Rintracciato dallo storico Severini dopo quasi 40 anni Enrico Zanotto: “per quel gol alla Vigor non ho mai visitato Senigallia”
Il suo gol spense i sogni senigalliesi a Modena: "non si è più parlato di me perché sono riservato. Ma gioco ancora, con Margiotta e Schwoch"
Noi avevamo più fame di calcio. Intervista esclusiva a Enrico Zanotto, il goleador della Mestrina. che 39 anni fa infranse il sogno della Vigor di andare in serie C1.
Si dice di solito che sulla rete si trova di tutto. Ma non è sempre vero. C’è anche chi a un certo punto tiene a debita distanza le cronache, magari per una scelta di vita. Questo è il caso di Enrico Zanotto, conosciuto con il solo cognome finora nei libri di storia, addirittura sbagliato in alcuni reportages giornalistici (nei quali compare come Zanotti). Trovarlo, 39 anni dopo l’evento che lo vide protagonista, è subito parsa una montagna difficile da scalare: non si vedeva la vetta, neanche un sentiero, perché di lui, almeno sui giornali, si sono perse le tracce. Leggendo l’intervista, se ne comprenderà la ragione. Nel 1982 Zanotto segnò la rete decisiva nello spareggio che negò alla Vigor di salire in C1: in quel campionato era stato utilizzato dall’allenatore della Mestrina Rumignani solo una decina di volte, quasi sempre in corso partita, interpretando “senza infamia e senza lode” ruoli che non erano proprio i suoi. La partecipazione della città di Senigallia, che oggi sfiora i 45.000 abitanti, non è mai stata intensa e partecipata come in quei primi anni Ottanta: nel triennio 1979-1982 la Vigor vinse due campionati consecutivi arrivando per la prima volta in serie C2 e comparendo in più occasioni nella schedina del Totocalcio; il “Corriere della Sera” dedicò alla squadra senigalliese qualche titolo e l’intera stampa si accorse che per la terza volta la matricola dell’adriatico primeggiava; alla fine del campionato 1981-82, la Vigor giunse a un punto dall’Anconitana, prima e promossa dopo un pareggio 0-0 a L’Aquila, e appaiata con la Mestrina; lo spareggio fu disputato il 6 giugno 1982 alle 16.30 allo stadio “Braglia” di Modena. Alla grande emozione di un’intera città seguì l’amaro, inaspettato esito. Un’autentica doccia a fredda, andata in scena a cinque minuti dalla fine, per effetto di una “zuccata” su corner della persona che ho deciso di intervistare perché di questo match, che costituisce l’innegabile culmine della storia rosso-blu, se ne è parlato a lungo, e se ne continua a parlare, sempre dalla sponda vigorina. Ma di chi rovinò i sogni miei e di altre migliaia di tifosi, continuavo a non trovare neanche una citazione. Compiendo ricerche negli archivi, mi sono sorpreso di vedere non solo che il cognome di Enrico era stato storpiato, ma che il suo stesso nome non veniva riportato. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, ho applicato il metodo analogico che tante volte si è rivelato funzionale nelle ricerche storiche: sono partito dal cognome, prendendo per buono Zanotto e ho trovato il numero di cellulare di Luciano Zanotto, già allenatore degli Under 17 del Vicenza, che compare tra gli “Allenatori in possesso del patentino F.I.G.C. – Settore Tecnico, tra i tesserati AIAC VICENZA”. Chiamo Luciano quando mancano due minuti alle otto di sera del 5 maggio 2021. Subito gli chiedo se sia parente del goleador che ha deciso, 39 anni fa, lo spareggio Vigor-Mestrina. Luciano è molto cortese, mi dà del tu e subito chiarisce: “Tu cerchi Enrico, mio fratello! Guarda, in questo momento sta giocando davanti ai miei occhi a calciotto. Ne avrà ancora per una mezzoretta. Ti do il suo numero, prova a chiamarlo domattina verso le 9.30, anche se potrebbe insegnare”. La mattina dopo Enrico mi dice subito che in effetti sta insegnando a scuola e mi invita a richiamarlo nel pomeriggio. Lo contatto alle 18.38 di giovedì 6 maggio. Enrico è un tipo riservato, ma estremamente cordiale: sulle prime mi chiede quale sia la finalità dell’intervista, io gli spiego che rientra nell’ambito di un libro che sto finendo di scrivere. Lui mi interrompe e mi dice meravigliato: “Addirittura!”. Decidiamo di darci del tu. L’intervista è durata un’ora e 5 minuti.
Buonasera, mister Zanotto. Cosa si ricorda di quel 6 giugno 1982?
La prima impressione è quella della preoccupazione che aleggiava su noi calciatori, perché avevamo perso una settimana prima 3-0 a Senigallia; eravamo andati in ritiro, il mister ce lo aveva comunicato, dicendo che dovevamo risollevarci da un punto di vista sia atletico che psicologico. Io sono sempre stato contrario ai ritiri, ma in quel caso c’era bisogno di cambiare registro e noi, da professionisti, abbiamo accettato. A bocce ferme, dopo 39 anni, riconosco che la dirigenza ebbe ragione.
Che impressione ti fece la Vigor al “Braglia” di Modena, una settimana dopo aver subito un secco 3-0 a Senigallia?
Credo nelle partite di spareggio. Cinque anni dopo ne ho fatto un altro con il Valdagno, in serie D, per andare con i professionisti: contestualmente ero entrato all’Isef per cui andai dall’allenatore a dire che volevo frequentare l’università. Li cominciarono i contrasti: ero compagno di stanza con Emilio Da Re che mi disse di non mollare e di fare tutte e due le cose, almeno finché ci fossi riuscito. Di lì a poco giunse una richiesta dal Campania, la seconda squadra di Napoli. Rifiutai e nacquero i problemi con la mia Società. Il quinto anno al Valdagno arrivò lo spareggio che come tutti è determinato dagli episodi: la partita contro il Castelfranco Veneto, da noi dominata largamente, venne decisa da un episodio fortunato, visto che loro segnarono a 3 minuti dalla fine. Un po’ com’era accaduto a Modena con la Vigor Senigallia.
Come andò il campionato 1981-82?
Ero attaccante, ma mister Rumignani mi alternava tra davanti e sulla fascia. Giocai poco. L’anno dopo, in C1, incontrai il Vicenza di Cadè, Bigon e Scalini e Rumignani mi diede l’incarico di marcare Scalini: riuscii a frenarlo, ma alla fine del primo tempo ero distrutto. La partita fini 1-1.
Cosa ti ricordi dell’esodo da Mestre verso Modena nel giugno dell’82?
Noi ci eravamo scusati con i tifosi per il 3-0 della domenica prima a Senigallia. I dirigenti ci mandarono alla stampa a dire che avremmo dato anche l’anima nello spareggio. Mi ricordo che il capo dei tifosi si disse convinto delle nostre parole e s’impegnò a nome della tifoseria a sostenerci; disse una frase tipo “siamo tutti pronti per la battaglia”. Io stesso parlai con i capo-tifosi che erano degli amici, seguivano gli allenamenti ogni settimana e facevano di tutto per appoggiarci.
Sei stato festeggiato in maniera particolare al rientro?
Alla fine della partita, vedendo una grande euforia, per me eccessiva (si festeggiava, volava di tutto, bottiglie comprese), mi rifugiai in bagno, mi chiusi dentro e rimasi seduto sul water a godermi la felicità. I compagni mi lanciarono per aria. La sera arrivammo in Piazza Ferretto, pensavamo che non ci fosse alcun tifoso, invece ci fu una grande accoglienza. Seguirono la cena, ma non riuscivo a mangiare per l’emozione, e la festa in discoteca.
Come mai si sono perse le tue tracce?
Mi ha frenato il mio carattere, sono sempre stato restio e riservato. Ho rilasciato pochissime interviste.
Che rapporto hai con fratello Luciano, già allenatore delle squadre juniores del Vicenza?
Lui è più piccolo di me, del ’63, mentre io sono del ’61. Un anno vinse la classifica dei goleador in Promozione e la mia società, il Valdagno, lo andò a prendere per giocare in serie D, la più alta in cui ha giocato: però, durante il ritiro si fece male e seguì un’annata travagliatissima. Aveva del talento puro, ma era un po’ gracile di fisico.
Come ti sei avvicinato al calcio, quando è iniziata e come è poi proseguita la carriera?
Tutto ha avuto inizio nel quartiere in cui abitavo di Vicenza, Il Villaggio del Sole, dove si parlava solo di calcio. I nostri idoli erano Vinicio e Sormani. Ho esordito a 16 anni, due giorni dopo aver compiuto gli anni, ho giocato 3-4 partite, segnando altrettanti gol con Il Villaggio del Sole, in Prima categoria, contribuendo a salvare la squadra. L’anno dopo, a 17 anni, vinsi la classifica dei cannonieri e allora fui convocato dalla Rappresentativa del Veneto. Eravamo in Umbria e riuscimmo a vincere il titolo italiano con un mio gol in semifinale (o in finale, non ricordo bene). Il direttore sportivo della Mestrina, detto il conte Foscolo (il conte Francesco Foscolo, già direttore sportivo e vicepresidente del Treviso, scomparso nel 2003 a 69 anni, ndr), venne negli spogliatoi e mi convocò per un torneo estivo con la Mestrina, per visionarmi. Accettai, fui fortunato, segnai qualche gol, e venni preso. Trovai “Pippo” Groppi, che aveva giocato in serie A (con Catanzaro e Brescia, ndr) e Trevisanello, che aveva giocato in serie importanti (Gianfranco, difensore centrale una carriera in laguna, ndr). Io facevo parte della filiera dei giovani e mister Rumignani mi faceva giocare alternativamente, pur avendo fiducia in me. Nel ritiro di Belluno, durante una corsa, non ricordo bene se il mister o capitan Trevisanello, disse che si era sognato che avrei segnato io nello spareggio. E al mio gol tutta la squadra urlava “Il sogno, il sogno…”.
Quel gol a Modena, a pochi minuti dalla fine, è stato il momento clou della tua carriera?
Quando feci gol provai un’emozione incredibile e andai a festeggiare verso la curva della Vigor, pensando che fossero i tifosi della mia squadra; furono i miei compagni a portarmi via. Fu un momento bellissimo. Però ho una particolarità che non ho mai riferito a nessuno: all’inizio della mia carriera, militando nel Villaggio, feci gol; con la Mestrina, nuovo esordio a Cattolica segnai di nuovo gol; a Valdagno, idem. Sono rimasto lì 5 anni. L’ultimo anno mi sono spaccato tutto il crociato, rimanendo fermo cinque mesi: mentre mi apprestavo a giocare l’ultima partita, un mio ex compagno che avrebbe smesso di giocare per fare l’allenatore, mi chiese di andare con lui a giocare in Promozione ad Abano Terme. Avevo 28 anni, già insegnavo ginnastica in una scuola privata a Vicenza. Insomma era un po’ una scommessa e segnai di nuovo. Da lì mio fratello, che giocava in Promozione con allenatore Mario Maraschi, nella squadra Zanè, che si trovava a 20 minuti, contro i 40 di Abano, mi domandò se volevo andare a giocare in quel club – guidato dal presidente degli industriali vicentini – dove sono rimasto due o tre anni; alla fine il presidente mi ha regalato il cartellino così da offrirmi la possibilità di spuntare un buon contratto; pertanto feci altri 2-3 anni a Rosà, nel Vicentino, dove mi ruppi di nuovo il ginocchio e rimasi fermo un altro po’. Chiusi la carriera, su invito di mio fratello, in Prima categoria, nella formazione delle Torri di Quartesolo (Comune di poco più di 11.000 abitanti in provincia di Vicenza, ndr): arrivai a 8 giornate dalla fine, le vincemmo tutte, venendo promossi in Promozione; l’anno dopo, vinto anche questo torneo, siamo saliti in Eccellenza. Era il 1995-96, l’ultimo mio anno in quella categoria. Avevo 35 anni e acquisii un Circolo tennis, con 7 campi: ne trasformai due in campo da calcetto, che stava conoscendo grande successo. Questo circolo di calcetto mi chiese di partecipare al campionato di calcetto e arrivai fino alla serie B, girando l’Italia e giocando con professionisti solo di questo sport. Fino a 48 anni ho giocato a calcetto, l’ultima squadra è stata il Vicenza Calcio a 5.
Oggi che lavoro fai? Hai mantenuto i contatti con l’ambiente calcistico?
Sono insegnante di Educazione fisica e, con vanto, ricordo di essere stato tra i primi, fra i docenti della Scuola privata “Cardinal Cesare Baronio”, a chiedere al Ministero di sviluppare un progetto comportante l’istituzione del Liceo sportivo. Il Ministero ci ha monitorato per qualche anno e da lì, con altre due scuole, è nata l’istituzionalizzazione del Liceo sportivo in tutta Italia. Nel 2010 sono diventato di ruolo nella Scuola pubblica e alle Scuole medie siamo partiti di nuovo con il progetto del Liceo sportivo, con un’altra scuola friulana e sarda. Insegnavo a Torri di Quartesolo, vicino al famoso Centro “Le Piramidi” di Vicenza: la società locale, Le Torri Bertesina, mi chiese di dar loro una mano, anche se io chiarii fin dall’inizio che non volevo lavorare la sera del sabato e della domenica. Ora alleno i piccolini de Le Torri Bertesina, quest’anno quelli del 2012 e del 2016: si chiamano “Piccoli Amici” e “Primi Calci”. È un incarico con rimborso spese che faccio più che altro per passione. Ogni mercoledì, con diversi ex giocatori – tra cui Schwoch e Margiotta – giochiamo insieme a calciotto in erba sintetica. Corriamo inseguendo un pallone dalle 19.30 alle 20.30 e alla fine il bello è stare insieme con questi giocatori che hanno militato con grandi formazioni sia di serie A sia estere.
Quanto è diverso il calcio di oggi da quello di 40 anni fa?
Secondo me ci sono tante diversità, a partire con i ragazzi. Noi avevamo una fame diversa, quella di primeggiare al di là del fatto economico che oggi è invece prevalente. C’è poi il discorso mediatico: tutti vogliono rilasciare interviste e c’è molta più visualizzazione di chi emerge, di chi crede di diventare un campione. Alla nostra generazione di campeggiare sui giornali non importava. Quando andavo sui giornali, non avevo fatto nulla. Ancora, dal punto di vista tecnico, noi eravamo più dotati: giocavamo 5-6 ore al giorno ed eravamo più preparati a livello tecnico; passavamo ore a sfidare il compagno nei palleggi; i ragazzini oggi non vanno più nelle strade ad allenarsi, giocano non più di tre ore; noi mettevamo giù la cartella della scuola e subito andavamo ad allenarci. Maurizio Viscidi, responsabile federale della Nazionale fino agli under 18, mi ha detto una settimana fa, durante un forum tra gli allenatori: il grande svantaggio rispetto a nazioni come le africane è sia sul piano fisico ma soprattutto su quello tecnico, per la mancanza di contatto con il pallone.
Davvero l’ultima domanda. Sei mai stato a Senigallia?
Sono stato a Pesaro e dintorni, ho fatto il militare a Macerata (il Car per un mese e poi mi hanno trasferito all’aeroporto di Vicenza, grazia alla Società in cui militavo), ma non sono venuto a Senigallia, proprio per via dello spareggio.
Invito così Enrico a venire ospite la prossima estate nella Spiaggia di Velluto e annuncio che gli manderò sia l’intervista sia il libro. Lui replica: “Ma no, voglio pagarlo!”. “Figuriamoci”, gli dico prima di ricordargli che 39 anni fa ero tra i 4.000 e più tifosi vigorini che molto mestamente lasciarono il “Braglia” di Modena. Soggiunge: “Accidenti, mi dispiace, ti ho rovinato la giornata!”. Replico dicendo che questa è la regola suprema del calcio: si vince, si pareggia, si perde. A volte, magari, per un episodio fortunoso. La voce di Enrico resta sospesa per alcuni secondi. Il calcio non ha smesso di emozionarlo.
Foto gentilmente concesse da Enrico Zanotto
Intervista e testo di Marco Severini-Presidente Associazione Storia Contemporanea
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