Il governo è retto da un tecnocrate legittimato dalle oligarchie finanziarie e non dal voto, l’opposizione per i 2/3 al governo non riesce più a rappresentare il dissenso sociale, civile e sanitario dei cittadini; al popolo italiano non rimane altra scelta che disertare le urne a larga maggioranza.

In questa situazione di profonda disaffezione, che il centrosinistra vinca a man bassa le competizioni amministrative è comprensibile, addirittura conseguente.

Il partito-establishment euro-entusiasta vince facilmente se l’avversario si scompone o meglio si decompone. La percezione più diffusa fra la gente è che si va inutilmente a votare come (purtroppo) si va inutilmente in piazza. Non si ottiene nulla, così come non ci si deve aspettare più nulla da nessun leader politico. Né Lega, né Fratelli d’Italia, né tanto meno i grillini riescono ad intercettare lo stato d’animo della gente al quale bisogna aggiungere (last but not least) lo scarso spessore dei candidati di centrodestra.

E’ quindi falsa e mistificatoria (come potremmo non stupirci) la narrazione dominante che la sinistra si sia ripresa l’Italia, come se l’elettorato dopo aver inseguito la sirena populista si sia ravveduto tornando alla ragione.

Sfortunatamente, è vero il contrario: la fetta più dissidente non si sente più rappresentata dai tre partiti sopramenzionati e, indebolendo questi, rafforza gli altri per mera sottrazione. I delusi, infatti, entrano in infiniti gruppuscoli, in ranghi sparsi non componibili aderendo a molte battaglie radicali fra le quali quella sui temi del vaccino/green pass è sicuramente la più consistente. In realtà la sconfitta del centrodestra non è la vittoria dei moderati responsabili, bensì la diserzione dal voto dei dissidenti radicali. Dissidenti radicali che in Italia rappresentano circa il 20-25% dell’elettorato, ovvero una consistenza pari a quella del centrosinistra e che da tempo, non riconoscendosi più nei partiti cosiddetti moderati, era in buona parte confluita nei 5 stelle e nella Lega. Nelle ultime elezioni queste persone, pur convergendo in minima parte sul partito della Meloni, hanno per lo più disertato le urne allontanandosi con disgusto dalla politica, né sono più disposti ad infatuarsi (come avevano fatto con i 5 Stelle) per qualche nuovo profeta dell’antipolitica. Insomma si chiamano fuori. Per loro la politica non è più in grado di cambiare il corso delle cose, di intervenire sui temi sociali rilevanti, di opporsi ai grandi poteri transnazionali che hanno da tempo pianificato un neo-socialismo di tipo fabiano a scapito delle ricchezze del ceto medio. Chiunque comandi (si fa per dire), deve seguire un percorso obbligato disegnato a Bruxelles, non può sgarrare, siamo sotto il giogo Europeo, dentro il guscio global.

Infine, bisogna ammettere che c’è forse una reale maggioranza trasversale nel paese che potremmo definire “sostenitori del meno peggio”, la quale, alla fine della fiera, preferisce tenersi il nominato Draghi anziché arrischiarsi in altri percorsi troppo costosi, dal momento che l’agibilità internazionale di un governo alternativo sarebbe tutta da costruire.

A.P.S. NOVUM
Claudio Piersimoni
Egidio Cardinale
Francesca Mancinelli
Caterina Rinaldi
Giorgio Sartini