Intervista all’artista Chiara Diamantini: l’ha incontrata Stefano Schiavoni
Alcune domande a pochi giorni dalla chiusura della sua mostra personale al Palazzetto Baviera di Senigallia
La mostra di Chiara Diamantini al Palazzetto Baviera di Senigallia (aperta fino all’8 ottobre 2023 ndr) ha riscosso un grande successo nella calda estate senigalliese.
Le sue opere sono un percorso nel deposito letterario di ognuno, l’artista ha costruito meta-materiali, non commenti, non illusioni, non rovesciamenti di segno, ma unicamente la propria poesia come scrive di lei Mirella Bentivoglio.
Al termine di questa iniziativa espositiva, che segue le mostre dedicate alla Bentivoglio nel maggio 2022 e a Eugenio Miccini del marzo scorso, abbiamo rivolto all’artista alcune domande:
– L’opportunità di vivere a Senigallia è stata per te una scelta. Ricordo quando sia Mirella che Eugenio ti invitavano a collaborare con residenze non solo italiane, ma tu sei sempre ritornata nella tua città.
La collaborazione con Mirella era uno scambio culturale. Ogni mostra, ogni allestimento, sono stati occasioni per imparare sempre qualcosa in più. Una bella amicizia e così con Miccini, anche se con più limiti. Ma…meglio mantenere una certa distanza da questi personaggi delle volte un po’ “ingombranti”! Il ritornare a casa era un piacere e lo diventava pure il ripartire. Senigallia era il punto fermo. L’ora del crepuscolo su questo mare mi si adatta perfettamente e, altrove non è così.
– La mostra personale negli spazi suggestivi del Palazzetto Baviera, fa ripercorrere ai visitatori un viaggio nella tua lunga esperienza artistica, se dovessi fornire una traccia per la lettura del tuo lavoro?
Questo allestimento mi sembra riuscitissimo, crea un’atmosfera particolare. Le opere non sono state esposte con una cronologia temporale, ma secondo un accostamento estetico. Giusta la parola “traccia”. Ogni frase o verso sono come una traccia lasciata dalle letture. Chi visita la mostra fa un viaggio personale guidato non dalla mia esperienza artistica, ma dalla propria sensibilità. Ogni opera è aperta all’interpretazione individuale, possibile anche se non si conosce l’autore letterario.
– Ci conosciamo non diciamo da quanto… Quindi il tuo particolare interesse, direi amore per la letteratura e la scrittura che hai fatto diventare il tuo lavoro. Come hai scelto e scegli autori ed opere?
Leggo libri per il piacere di leggere; poi tra loro ci sono quelli che mi “offrono” una lettura particolare. Dal 1972 ho rivisitato di volta in volta un’opera letteraria traendone – mediante prelievi di frammenti di frasi e inserimenti di immagini- un significato diverso. In questo modo ho trasformato in opera poetica mia, opere di molti grandi scrittori e poeti come Proust, Leopardi, Breton, Kafka, Shakespeare, Gadda, Sanesi, Montale e altri.
– Sappiamo che oggi velocità e sintesi sono i veicoli della comunicazione quotidiana. Se dovessimo produrre una definizione sintetica di Poesia Visiva?
Se prendi il dizionario Devoto-Oli c’è la definizione redatta da Eugenio Miccini nel ’71 “Poesia Visiva: indirizzo artistico contemporaneo diretto all’ottenimento di composizioni in cui parole e immagini (segni e figure) si integrino reciprocamente senza soluzione alcuna di continuità dal punto di vista semantico”. Più chiaro di così.
– Tu sei oggi un punto di riferimento, un’artista conosciuta, apprezzata e ancora assai “in laboratorio”. Come consideri la presenza e l’attività, in questi tempi anche polemici, delle strutture museali e d’archivio?
I Musei sono i luoghi dell’anima, della meraviglia; gli archivi sono la nostra memoria. Entrambi sono una ricchezza di cui avere cura. A proposito di essere “in laboratorio” spero di continuare a lungo a fare tante altre cose insieme.
Certamente, ci aspettano altri progetti, ma come sempre non disveliamo nulla.
Stefano Schiavoni
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