Senigallia e la Repubblica Anconitana ai tempi di Napoleone
In quel periodo a Senigallia, insieme ad altre opere d'arte, spariva la celebre pala del Perugino
Tra il 1796 e il 1797 Napoleone Bonaparte era uno dei generali più promettenti dell’esercito rivoluzionario francese e dava prova del suo genio tattico nella campagna d’Italia.
Alla guida delle sue fedeli truppe il corso ottenne subito importanti risultati annientando l’esercito del Regno di Sardegna e arrivando all’armistizio di Cherasco che costrinse il casato savoiardo a cedere Nizza e Savoia agli invasori. Anche lo Stato Pontificio venne a patti con i francesi dopo che le truppe napoleoniche avevano occupato Firenze, Bologna, Ferrara, Loreto e Ancona. Gli anconetani, nonostante le ruberie dei francesi che riservarono particolari attenzioni al patrimonio clericale, non faticarono ad assorbire le idee rivoluzionarie e memori del loro glorioso passato indipendente, il 17 novembre del 1797, proclamarono la Repubblica Anconitana. Una coup de theatre che di fatto annullò il rientro della marca anconitana nei territori dello Stato della Chiesa stabilito dal Trattato di Tolentino del 19 febbraio dello stesso anno.
2000 soldati francesi provenienti dalla neonata Repubblica Cisalpina vennero così trasferiti in città mentre lo spirito repubblicano iniziava a serpeggiare nei comuni vicini e presto si unirono alla sollevazione anche Osimo, Jesi, Pesaro, Urbino, Macerata, Urbania e Senigallia. Patrioti senigagliesi partirono così alla volta di Ancona per chiedere supporto nell’insorgenza contro il dominio pontificio e sfruttando la presenza della guarnigione francese vennero iniziate le operazioni per liberare la città. Con il pretesto di liberare Rimini il primo dicembre partì da Ancona una finta spedizione, tuttavia durante la marcia una parte dell’esercito liberatore, costituito da 600 soldati e due pezzi d’artiglieria, prese invece la direzione di Senigallia. In attesa di ordini da Ancona il contingente si attestò all’esterno della città. Nel frattempo i patrioti senigagliesi iniziarono la sommossa seppur divisi tra fautori dell’indipendenza cittadina e propugnatori della sottomissione ad Ancona. Il 23 dicembre un manipolo di 50 senigagliesi riuscì ad issare l’albero della libertà in Piazza Roma, davanti al seicentesco municipio cittadino, mentre le truppe francesi favorivano l’opera dei rivoltosi grazie al loro ingresso in città. L’occupante lasciò libertà d’organizzazione e di governo e venne così istituita la nuova municipalità mentre la truppa pontificia abbandonava il presidio senza sparare un sol colpo. Il 24 dicembre una delegazione di senigagliesi raggiunse Ancona per informare il governo provvisorio della presa di potere. Intanto anche nelle altre città limitrofe montava la rivolta giacobina e delegazioni di patrioti da Jesi, Filottrano, Montemarciano e Macerata comunicavano con legati inviati ad Ancona la loro adesione ai nuovi ideali rivoluzionari. Si formava una sorta Direttorio con al centro la Repubblica Anconitana che accoglieva i rappresentanti delle città alleate insorte.
Napoleone nel frattempo iniziava la controffensiva in Lombardia e gli austriaci venivano ricacciati in Trentino. Con l’occupazione di Milano e la creazione della Repubblica Cisalpina Napoleone riprese l’iniziativa nel centro Italia e rispondendo alla sommossa antifrancese dei romani del 28 dicembre fece marciare il generale Berthier nello Stato Pontificio in direzione di San Pietro.
In questa circostanza Napoleone dimostrò la sua passione per il gioco (forse non tutti sanno che il condottiero corso era uno dei personaggi più celebri del suo tempo appassionati di giochi di carte e vingt-un) e rilanciò mantenendo la pressione sullo Stato Pontificio costringendo Papa Pio VI in catena a Siena e poi in Francia a Valenza. Per un ironico scherzo del destino il Papa morirà proprio in questa città a poco più di 100 km da Avignone, testimone d’eccezione della caduta del potere temporale dei Papi per la sua storia di connessione con il papato e per via della cessione ai francesi a seguito del coevo trattato di Tolentino del 1797.
Nel frattempo l’entusiasmo dei primi tempi intorno alla nuova esperienza di governo inaugurate da Ancona iniziò ad affievolirsi visto che le casse della città erano sempre vuote e seguivano le depredazioni dei mai sazi amministratori francesi anche nei comuni alleati. Ad esempio in questo stesso periodo a Senigallia, insieme ad altre opere d’arte, spariva la celebre pala del Perugino, uno dei simboli della comunità misena.
Anche il sogno dell’indipendenza durò per poco visto che il generale Berthier, su istruzione di Napoleone, proclamò il 15 febbraio del 1798 la Repubblica Romana comprendendo nel nuovo assetto territoriale della neonata Repubblica Sorella anche Ancona e i comuni che avevano aderito al direttorio rivoluzionario. Le Municipalità giacobine non poterono far altro che prenderne atto accettando supinamente le decisioni dell’occupante mentre, sotto l’egida dei francesi e delle nuove idee rivoluzionarie, si gettavano le basi del faticoso percorso verso l’unità d’Italia.
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