“BTP a 7 e 50 anni: conviene emetterli o conviene il Recovery Fund?”
L'associazione senigalliese Il Novum fornisce la sua risposta
Il ministero dell’Economia ha annunciato il 7 aprile 2021 (questo il link) l’emissione – collocamento di 7 miliardi di BTP a 7 anni, scadenza marzo 2028 al tasso dello 0,36% (il titolo ha ricevuto ordini per oltre 66 miliardi) e di 5 miliardi del nuovo BTP a 50 anni, scadenza marzo 2072 e tasso al 2,17% (il titolo ha ricevuto ordini per oltre 64 miliardi) in soldoni a fronte di titoli per 12 miliardi sono arrivate richieste per oltre 130 miliardi di Euro.
Sono numeri, relativamente alle richieste pervenute, che parlano da soli e raccontano una storia diversa da quella che ci racconta chi governa uno Stato, seconda potenza industriale d’Europa, che può abbondantemente usufruire dei mercati finanziari sfruttando le grandi quantità di liquidità esistenti e la ricerca di rendimenti positivi, non negativi, per rendere remunerativa e non passiva la liquidità a loro disposizione.
È ovvio che una quota consistente dei titoli nei prossimi giorni finiranno nel portafoglio della BCE/Bankitalia, che è alla ricerca di titoli pubblici da acquistare nell’ambito del programma di aiuti PEPP. Il piano PEPP ha visto infatti nell’ultimo bimestre l’acquisto di ben 21 miliardi di titoli italiani e dal suo inizio ha acquistato 157 miliardi di nostri titoli (questo il link).
Oggi i nostri politici ci presentano la decisione, pressoché unanime, di accedere al Recovery Fund o NGEU (Next Generation UE per cui l’Italia potrebbe ricevere circa 205 miliardi di euro, di cui 77 miliardi di sovvenzioni, 126 miliardi di prestiti e 2 miliardi di garanzie) piano che era già stato annunciato a maggio 2020, concordato tra i leader europei a luglio, ed ora si sta perdendo a causa di un macchinoso processo di ratifica da parte dei 27 Stati membri per cui la Germania, dal poter ratificare il Recovery Fund, era stata momentaneamente bloccata dalla propria Corte Costituzionale e la Polonia che, per decidere in merito, rischia una devastante crisi di governo.
Per quanto affermato, all’inizio articolo, a fronte di una immediata ed imponente disponibilità finanziaria dei mercati, (utilizzabile senza condizioni di sorta e senza dover presentare piani capestro per poter essere accolti gli investimenti del nostro Paese) l’Italia si è invece impiccata ad un farraginoso e lentissimo strumento che va sotto il nome di Recovery Fund.
Denaro, quello del NGEU o Recovery Fund come si usa chiamarlo, che tra due anni, semmai arriverà, è vincolato da complessità burocratiche e procedurali insormontabili e condizionato al rispetto di regole macroeconomiche non più adeguate e recessive come l’osceno Patto di Stabilità – che ha un costo per noi italiani nettamente superiore al pur esiguo tasso di interesse che pagheremo per rimborsare i prestiti alla UE o ai contributi che verseremo alla UE dopo il 2027 per rimborsare i sussidi che arriveranno in ritardo, quindi inutili per salvare gran parte della nostra economia.
Un costo, al confronto del quale il 2,17% del BTP a 50 anni e lo 0,36% per i BTP a 7 anni senza condizioni (che possiamo avere dall’oggi al domani cosa di capitale importanza) è un vero regalo a cui non si capisce perché Draghi e & non vogliano attingere … oppure è facilmente intuibile?
A.P.S. NOVUM,
Giorgio Sartini
Caterina Rinaldi
Claudio Piersimoni
Egidio Cardinale
Francesca Mancinelli
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