. Quando Milano venne colpita dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, i genitori mandarono Licia a Roma dai parenti e nella capitale incontrò, nel 1945, Adele Bei, una delle donne più carismatiche del momento. Seguirono nuovi lavori e, negli anni Cinquanta, la conoscenza e il matrimonio con Giuseppe Pinelli (per tutti Pino), un uomo che credeva nell’impegno politico, nella pace e nella giustizia, ed era affascinato dall’obiezione di coscienza. Un uomo che di fatto divenne la “18esima vittima di Piazza Fontana”.
Il resto è storia. Una pagina intensa di storia che i giovani di oggi dovrebbero conoscere e che l’Associazione di Storia Contemporanea è andata a raccontare, dal dicembre 2019, nelle scuole e nelle università.
“Domani ne parlerò all’Università di Bologna, ma in quella in cui insegno sono rimasto sbalordito – continua il prof. Severini – dall’interesse che la vicenda di Licia e Pino ha suscitato tra gli studenti universitari, segno forse che l’omologazione e l’appiattimento non hanno ancora vinto”.
Licia tornava spesso a Senigallia, specie d’estate, fino a qualche anno fa. L’Associazione di Storia Contemporanea ha subito inviato le condoglianze alle figlie e s’impegna a continuare la testimonianza di studio e di ricerca su questa pagina dell’Italia contemporanea.
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