Lodovico Mortara al centro del secondo incontro della Rassegna di storia senigalliese
La vita e la professione del grande uomo di legge saranno discusse il 12 giugno a Palazzetto Baviera
Secondo appuntamento, mercoledì 12 aprile, alle 21.15 presso il Palazzetto Baviera, per la XV Rassegna di Storia Contemporanea che, promossa dal Centro Cooperativo Mazziniano in collaborazione con l’Associazione di Storia Contemporanea, ospita Massimiliano Boni, consigliere della Corte Costituzionale e autore del libro “Il figlio del rabbino: Lodovico Mortara, storia di un ebreo ai vertici del Regno d’Italia”. (Viella, 2018).
La vicenda al centro della serata è particolarmente appassionante e rientra a pieno titolo nell’idea di fondo della Rassegna, quella cioè di dare voce a libri freschi di stampa e di taglio originale. Una vicenda più singolare di quella di Lodovico Mortara è difficile da rintracciare.
Nato nel 1855 a Mantova – quando questa era ancora possedimento austriaco –, figlio di Marco, rabbino capo della comunità ebraica locale, cresciuto nella cultura del positivismo (su di lui ebbe larga influenza il filosofo Roberto Ardigò, suo docente liceale) e transitato da un’intensa religiosità a una forma di agnosticismo, Mortara divenne giovanissimo un uomo di legge: laureatosi in giurisprudenza a soli 19 anni, divenne avvocato, lasciando la toga dopo otto anni; divenne così in quanto vincitore di concorso, ad appena 31 anni, docente universitario di procedura civile, insegnando prima a Pisa e poi a Napoli – allora il terzo ateneo d’Europa e il primo in Italia – ma agli inizi del Novecento lasciò il mondo accademico e nel 1903 entrò in magistratura, dove rimase per 21 anni, quasi tutti in Cassazione (dal 1915 al 1923 fu primo presidente dela Cassazione romana).
Nello stesso anno aderì alla massoneria del Grande Oriente. Notevole riformatore del diritto, Mortara ebbe anche una carriera politica: dopo le esperienze di consigliere e assessore comunale in gioventù nella sua Mantova, divenne senatore (1910) e ministro di Grazia e giustizia (1919-20) nel governo Nitti: quando, nel 1920, il premier, che reggeva pure il dicastero dell’Interno, si recò all’estero per le conferenze internazionali postbelliche insieme con il ministro degli Esteri Tittoni, a Mortara fu conferito l’incarico della vicepresidenza del Consiglio nonché l’interim dei ministeri dell’Interno e degli Esteri. Epurato e collocato a riposo dal fascismo per le sue idee troppo moderne (la sentenza del 1906 sul voto femminile e la legge del 1919 sulla capacità giuridica della donna; le sue battaglie in favore dell’autonomia e indipendenza del potere giudiziario e quelle contro l’abuso dei decreti legge), Mortara continuò a dirigere la rivista «Giurisprudenza Italiana», ruolo assunto nel 1892 e che costituì uno dei principali interessi della sua vita intellettuale, insieme a opere-cardine (da “Lo Stato moderno e la giustizia”, 1885, ai “Principii di diritto processuale civile”, 1906).
Morì a Roma il 1° gennaio 1937 e lasciò scritto di non voler essere commemorato dal Senato fascista. La morte lo preservò dalla persecuzione delle leggi razziali che colpirono invece i suoi familiari, tra cui i figli Giorgio, noto statistico, e Nella, docente di Fisica sperimentale. Dimenticato per trent’anni, l’“attualità” di Mortara è stata riscoperta nel 1968 da Salvatore Satta ed è divenuta oggetto di un’articolata stagione di studi dopo il Duemila.
Il libro di Boni ha il merito di aver riscoperto soprattutto l’uomo-Mortara, con le sue sconfitte, il suo isolamento, certa sua caratterialità. Insomma, si tratta di una serata particolarmente interessante per i tanti temi intrecciati alla figura dell’insigne giurista: il diritto, la politica, l’emancipazione femminile, l’ebraicità, e così via.
Porta i saluti il prof. Marco Severini (Università di Macerata), curatore della manifestazione, dialoga con l’autore l’avvocato Nicola Sbano, presidente dell’Associazione Mazziniana Italiana di Ancona.
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