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Verso il 2 Giugno nell’anno del Covid-19. Una riflessione della Scuola di Pace sulla scuola

"Tra le tante questioni che questa emergenza ha posto e che dovranno essere affrontate e risolte, due appaiono cruciali"

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Scuola, aula scolastica

Negli ultimi tre anni la Festa della Repubblica ha rappresentato per la nostra città un momento in cui la comunità si è riunita intorno a valori fondamentali in cui si riconosce. Anche se quest’anno non potremo farlo in presenza al Parco della Pace, vogliamo aprire una riflessione in ambito cittadino su temi che riteniamo fondamentali, come quello della scuola pubblica.

L’attuale emergenza sanitaria ha particolarmente colpito il mondo della scuola, con effetti devastanti non solo sul piano strettamente didattico. Si sono evidenziate contraddizioni e criticità, già presenti nella scuola italiana, che la pandemia ha però accentuato.

Non è questa la sede per ripercorrere le tappe del disagio che la scuola vive da decenni, disagio originato dalla progressiva svalutazione dell’importanza dell’istruzione pubblica nei programmi dei molti governi di ogni colore che si sono succeduti in Italia. La scuola, dopo riforme discutibili che ne hanno minato la centralità, è sempre più marginalizzata nel dibattito politico e sempre meno è pensata come una risorsa per il futuro del Paese.

In ogni caso, tra le tante questioni che questa emergenza ha posto e che dovranno essere affrontate e risolte, come Scuola di Pace ne evidenziamo due che appaiono cruciali a chi ha a cuore la scuola italiana e i principi costituzionali della convivenza civile e democratica.

La prima questione, che purtroppo non riguarda solo la scuola, è quella più drammatica. L’emergenza Covid-19 ha sollevato in modo inequivocabile la questione delle disuguaglianze sociali, culturali ed economiche del nostro Paese. La scuola, che per sua natura dovrebbe essere il luogo in cui si riducono le disuguaglianze e in cui si dovrebbero dare gli strumenti, prima di tutto culturali, perché tutti gli studenti siano posti nelle medesime condizioni, ha rivelato in questa circostanza un malessere profondo. I ragazzi e le loro famiglie sono stati messi di fronte ad una verità amara: chi aveva spazi domestici adeguati, strumentazione tecnologica all’avanguardia e ambienti familiari sereni e confortevoli, ha potuto meglio reggere il disagio rispetto a chi si trovava in condizioni oggettivamente più difficili. Si dirà che queste differenze c’erano anche prima, ma certo l’emergenza sanitaria le ha crudamente mostrate in tutta la loro evidenza. Per non parlare poi di chi fra gli studenti ha maggiormente sofferto, vale a dire chi viveva situazioni di disagio fisico, psicologico o relazionale. Migliaia di ragazzi con problemi di varia natura, che solo nel contatto quotidiano con i loro coetanei e con i loro insegnanti potevano trovare aiuto concreto e opportunità di socializzazione, si sono trovati in condizioni difficilissime, e chi era più fragile ha visto accentuate le proprie fragilità. Ecco un quesito per il dopo pandemia: come porre rimedio a queste disuguaglianze, che la scuola, e la scuola pubblica in particolare, dovrebbe invece aiutare a combattere? La scuola sarà di nuovo messa in condizione di essere realmente di tutti e per tutti?

La seconda questione particolarmente urgente è quella della scuola come luogo di educazione alla responsabilità e alla democrazia. La scuola non è solo spiegazioni, compiti, interrogazioni e valutazioni. Una malintesa interpretazione della cosiddetta “didattica a distanza” ha portato molti, soprattutto nella classe politica e nel mondo dell’informazione, a pensare che la scuola sia un po’ come una filiera di produzione agricola o industriale. “La scuola non si ferma” è diventato solo uno slogan che esprimeva il vuoto della politica. Per fortuna, a fronte dei tanti incerti messaggi che provenivano dalle istituzioni, la gran parte delle famiglie, degli studenti e dei docenti ha mostrato creatività, responsabilità e capacità di adattamento. Il compito della scuola non può limitarsi all’esecuzione di obblighi o all’espletamento di richieste. Ben prima della crisi Covid-19, molti avevano segnalato una deriva verticistica, aziendalistica, utilitaristica e potenzialmente antidemocratica della scuola italiana, quasi che la scuola stessa fosse pensata solo in funzione della sua “utilità” ai fini pratici a servizio dell’esistente. La scuola rimetterà al centro lo studio e la formazione culturale, lo spirito critico, lo sviluppo di personalità libere e autonome, l’educazione alla partecipazione democratica? E ripensare alla scuola nel suo ruolo di strumento formativo critico e democratico sarà una priorità al termine di questa emergenza?

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