“Canti e balli dei campagnoli senigalliesi”, la recensione
L'evento durante la festa del Cuntadin di Montignano di Senigallia
Il libro del dott. Donato Mori “Canti e balli dei campagnoli senigalliesi” è stato presentato domenica 19 maggio a Montignano nell’ambito della Festa del cuntadin, riscontrando un notevole successo di pubblico.
La presentazione è riuscita grazie anche all’esecuzione dal vivo di un assaggio di canti contadini ad opera dello stesso Mori (organetto e voce) e del gruppo La Sciabica Folk”, che ha reso possibile rivivere l’antica atmosfera marchigiana.
Il testo di Mori è il risultato di una ricerca meticolosa e certosina.
L’autore, infatti, ha rinvenuto e trascritto centinaia di stornelli campagnoli, ormai quasi introvabili o di difficile reperimento, che rischiavano una perdita irreparabile, inghiottiti dall’oblio del tempo. Sono versi poetici, tramandati di generazione in generazione per via orale da gente spesso analfabeta o scarsamente scolarizzata, resi suggestivi nella pubblicazione da vivide descrizioni d’epoca, da immagini di luoghi e persone di un mondo degno di essere consegnato alla storia.
La vitalità del volume è data anche dall’accurata trascrizione delle melodie, che alleviavano la dura fatica dei lavori nei campi. Il tutto accompagnato dalla incantevole varietà dei balli, quali il saltarello, la paroncina, la frullana. Molte volte si trattava di canti d’amore fra uomo e donna in un clima di serenate romantiche, non sempre aliene da erotiche malizie. Degna di apprezzamento è la prefazione di Mauro Mangialardi, rappresentante dell’“Associazione Promotrice Montignanese”, il quale, tra l’altro, ha messo a disposizione di Mori una registrazione su musicassetta di diversi stornelli custodita nel suo archivio sonoro. In questa sede non è possibile dilungarsi sui tanti personaggi e sulle molteplici annotazioni che donano grande ricchezza culturale all’opera. Più agevole è mettere in evidenza i suoi significati essenziali. Al lettore attento non sfugga il legame sottile fra la poesia alta e la poesia popolare.
Le prime raccolte ottocentesche dei canti marchigiani ci sono pervenute grazie a Giacomo Leopardi e al fratello Pierfrancesco. Il poeta recanatese può considerarsi il precursore del folclorismo nelle Marche.
In molti dei suoi versi risuona l’eco di quel mondo contadino e artigianale, che ben conosceva, fatto di fatica, durezza e povertà, ma anche di forza morale, di lieta laboriosità e di momenti di allegria. Nei poeti minori, che la scuola tante volte ci ha costretto a leggere, l’ispirazione poetica è soffocata dall’artificio, dalla erudizione fine a se stessa, se non dalla piaggeria nei confronti del principe o del potente di turno. Il canto contadino, invece, è schietto, spontaneo, genuino, libero da inutili orpelli o da compiacenze e adulazioni di corte. Non dimentichiamo che la cultura si è tramandata attraverso i secoli per via orale, solo in seguito è stata scritta. L’oralità è la sua origine. Mori ci riporta alle scaturigini della civiltà, contribuendo alla conservazione della memoria di un mondo che più non esiste e sempre più destinato ad allontanarsi da noi nell’incessante e frenetico tempo storico.
Di qui il suo pregio.
Giulio Moraca – Biblioteca Luca Orciari di Marzocca
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