Brignone a Stasi: “l’unica guerra che ci interessa è quella per liberare tutti dal patriarcato”
"Ho chiesto alla Regione il ritiro del patrocinio dopo aver letto post pubblicati a suo nome"
Stasi commenta le critiche che gli vengono mosse, da altri oltre che dalla sottoscritta, affermando che esiste il diritto di criticare una legge.
Se ritiene di doverlo rimarcare, rimarrebbe stupito dall’elenco di leggi a cui io stessa ho mosso delle critiche. Ma si può dissentire, e ampiamente, sulle ragioni da cui muovono quelle critiche.
Minaccia querele, ma come già fatto da molti altri prima di me che hanno contestato la sua partecipazione, mi sono limitata a riportare foto e post scritti e pubblicati a suo nome o dal blog che gestisce, intorno ai quali ciascuno può farsi facilmente un’opinione. Di conseguenza ho chiesto il ritiro del patrocinio della Regione Marche alla conferenza che lo avrebbe ospitato.
Quando poi Stasi parla di chi alimenta una “guerra insensata tra uomini e donne”, rivolga pure lo sguardo altrove. Perché l’unica guerra che conosciamo in questo campo è mossa alle donne, che vengono uccise da famigliari al ritmo di una ogni tre giorni, uno delle pochissime tipologie di reato che non sono in calo negli ultimi anni.
E l’unica “guerra” che ci interessa è una lotta per liberare tutti, donne e uomini, da un modello culturale, quello del patriarcato, per cui la donna è passiva e l’uomo predatore, per cui l’uomo è detentore del potere economico e sociale, e quindi la donna non può essere una sua pari, ma solo una approfittatrice a caccia dei suoi soldi o del suo status. Un modello che vive della cultura del possesso e dello stupro, per cui si emargina e bullizza chiunque non risponda agli stereotipi e ruoli di genere, dall’identità all’orientamento alle scelte lavorative e personali.
È una lotta contro le disuguaglianze, anche e soprattutto quelle economiche, che dati alla mano ci dicono che le donne non hanno ancora raggiunto la parità retributiva, anche se la parità salariale è inserita nella Costituzione, e che la loro carriera e il loro lavoro è frenato dal loro essere donne, o essere madri, mentre questo non vale per gli uomini. Una lotta in cui le armi si chiamano “congedi parentali per i padri”, “condivisione del lavoro di cura”, “parità di retribuzione”, “rimozione del soffitto di cristallo”…
È una lotta che non si fa a colpi di casi di cronaca, come ogni tanto qualcuno prova a fare, o di storie di divorzi disastrosi o accuse, o di “è successo a mio cugino”. Storie che esistono, come ricorda tra le altre (perché non è vero che a nessuno interessa) Linda Laura Sabbadini, “semplicemente bisogna ripristinare una verità che è nei numeri: sono meno delle donne”.
Non mi interessa quindi una supposta “guerra tra donne e uomini”, ma una lotta a favore dei soggetti più vulnerabili, da qualsiasi punto di vista. E in molti luoghi del mondo, compresa l’Italia, sono ancora molto spesso le donne. Specialmente quando si trovano a vivere una condizione di intersezionalità: donne, e allo stesso tempo precarie, migranti, persone lgbti+, disabili.
Mi interessa la costruzione di un mondo che sia accogliente e rispettoso, e di tutte, tutti e tutto. Dove ciascuna persona abbia pari dignità di cittadinanza nel mondo. Dove il rispetto sia per le persone, per gli animali, per l’ambiente. Di una politica che si prenda cura, una “pedagogia femminista” che scardini e sostituisca la “pedagogia del patriarcato”, quella fatta di stereotipi, muscoli, di rapporti di forza, di dominio, di oppressione, di ruoli precostituiti, di noi e di loro, di omologazione e rifiuto di tutto ciò che è diverso dal modello, di distruzione ambientale, di saccheggio di risorse, di riduzione in schiavitù.
Di guerra, appunto. E ne abbiamo abbastanza.
Beatrice Brignone, segretaria nazionale di Possibile
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