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Dalla rivolta agli scout alle porte del Paradiso. Ritratto di Luca Paci e Roberto Primavera

Prosegue la rubrica "Ritratti" curata da Enrico Carli

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"Teatro alla Panna". Rubrica ritratti

Prosegue la rubrica “Ritratti” curata da Enrico Carli. Storie di imprenditori, artisti, artigiani e professionisti che hanno un progetto, un’idea per il presente e per il futuro. La città si racconta attraverso le persone che ci vivono e fanno qualcosa, anche di piccolo, perché questa comunità sussista e possa fornire svago, cultura, introiti e il cambiamento di cui abbiamo bisogno in un momento di ricerca verso una società più sostenibile.

Come vi siete conosciuti, voi due?

Luca: Storia infinita… ci siamo conosciuti da bambini, lui aveva quattordici anni io dodici. Eravamo negli scout insieme e da quella volta non ci siamo più lasciati. Abbiamo fatto una piccola rivoluzione, agli scout.

In che senso rivoluzione?

Luca: Che siamo scappati da un campeggio. Se andiamo a rivangare non finiamo più.

Roberto: Siamo stati “cacciati”.

Luca: Cacciati? Vabbè.

Voi due soli?

Roberto: No, eravamo in quattro.

Quindi un’amicizia di lunghissima data.

Roberto: Assolutamente.

Senza nessuna interruzione?

Luca: Da adolescenti si stava insieme davvero tutti i giorni, poi abbiamo fatto l’università insieme, poi i burattini…

Anche la stessa università?

Luca: Sì, il DAMS a Bologna.

Roberto: Senza laurearci, entrambi.

Vivevate nello stesso appartamento?

Roberto: Sì. Poi abbiam fatto politica insieme ai tempi del liceo, gli scout fino a età adulta… un’amicizia consolidata dalla condivisione di parecchie esperienze.

Luca (ridacchiando): Stava con mia sorella.

Roberto: Io ho un debito di riconoscenza nei confronti della famiglia di Luca. Sono di estrazione popolare, e da adolescente frequentare la casa di Luca per me è stata una cosa importante.

Per la personalità del padre? (docente di storia e scrittore, ndr).

Roberto: Anche della madre, che insegnava filosofia alla superiori e poi alle medie, meno conosciuta ma altrettanto forte.

Avete riadattato classici per l’infanzia come Cappuccetto Rosso e Hansel e Gretel, ma l’avete fatto a modo vostro, in uno di questi casi fornendo al pubblico un telecomando per poter cambiare il corso degli eventi, nell’altro inscenando le controversie dei due burattinai sulla corretta rappresentazione della fiaba. Questo metateatro di burattini è un modo per divertire anche i genitori dei bambini o anche un mezzo per far coesistere le diverse versioni di queste celebri fiabe?

Luca: Allora, ci sono due aspetti che sono per me molto importanti. C’è sempre piaciuto fare un teatro che noi chiamiamo di piazza o popolare, il nostro pubblico è stato per decenni quello della Piazza delle Erbe di Senigallia, con quel tipo di pubblico. Perciò arrivavano le vecchiette, i passanti solitari, le famiglie, e quindi una dimensione che non è mai stata per soli bambini. Abbiamo fatto molte commedie, alcune cose in dialetto, musical di burattini, anche spettacoli su argomenti un po’ scabrosi. Cosa che in genere quelli che lavorano solo coi bambini non fanno.

E poi c’è l’altro aspetto, la scelta drammaturgica di ampliare il livello di interazione. Cioè, noi facciamo interagire i burattini tra di loro, noi stessi coi burattini e col pubblico, e chiaramente i burattini col pubblico. Questo moltiplica la possibilità dei giochi e ci risulta sempre molto stimolante.

Roberto: Diciamo che i piani di lettura dei nostri spettacoli sono tanti. E su questi diversi livelli di lettura diversi tipi di pubblico trovano una gratificazione e una possibilità di relazionarsi. Per cui alla fine è uno spettacolo intergenerazionale e interclassista. Il processo nasce in maniera poco studiata.

Quindi nasce direttamente così.

Roberto: No, non nasce così. Ci diventa per passaggi successivi. Il Teatro alla Panna nasce come un teatro rivolto ai bambini, nutrendosi di fiabe tradizionali magari reinterpretate. Poi con l’inserimento del dialetto siamo approdati alla commedia ed è arrivato il pubblico adulto. Col pubblico adulto abbiam cominciato anche noi a essere gratificati dal suo apprezzamento. E da lì abbiamo dato libero corso a una serie di idee drammaturgiche un po’ più… raffinate. A patto che funzionino, però. Ci deve essere un equilibrio e quando non c’è e al pubblico non piace quanto a noi, con dispiacere accantoniamo quelle storie che non sono arrivate come speravamo.

Ma il Teatro alla Panna nasce lì in Piazza alle Erbe o come compagnia nasce dopo?

Roberto: Nasce quasi per gioco, all’inizio c’erano Luca e Leonardo Barucca, che però ha smesso dopo uno/due anni anche se ha continuato a collaborare con noi per esempio nei testi delle canzoni dei nostri spettacoli, poi musicati da Alessandro Castriota, altro storico collaboratore.

Leonardo Barucca era uno di quelli che vennero cacciati con voi ai tempi degli scout?

Luca: No, però anche lui ha fatto successivamente parte degli scout.

Roberto: Il Teatro alla Panna nasce quasi per gioco, diciamo, inizialmente per fare una campagna elettorale per una lista civica. Poi, dopo, all’università all’esame di teatro d’animazione. E da lì lui (indica Luca), che nell’estate dell’82 gli fregava meno di niente del pallone, invece di guardare i mondiali si è costruito insieme a Leo Barucca una baracca di burattini. Hanno incominciato a fare delle cose così, in centro, a cappello, informalmente.

Luca: Quando ancora in centro non c’era nessuno. Sempre controcorrente. Ci mettevamo in Via Oberdan, e tutta la sera per il corso passavano che so, venti persone, perché la vita era al mare. Il centro non era ancora frequentato. Parliamo dell’82-83. Aperta parentesi: la vita in centro, a Senigallia, l’abbiamo inventata noi.

Roberto: Non come Teatro alla Panna ma come Gratis, bisogna dirlo.

Luca: D’accordo, ma il Teatro alla Panna nasce anche dentro il Gratis. Abbiamo cominciato a fare una serie di attività in centro quando la sera alle sette e mezzo chiudevano i bar e il centro era deserto. Rassegne, concerti, e pian piano, partendo da lì, anche i burattini.

Siete, per l’appunto, burattinai dal 1982. La vostra compagnia compie quarant’anni di attività il prossimo anno. È un sacco di tempo. Siete sempre andati d’accordo oppure litigate come i vostri personaggi-burattinai sul palco?

Roberto: Tutte e due le cose. Nel senso, è un sodalizio che dura, ci sono delle solide fondamenta perciò delle grandi affinità, ma quando si lavora si litiga.

Luca: Gli altri burattinai sono molto stupiti. I divorzi artistici sono frequenti quanto quelli nelle coppie tradizionali.

Roberto: Frequentissimi.

Luca: Per cui sono tutti stupiti della nostra… durata (ride).

Roberto: Noi quando facciamo uno spettacolo nuovo facciamo anche due mesi di prove vedendoci tutti i giorni, poi quando lo spettacolo è pronto anche per sette-otto mesi non ci vediamo più.

Luca: E comunque siamo assolutamente paritetici anche su questo.

(Ridono).

Tu, Luca, sei un maestro elementare, mentre tu Roberto un operaio in pensione, giusto? I bambini che vi conoscono per il vostro mestiere ufficiale sanno chi siete realmente? Vi guardano con ammirazione o come uno di loro?

Roberto: Per ciò che mi riguarda, vivendo in città, a differenza di Luca che sono ormai molti anni che vive fuori Senigallia, mi capita spesso di essere riconosciuto al ristorante da una famiglia che cena o fermato in strada da un bambino con al seguito i genitori (imita una vocetta gioviale): “Ieri abbiamo visto il suo spettacolo!”.

Luca: Mi viene in mente a questo proposito un bel racconto. Qualche anno fa, la figlia di Giuseppe Pinelli (anarchico tristemente noto per essere “precipitato” dalla finestra di una caserma della polizia milanese sul finire degli anni ‘60, ndr), che frequenta Senigallia perché la madre è di qui, c’ha raccontato che coi suoi figli seguiva i nostri spettacoli e si divertivano tanto…

Roberto: Per noi che abbiamo vissuto gli anni di Pinelli intensamente – eravamo anche molto schierati – il fatto che questa figlia toccata da una simile tragedia ci sia venuta a parlare dell’allegria che regalavamo a lei e alla sua famiglia ci ha toccato molto, anche se erano passati molti anni dalla vicenda del padre.

Stavo ripensando agli anni del DAMS a Bologna. Avete detto di aver dato un esame di burattini o sbaglio?

Roberto: C’era una materia che si chiamava “Teatro di animazione”, e quando frequentavamo noi c’era una docente di nome Maria Signorelli che era una personalità che ha lavorato con le avanguardie storiche, non solo italiane.

Luca: Ha fatto i burattini per Filippo Tommaso Marinetti, il futurista.

Roberto: Noi abbiamo frequentato il DAMS negli anni settanta e lei aveva già forse settant’anni, era una docente emerita. Voleva un adattamento di “Il buon soldato Sc’vèik”, di… di…

Luca: Hašek.

Roberto: Esatto, Hašek, e noi ci siamo dati da fare in quella direzione (suona il campanello di casa Primavera e Roberto, scusandosi, si alza per sentire chi è).

Com’è cambiato il pubblico dei vostri spettacoli di burattini in quarant’anni di attività? 

Roberto: Innanzitutto c’è l’abbassamento dell’età dei bambini; ci sono genitori che portano bambini anche molto piccoli, tre-quattro anni, a volte non ha molto senso però li portano e noi riusciamo a divertire più i genitori che loro in questi casi. All’inizio i bambini coprivano tutto lo spettro delle scuole elementari, quantomeno, adesso i bambini dagli otto anni in su guardano molto la tv, usano i dispositivi digitali, per cui il burattino viene un po’ schiacciato nella dimensione della prima infanzia.

Luca: È cambiata la società.

Roberto: Questo è un cambiamento. Poi ce n’è un altro, legato alla nostra storia e al nostro radicamento nella città – tenendo presente che facciamo spettacoli in tutta Italia c’è comunque un radicamento. Noi i primi tempi abbiamo lavorato molto in Piazza Roma. Per molti anni. Poi Piazza Roma è diventata piccola, nel senso che col fatto che si poteva venire senza biglietto e coi tavoli di almeno due locali che prendevano spazio nella piazza, il luogo preposto agli spettatori si è ristretto.

Il comune allora ha deciso di fare gli spettacoli in Piazza delle Erbe, e per noi non è stato un problema piccolo da affrontare. Perché c’era un palco molto grande e alto che era poco adatto a uno spettacolo di burattini.

Ma la piazza si riempiva e le persone venivano a prendere il posto anche un’ora prima dello spettacolo coi cabaret di pizza e le bibite. Abbiamo anche chiesto più sedie al Comune. Poi c’è stato un momento in cui il Comune, come tutti i Comuni, ha avuto meno trasferimenti dal governo centrale per cui c’è stato un taglio alle attività culturali e queste cose si riuscivano a fare solo facendo pagare il biglietto.

Ciò ha fatto sì che bisognasse individuare un posto circoscritto, protetto, per mettere in scena gli spettacoli e questo seleziona il pubblico. E così è venuta meno quella dimensione popolare che a noi piaceva tanto. Questo è stato un cambiamento di pubblico molto importante.

Quando avete cominciato, negli anni ottanta, eravate i primi in ambito locale a dedicarvi al teatro d’animazione?

Luca: Non avevo mai visto uno spettacolo di burattini quando abbiamo fatto i primi.

Roberto: Io qualcuno a scuola… ma la nostra non è un’area di tradizione.

So che avete un personaggio ricorrente, un amico burattino che si chiama Ugo. Sul vostro sito si parla di una trilogia che comprende “Cavoli a Merenda”, “Acqua Sopra, Acqua Sotto” e “Non ti Lustrare per un Lustro”. Però ho letto che c’è un Ugo anche in “L’Erba Diavolina”. È sempre lo stesso che continua a comparire, come Lucien de Rubempré nella “Commedia umana” di Balzac?

Luca: Sì, è sempre lo stesso che assume età diverse. Diciamo che è nato come un bambino e adesso si è stabilizzato su un ragazzotto di vent’anni, un po’ ingenuo, che si innamora e fidanza regolarmente. Anzi nell’ “Erba Diavolina” si è appena sposato.

Compare anche in altre opere che non ho citato?

Luca: Sì, “Filtro d’Amore”, “La visita di Pio IX”

Roberto: C’è da dire che la trilogia della fiaba, quella dei tre titoli che hai detto tu, sono i primi tre spettacoli del Teatro alla Panna, e sono fiabe inventate da noi anche se il riferimento è quello della fiaba popolare. Sono piene di citazioni di fiabe classiche. “Un mare di lacrime”, “Sotto il letto molto sotto”, “Banditi a palazzo”… Parecchi spettacoli che poi abbiam tolto. Nel senso che non sono più in produzione. E il nostro Ugo ne ha attraversati parecchi anche di quelli al momento andati.

“La visita di Pio IX”… non sembra un titolo molto attraente per un bambino.

Roberto: Non l’abbiamo scritto principalmente per un pubblico di piccoli; nacque in occasione del bicentenario della nascita del pontefice ed è stata la nostra prima commedia dialettale. A Saludecio c’è Ottocento Festival, che è un festival dove fanno spettacoli riferiti all’ottocento e ci hanno chiamato a fare il nostro spettacolo su Pio IX. Il dialetto senigalliese non è un problema per far girare i nostri spettacoli in gergo, spesso ci scambiano per romagnoli.

Avete mai pensato, quando eravate bambini e facevate parlare i vostri pupazzi, che sareste diventati maestri del gioco da adulti? E adesso che siete adulti e costruite interamente i vostri spettacoli, dalle storie alle scenografie ai burattini, avreste mai detto che fosse così faticoso, oltre che certamente divertente, giocare “ad arte”?

Luca: Io per esempio giocavo molto… hai presente le Barbie? C’erano delle versioni maschili.

Ken?

Luca: Non mi ricordo assolutamente il nome, però avendo due sorelle ero circondato da bambole, un periodo ho avuto anche una bambola di “scarto”. Comunque con questi bambolotti che erano tutti vestiti che so, da soldato della regina col colbacco, con la tuta mimetica… Ci passavo i pomeriggi a tirar su fili legati per casa in cui si arrampicavano. Giochi di… animazione. Animavo queste cose. Poi mamma a un certo punto aveva tirato fuori un vecchio teatrino dei pupazzetti degli anni ’40, forse ’30, e per un periodo abbiamo giocato con questo teatrino. Un po’ di teatro a casa si è sempre fatto tra fratelli.

Che poi rappresentavate davanti ai genitori?

Luca: Davanti alla famiglia, sì. Però era assolutamente solo un gioco, smettevo di pensarci nel momento in cui era finito.

Roberto: Io facevo questo: costruivo con il cartone i fortini, le tende per gli indiani, poi organizzavo la situazione per i miei soldatini. Battaglie, per lo più. Stavo sempre da solo, perché quando ero molto piccolo stavo sempre da solo, però avevo un giardino, un giardino molto grande di una casa padronale e lì costruivo questi scenari. Alla fine della giornata gli davo fuoco.

Luca: Anch’io lo facevo! Io facevo le palle di cotone con l’alcol. C’erano le scatole “cento lire cento soldatini”. Quelli bruciavano che era una meraviglia.

Roberto: Comunque avendo fatto prima dei burattini delle esperienze di laboratorio teatrale abbastanza intense, è stato chiaro fin da subito che il lavoro artistico prevede il farsi un bel culo. È anche un motivo di scontro tra noi due: io improvviserei di più, lui è fissato con le prove.

L’ultima volta che avete impersonato uno dei vostri personaggi fuori dalla scena.

Luca: Rigiro la domanda e ti dico questo. Io sono stonato. Lui no, ma io sì. Quando abbiamo registrato in studio le musiche per il nostro spettacolo “Filtro D’amore”, sono andato a prendere un burattino (alza il braccia in alto come se indossasse un burattino) e con il burattino in mano cantava il burattino, non io, e anche piuttosto bene. Il burattino è altro da te. Non sono io che faccio il burattino, è lui che fa. È più vero di quello che uno può pensare. Se tolgo il burattino non lo so fare.

È così anche per te, Roberto?

Roberto: In linea di massima, sì. Per corroborare questa cosa ti dico che quando mi chiedono, dopo lo spettacolo o in giro, di fargli la voce di un mio personaggio, mi rifiuto. Gentilmente, ma mi rifiuto.

Luca: I burattini fanno loro delle cose che vanno quasi sempre bene.

C’è una domanda che non vi ho fatto a cui vi piacerebbe rispondere?

Roberto: Mi piacerebbe dire qualcosa sugli spettacoli che non portiamo più in scena. Sugli spettacoli che non hanno trovato un pubblico. Questo, per esempio (indica la sua maglietta in cui c’è scritto “Alle porte del Paradiso”). Uno spettacolo a cui siamo legati. Pieno di difetti come tutti i nostri spettacoli, però…

Luca: I tuoi, i mie non hanno nessun difetto.

(Roberto ride e perde il filo; Luca lo riporta sull’argomento).

Luca: La trama, la trama. L’argomento, anzi.

Roberto: È la storia di due vecchietti che si incontrano all’ospizio e fanno amicizia. Uno dei due è un po’ suonato e non parla, urla solo: “Piero! Piero!”. All’ospizio trovano una suora e un animatore che cercano di coinvolgerli nelle loro cose, ma i due vecchietti vogliono starsene in pace per i fatti loro e…

Luca (tagliando corto): Quindi fuggono e vanno a cercare le porte del Paradiso.

Roberto: Ma prima muoiono.

Luca: Vabbè. E poi cercano di entrare in Paradiso.

Roberto: Solo che c’è questo portone gigantesco, metallico… chiuso.

Luca: Prima bussano, poi vedono che c’è un campanello.

Roberto: Suonano, ma nessuno viene ad aprire.

Luca: Cominciano ad agitarsi. Prima prendono a pugni la porta, poi usano un frullino (fa il verso del frullino sulla porta).

Roberto: Tirano fuori anche un bazooka, ma niente, la porta non si apre. Allora si stancano, si fanno un selfie e se ne vanno.

Luca: Finisce così.

Roberto: Ci hanno detto in alcune rassegne che la tematica non è per bambini.

I bambini vogliono credere nel Paradiso, forse. Oppure qualcuno vuole che ci credano. Voi mi pare di capire che non ci credete.

(Luca e Roberto si guardano, come a dire: che razza di domanda è?).    

Luca: Be’, se non fosse così i nostri due vecchietti avrebbero buttato giù la porta.

 

 

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