L’Associazione di Storia Contemporanea di Senigallia ricorda il 9 febbraio del 1849
Una conferenza per commemorare il 172° anniversario della proclamazione della Repubblica Romana
Di festività in Italia ce ne sono anche troppe e il significato storico-culturale della maggior parte di esse sfugge alla maggioranza della collettività.
Qualche festività andrebbe sicuramente tolta. Qualcun’altra ripristinata e tra queste c’è indubbiamente il 9 febbraio che ricorda la proclamazione della Repubblica Romana del 1849, alba della cittadinanza repubblicana e democratica, data identitaria della comunità nazionale.
Chi la proclamò ufficialmente, a Roma dal Palazzo del Campidoglio all’una di notte del 9 febbraio 1849, era un avvocato bolognese, Giuseppe Galletti, un moderato, un uomo che credeva nel valore della legge ma che al contempo si era reso conto di quanto fossero decrepite le istituzioni dell’Europa del tempo: nel cuore dell’Italia esisteva un obbrobrio già condannato dalla storia che si reggeva solo grazie alle armi straniere, lo Stato pontificio.
Appena cinque giorni prima (5 febbraio) aveva fatto il suo ingresso all’Assemblea Costituente, un 41enne nizzardo che era stato eletto deputato al 13° posto nel collegio di Macerata, Giuseppe Garibaldi. Un altro poco più che quarantenne, il genovese Giuseppe Mazzini, giunse nell’Urbe la sera del 5 marzo successivo per guidare politicamente la Repubblica che avrebbe dovuto essere la pietra fondativa della nuova nazione. Se non andò così, e l’Italia realizzò la propria unificazione nel 1861 sotto l’egida cavourriana e sabauda, lo si dovette a Pio IX che, pur di riprendere possesso di quel trono temporale che aveva paurosamente abbandonato la notte tra il 24 e il 25 novembre 1848 (vestito da semplice prete, senza preavvertire nessuno, fuggì a Gaeta, nel Regno delle Due Sicilie), invocò l’aiuto militare dell’Europa cattolica.
All’appello dell’autocrate risposero Francia, Austria, Spagna e Regno borbonico che, complessivamente, inviarono truppe pari a 80.000 soldati ben addestrati ed equipaggiati: questo esercito ebbe però il suo bel daffare nell’aver ragione dei 20.000 patrioti italiani che difendevano Roma e la Repubblica. La storiografia è unanime da tempo nel considerare la Repubblica del 1849 come l’espressione politicamente più avanzata del Risorgimento italiano, come scrisse 51 anni fa Giorgio Candeloro (“Storia dell’Italia moderna”, terzo tomo, p. 451): ma qualche reazionario che ha scialbamente tentato di raccontare un’altra versione della storia, camuffando la ricostruzione degli eventi e sfruttando le precarie conoscenze storiche degli italiani, è sempre esistito e probabilmente continuerà ad esistere.
Non a caso, proprio il governo pretesco esaltò ripetutamente la “beata ignoranza” della popolazione; che invece in quei gloriosi cinque mesi del 1849 s’incivilì, si ammodernò nei costumi, nella quotidianità e nelle riforme (quella agraria venne lodata da Antonio Gramsci), lasciando le occupazioni abituali e le case paterne per difendere in ogni modo il nuovo ordine politico e civile, sanzionato dalle prime consultazioni a suffragio universale della storia nazionale (21 gennaio 1849). Il coraggio e la vita di tantissimi giovanissimi, guidati dai suddetti quarantenni (e non settuagenari come capita ai nostri giorni), furono schiacciati da cannoni stranieri che non si fecero il minimo scrupolo nello spezzare le vite di donne, bambini, giovani, borghesi e popolani pur di centrare l’obiettivo: anche molti palazzi e capolavori artistici dell’Urbe, e di altre città italiane, finirono in macerie.
Senza la “spada” dell’Austria asburgica e il doppiogiochismo della seconda Repubblica francese presieduta dal nipote di Napoleone (eletto, nel dicembre 1848, con i voti della Francia rurale e cattolica), le cose sarebbero però andate in maniera diversa e saremmo rimasti cittadini di uno Stato democratico, risolvendo probabilmente i problemi strutturali che invece ci portiamo dietro dai tempi risorgimentali. La via per diventare cittadini (e non sudditi, come sotto il papa e il re), nel segno dell’etica del dovere mazziniana, era comunque tracciata, anche se ci sarebbero voluti altri 97 anni per veder nascere, dopo i traumi della dittatura fascista e della seconda guerra mondiale, l’agognata Repubblica italiana: tra gli eletti alla Costituente del 1946 ci furono repubblicani autentici, come il senigalliese Giuseppe Chiostergi e i marchigiani Giovanni Conti e Oliviero Zuccarini che, da mezzo secolo, tramandavano i valori laici e democratici di Mazzini.
L’Associazione di Storia Contemporanea invita la comunità a riflettere su questo anniversario e a seguire la conferenza del prof. Giorgio Giannini intitolata “La difesa di Roma nel 1849” che si terrà martedì 9 febbraio, alle ore 18.00, da remoto: introduce. il presidente del Centro Mazziniano Alessandro D’Alessandro.
Da Associazione di Storia Contemporanea
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