Potere al Popolo Senigallia: diritto al lavoro, all’aborto e alla parità di genere
"Per noi, essere femministe implica riconoscere come le semplici differenze vengano trasformate in strumenti d'oppressione"
A un anno dalla pandemia che ha squarciato il mondo, palesando in tutta la sua brutalità il fallimento di 40 anni di privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica, continuiamo nelle Marche, come a livello nazionale, a strumentalizzare istanze e bisogni, negando nella sostanza, oltre che nella forma, l’accesso ai diritti e a una vita dignitosa.
A fronte dell’emergenza sociale e sanitaria marchigiana, il volto becero della nuova amministrazione attacca la salute sessuale e riproduttiva delle donne, così come le politiche sociali e per la famiglia, tacendo la svendita al privato e l’inesistenza di un welfare pubblico e accessibile dietro al comblotto gender di sostituzione etnica e crisi della famiglia tradizionale.
D’altronde, se nelle Marche:
– il 50% dei contratti di lavoro sono atipici e precari (Fonte: Ires Marche);
– la richiesta di Cig e Fis per il 2020 si attesta a oltre 128 milioni di ore (nel 2019 erano 14 milioni e 64 mila), con lavoratrici e lavoratori che da circa un anno sono fermi, a stipendio ridotto e senza la possibilità di accedere a nessun altra forma di intervento sociale (Fonte: Ires Marche);
– quasi 50mila persone hanno perso il lavoro nell’ultimo anno nel settore terziario con oltre 36mila solo tra commercio, alberghi e ristoranti.
– nell’anno educativo 2018/2019, figuriamoci in pandemia, solo 1 bambino su 4 può accedere ai servizi di asilo nido, il problema è che: “il quartiere degli Archi di Ancona è un quartiere multietnico”!
I dati, purtroppo, parlano chiaro e ci raccontano il deserto politico creato da decenni di definanziamenti e privatizzazioni. Un deserto in cui l’idea di famiglia naturale, posta a misura di tutte le cose, non solo esclude e separa ma giustifica. Perché ieri, come oggi, la famiglia tradizionalmente intesa, rimane la spina dorsale di uno stato che ha scelto di tirarsi indietro. Perché la famiglia era e continua a essere il primo ammortizzatore sociale non solo per il mercato ma anche e soprattutto per la politica.
Per noi, essere femministe implica riconoscere come le semplici differenze vengano trasformate in strumenti d’oppressione e segregazione. Di discriminazione sociale, economica, politica. Per questo non ci basta pretendere che si parli di occupazione femminile come se fosse una concessione (Recovery Plan), attribuendo al nostro lavoro, alla nostra professionalità, una sorta di patentino di accettabilità sociale, che fa godere alle imprese sgravi fiscali per assumerci con contratti ridicoli e licenziarci non appena lo stesso stato ci richiama al nostro ruolo di incubatrici e badanti.
Per questo non ci basta pretendere che finalmente i consultori siano accessibili, che finalmente si possa accedere alla RU486 in sicurezza. Perché senza tutto il resto, senza politiche educative e per il lavoro, senza una rete territoriale di assistenza sociale e sanitaria, i consultori e la RU sarebbero solo l’ennesimo, sicuramente fondamentale, ma comunque l’ennesimo, soffitto di cristallo. Lo stesso di quando ti dicono che hai pari opportunità ma te non sai neanche se riuscirai a pagare la prossima rata dell’auto (figuriamoci l’affitto o il tablet per la DAD) o di quando ti dicono che il diritto all’aborto è una legge dello Stato ma solo 3 consultori nelle Marche lo garantiscono. O ancora, lo stesso di quando ti dicono che i consultori esistono ma non c’è personale. Perché, di fatto, non puoi scegliere.
E tra il tagliare i diritti, renderli non esigibili o negarli frontalmente il risultato non cambia. In entrambi i casi rimaniamo oggetti della politica, non soggetti di diritto.
Dalla Giunta Ceriscioli a quella Acquaroli, il percorso delle Marche è stato lineare e parallelo al panorama nazionale: progressivamente sono cadute le impalcature di facciata di un modello di sviluppo ben condiviso da chi antepone le ragioni del profitto a quelle della salute e della dignità umana. A destra come a sinistra, perché alle proposte di legge e alle dichiarazioni della Giunta Acquaroli ha aperto la strada il garbato smantellamento delle precedenti amministrazioni PD e non basta una mozione per salvare la faccia e riacquistare consenso.
E se per le donne bianche europee la situazione è disastrosa, immaginiamo di essere soggetti migranti, transgender, non binari, alterità che nello spazio pubblico non hanno né voce né rappresentazione, quali possibilità ci rimangono? Quelle di lottare. E la lotta femminista è intersezionale o non sarà. Perché è solo nel riconoscere la matrice comune del nostro sfruttamento, nell’ascoltare le singole storie di oppressione che viviamo che possiamo creare un’alternativa di sistema. Siamo giovani, studenti, precari, lavoratrici e lavoratori a tutele decrescenti, pensionati, siamo le sfruttate e gli sfruttati nati e cresciuti nella crisi.
Per noi l’8marzo è di classe, perché è insieme che vogliamo riappropriarci dei nostri spazi decisionali, dei nostri diritti ma senza sconti. Vogliamo rappresentarci autonomamente e chiaramente di fronte alle sante alleanze del profitto sui nostri corpi, sulle nostre aspettative, sulle nostre possibilità di esistenza, per contrastare il sessismo e le disuguaglianze di genere, razza e classe in tutte le loro forme.
Da Potere al Popolo Senigallia
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