Senigallia 1897: un terremoto, tre alluvioni e il caro-pane
Una sintesi della ricerca storica del professor Giuseppe Santoni, pubblicata integralmente sulla rivista Marca/Marche
E’ stata pubblicata nel numero 11/2018 (uscito a gennaio 2019) di Marca/Marche, Andrea Livi editore di Fermo, una ricerca storica del professor Giuseppe Santoni, dal titolo “Senigallia 1897: un terremoto, tre alluvioni e il caro-pane”.
L’autore, nel segnalarci la possibilità di richiedere copia del fasciolo all’editore (info@andrealivieditore.it – tel. 0734227527), concede gentilmente a Senigallia Notizie di pubblicare una sintesi della sua ricerca, e a voi lettori di scoprire un capitolo di storia senigalliese forse ignoto ai più.
Insieme alla sintesi della ricerca del prof. Santoni, pubblichiamo alcune foto tratte dall’archivio comunale di Senigallia. In particolare, due di esse (la prima e l’ultima di questo articolo) sono firmate dal fotografo senigalliese Giovanni Cingolani, contemporaneo agli eventi, e si riferiscono al crollo del ponte ferroviario sul cavo Penna, in prossimità della raffineria degli zuccheri.
Senigallia 1897: un terremoto, tre alluvioni e il caro-pane
Il 21 settembre 1897, alle ore 13:57:15, una fortissima scossa di terremoto di 7º MCS (Mercalli-Cancani-Sielberg) scuoteva la città di Senigallia. L’epicentro fu calcolato in mare a pochi chilometri dalla costa. Molte case furono lesionate in modo più o meno grave. Caddero molti comignoli, tegole, soffitti. Si produssero scrostature nei muri, nelle volte e spostamenti di travature. Tra gli edifici pubblici danneggiati compaiono il campanile della chiesa di S. Martino, Porta Lambertina dove cadde un fiorone di pietra, Porta Mazzini dove fu disintegrata la torretta dell’orologio, la torre del Palazzo Comunale dove fu danneggiata la balaustra dell’ultimo cornicione. Lesionata lievemente anche la Rocca Roveresca dove erano le carceri. Riportarono danni pure il Teatro La Fenice e l’Albergo Roma (di proprietà comunale, ubicato nel palazzo Gherardi, in seguito divenuto sede del Liceo Classico e della Biblioteca comunale Antonelliana). Nel rione Porto fu necessario demolire 5 case pericolanti.
I periti non fecero in tempo a completare gli accertamenti agli edifici pubblici e privati perché il 6 ottobre una grossa piena del Misa provocava in città danni più gravi del terremoto, inondando tutti i borghi e il quartiere del Porto. Le notizie sull’alluvione a questo punto prevalgono su quelle del terremoto, oscurando le informazioni sul sisma del 21 settembre.
Non erano trascorsi che 12 giorni dalla piena del 6 ottobre che il sindaco faceva spedire quattro allarmanti telegrammi a Roma e al Prefetto della Provincia di Ancona, perché un’alluvione ben più devastante accadeva il 22 ottobre 1897: l’acqua del fiume, invadendo i quartieri bassi, arrivò fino in piazza Roma, inondò il quartiere Porto e distrusse 4 ponti ferroviari nelle vicinanze della città: il ponte sul fosso di Morignano (zona Ciarnìn), il Ponte Rosso in zona Saline, il ponte ferroviario alla foce del Cavo Penna dov’era la raffineria degli zuccheri (attuale zona del Piazzale della Libertà, dove sorge la Rotonda a Mare), e sul fiume Cesano, interrompendo le principali vie di comunicazione stradali e ferroviarie. Crollò pure il ponte sul fosso Triponzio sulla strada per Morro d’Alba.
All’alluvione del 22 ottobre 1897 seguì una nuova ondata di piena il 24 ottobre.
Questa del 22-24 ottobre era la terza alluvione in un solo anno, perché una piena di proporzioni minori si era verificata anche il 7 marzo nella zona del Portone, dove il fosso Sant’Angelo confluiva nel fiume Misa, con allagamenti al Vallone, al borgo Molino, nella zona delle Saline e lungo il Cavo Penna – all’epoca ritenuto il naturale prolungamento del fosso S. Angelo in mare – dal borgo di via Baroccio fino alla foce del diversivo Penna.
Se si considera, inoltre, che un’altra straordinaria altissima piena del Misa era avvenuta l’11 e il 12 novembre del 1896, quando le acque inondarono i quartieri Porto, Pace e parte della città raggiungendo in alcuni punti quasi l’altezza dei primi piani, e che seguì un’altra inondazione di proporzioni minori il 6 e 7 maggio del successivo anno 1898, con allagamenti in diversi punti della città e sobborghi, in soli 18 mesi si susseguirono a Senigallia ben cinque gradi alluvioni.
Nel novembre-dicembre del 1897 a Senigallia si manifestarono i primi malumori per il rincaro del costo del pane, conseguenza dello scarso raccolto di grano durante l’anno agrario 1896-1897. Venne a mancare circa un terzo del fabbisogno cerealicolo a causa della pessima semina del precedente anno 1896, quando non fu possibile arare e seminare i campi per il susseguirsi di piogge incessanti e di alluvioni nei mesi di ottobre e novembre, non solo in molte parti d’Italia, Marche comprese, ma anche in altri stati d’Europa. La semina fu effettuata solo in 2/3 dei terreni agricoli, mentre per l’altro terzo non fu possibile seminare e le piogge eccessive asportarono le sementi dai campi già seminati.
I malumori per il caro-pane sfociarono a metà gennaio del 1898 in dimostrazioni e disordini popolari in Ancona, a Senigallia, a Osimo, a Chiaravalle e in molte altre città delle Marche. A Senigallia, in particolare, il 18 gennaio un corteo di protesta di circa 200 persone, capeggiato dalle operaie della filanda, si diresse verso il Palazzo Municipale per chiedere provvedimenti. Il 18, 19 e 20 gennaio seguirono tafferugli e scontri con le forze dell’ordine perché i dimostranti saccheggiarono alcuni magazzini di grano, tra cui i granai del principe Ruspoli. Si chiese l’intervento dell’esercito e, per impedire il passaggio della fanteria che arrivava da Pesaro, fu eretta una barricata sul ponte Vittorio Emanuele dove dovevano passare le truppe che arrivavano da Porta Fano per raggiungere il corso Vittorio. Durante i tre giorni di disordini furono arrestati 111 senigalliesi, fra cui molte casalinghe, e deferiti all’autorità giudiziaria. Al termine di lunghi processi furono prosciolte 40 persone, ma 71 furono condannate, fra cui ben 36 donne.
Tra gennaio e maggio 1898 agitazioni più o meno violente avvennero in quasi tutte le città italiane maggiori e minori. Culminarono a Milano il 6, 7 e 8 maggio con i fatti clamorosi noti a tutti: il generale Fiorenzo Bava Beccaris, commissario straordinario del governo presieduto da Antonio Starabba marchese di Rudinì, insediato il suo quartier generale sotto una tenda in piazza Duomo, diede ordine di abbattere a colpi di cannone le barricate erette dai dimostranti e di sparare contro la folla composta anche da donne, vecchi e bambini. Il conteggio esatto delle vittime è rimasto imprecisato, sebbene le autorità governative, in connivenza con quelle militari, abbiano riferito ufficialmente solo 80 morti e circa 450 feriti.
Per gentile concessione del Professor Giuseppe Santoni
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