Verso il 2 Giugno nell’anno del Covid-19. Una riflessione della Scuola di Pace: l’Italia ripudia la guerra?
"Cominciamo un lungo cammino di liberazione dall’immorale produzione e dal commercio di armamenti"
Negli ultimi tre anni la Festa della Repubblica ha rappresentato per la nostra città un momento in cui la comunità si è riunita intorno a valori fondamentali in cui si riconosce. Anche se quest’anno non potremo farlo in presenza al Parco della Pace, vogliamo aprire una riflessione in ambito cittadino su temi che riteniamo fondamentali.
Tutti sappiamo che l’art. 11 della nostra Costituzione recita così: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ma è proprio così? L’Italia ripudia nei fatti la guerra?
Ripudiare è un verbo forte che esprime disgusto, repulsione. È stato messo dai Padri Costituenti per significare il rifiuto radicale della violenza, dopo che l’umanità aveva sperimentato, a distanza di pochi decenni, l’orrore delle due più terrificanti guerre della sua storia.
Ma allora è lecito chiedersi perché spendiamo così tanti miliardi in armamenti, che a null’altro servono se non a fare la guerra. Produciamo e vendiamo armi, il più delle volte a paesi che non rispettano i diritti umani fondamentali o che sono apertamente in guerra, pur avendo l’Italia una legge che vieta l’esportazione di armi a paesi in conflitto armato. Una legge paradigmatica dell’ipocrisia che sempre accompagna le questioni militari: posso produrre armi, che servono a fare la guerra, ma non posso venderle a Stati che la guerra la fanno! E a chi dovrei venderle? È allora scontato che alla fine questa legge viene aggirata.
Ma al di là della legge 185/90 la questione più profonda è sempre quella costituzionale. Sarebbe infatti interessante capire in che modo, per esempio, non venga offesa la libertà del popolo dello Yemen se dall’Italia sono state fornite ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi le bombe che hanno ucciso, distrutto e affamato la popolazione civile Yemenita.
Nel 2019, nonostante siano state sospese le forniture di bombe d’aereo e missili, sono state concesse dal governo italiano autorizzazioni all’esportazione per oltre 200 milioni di euro verso i paesi della coalizione a guida Saudita.
La scomoda verità è che non abbiamo avuto il coraggio di ripudiarla davvero la guerra. Questo periodo di emergenza sanitaria ce lo ha mostrato chiaramente: accanto ai beni e i servizi essenziali legati alla produzione di cibo e alla salute l’unico settore non essenziale rimasto in funzione è quello della produzione di armi, le cui fabbriche sono ubicate proprio nella zona con la più alta densità di contagi.
Il business delle armi è il più grande affare del mondo. Altro che diritti umani; altro che peace keeping; altro che esportazione della democrazia. La guerra è solo un affare. Alla fine è solo una questione di soldi.
La pandemia ci ha privato della nostra libertà, ci ha fatto sentire fragili, bisognosi degli altri. E tutte queste potentissime armi non hanno saputo “difenderci” dal famigerato e microscopico filamento di RNA. Anzi potremmo a ragione affermare che non solo le armi non ci difendono dal virus ma quando questo non circolava l’unica cosa che produceva gli stessi effetti della pandemia, insicurezza, paura, privazione della libertà, morte, erano i conflitti armati.
Questo periodo drammatico e terribile, come tutti i periodi di crisi, ci offre anche delle opportunità. Una di queste è quella di dare concretezza a questo profetico articolo 11 della Costituzione Italiana. Cominciamo un lungo cammino di liberazione dall’immorale produzione e dal commercio di armamenti.
Il 2 giugno 2020 la Festa della Repubblica, per via dell’emergenza sanitaria, si celebrerà senza la desueta e stantia parata militare che ha sempre creato una mistificazione del senso stesso della Festa.
Sarà la Festa della Repubblica e dei suoi valori costitutivi tra cui il ripudio della guerra.
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