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“Una unione sovietica? no, grazie”

Il Forum dell'Onda sull'unione di “Le Terre della Marca Senone”

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Terre della Marca Senone, logo

In linea di principio, nessuno di noi è contrario a che i Comuni possano collaborare tra di loro. Ma solo se le cose sono fatte bene si possono sperare buoni risultati. E questa unione di sette Comuni chiamata “Le Terre della Marca Senone”, approvata di recente, non è davvero una cosa fatta bene. Di seguito la prima parte del nostro ragionamento.

Perché no?
Per cominciare, la fretta. La stessa con la quale il nostro Comune tentò di farci trangugiare la stravagante unificazione per incorporazione di Morro d’Alba. C’erano gli incentivi – chissà – volevano quelli. Nel referendum consultivo tra i votanti prevalse nettamente il NO. La gran parte dei cittadini non andò a votare. Per dire quanto gli importava la faccenda.

Esattamente come allora, la Giunta amministrativa si presenta in Consiglio con un piano di fattibilità non si sa se più vuoto o saccente. Stavolta il referendum non è concesso e la città non viene consultata. A chi comanda piace vincere facile. Del resto a cosa servono i cittadini se non per andare nei supermercati? Il Consiglio Comunale di Senigallia vota a maggioranza semplice. Ecco come nasce l’Unione.

Un momento: l’Unione di cosa?
L’Unione dei Comuni delle valli del Misa e del Nevola. Non tutti però. Corinaldo e Castelleone non ci vogliono entrare. Dunque Unione di Sette. Senigallia, Trecastelli, Ostra, Ostra Vetere, Barbara, Serra de’ Conti, Arcevia.

Dunque adesso di sette Comuni se ne fa uno solo?
No, no: i singoli Comuni restano, non è una fusione. Se l’Unione dura, tra dieci anni se ne riparla. Intanto alcuni servizi comunali vengono messi insieme in modo che si abbiano efficienza ed economie. I Servizi Sociali sono stati pionieri.

Ah. E chi ha avuto questa bella pensata?
È un pezzo che ci girano intorno. Dal 2000, diciamo. In quell’anno il governo emanò un decreto che si chiama TUEL e vuol dire Testo Unico sugli Enti Locali: lì è scritto che l’Unione di Comuni è costituita da due o più Comuni, in genere confinanti, che intendono gestire insieme funzioni e servizi. Un’opportunità per i piccoli comuni mettersi insieme in modo da avere, mettiamo, un unico segretario comunale e un unico ufficio tecnico. Gestione associata, risparmi garantiti.

Buona cosa, allora.
In teoria sì. Tanto è vero che le gestioni associate erano state rese obbligatorie per i comuni entro i cinquemila abitanti, tremila nei luoghi di montagna. Nel 2008, poi, la Regione Marche con propria legge (n. 18, articolo 20) si impegnava a promuovere l’Unione di Comuni con specifico riguardo a quelli più piccoli; ma subito dopo (articolo 22) disponeva un programma di riordino territoriale.

Questo riordino permise all’Assemblea Regionale di individuare 23 aree di Dimensione Territoriale Omogenea Ottimale, DTO, “ai fini dell’esercizio associato di funzioni fondamentali comunali”. Secondo il legislatore regionale, la nostra regione dovrebbe conformarsi come risulta dalla cartina Cartinaallegata al presente articolo.

Si vede bene come, incapaci di cambiare la storia, i partiti dominanti nell’Assemblea Regionale provano a cambiare la geografia. Una volta per cambiare i confini ci voleva una guerra. Ma non è questa vita civile una guerra quotidiana? Lo “specifico riguardo ai comuni più piccoli” (tipoTre Castelli) viene subito scavalcato. Nel nuovo assetto, i comuni di ciascuna delle 23 aree sono chiamati a costruire la loro Unione.

In questo modo, però, cambiano un sacco di cosa: i rapporti tra le istituzioni, i rapporti tra i comuni grandi e piccoli internamente all’Unione, i rapporti tra maggioranze e minoranze nella rappresentanza e, soprattutto, quelli tra istituzioni e cittadini. Fatte in questo modo, le Unioni diventano destabilizzanti.

Si spieghi meglio.
Ma certo. Punto per punto.
Rapporti tra le istituzioni. Consideriamo come si organizza una Unione dei Comuni. Prendiamo come esempio la cosiddetta Unione dei Comuni “Le Terre della Marca Senone”: avrà un Presidente, una Giunta, un Consiglio.

Un altro tetto nella pagoda del potere e un’altra fila di palchi nel teatro della politica. Le scatole cinesi, o se volete la matrioska russa, dentro l’Unione Europea e lo Stato Italiano. avremo dunque governati da una Macroregione, da una Regione, da una Provincia, da una Unione dei Comuni e finalmente dal nostro Comune. La Provincia, sì, perché mica è stata abolita: è stata solo sottratta all’elettorato. Tra l’altro, nella sua relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali per il 2015, la Corte dei Conti diceva chiaramente che – alla luce degli esiti del referendum di Renzi – anche le Province si devono finanziare…

Insomma, la moltiplicazione dei pani e dei pesci
Esatto. Uno scombinamento dato anche dalla brutta abitudine dei recenti governi nazionali e locali di mettere le mani avanti e mettere i cittadini di fronte al fatto compiuto.

In questo modo però l’Italia diventa pasticciata come la pastasfoglia. Se guardate la cartina, vedete per esempio che le Dimensioni Territoriali Omogenee Ottimali in alcuni casi scavalcano il confine provinciale. Per contro, trovate comuni come Corinaldo e Castelleone che, malgrado siano stati ascritti alla DTO 7 (quella marrone), non vogliono saperne di aderire. Ma certo: loro sono già insieme per la discarica che, siccome non rende niente, quando si tratta di condividere i servizi mica la mollano! Un bel casino insomma.

Rapporti tra istituzioni e cittadini. Le due intercapedini che si sovrappongono al Comune, la Provincia e l’Unione, non le votiamo noi, ma sono nominate dagli eletti nei singoli comuni secondo criteri che più avanti vedremo. Non è difficile comprendere come il luogo delle decisioni che prima si teneva interamente tra Comune e Cittadini, adesso non è più a pianoterra, ma in un mezzanino tra Comune e Regione dove è scritto sulla porta “riservato ai clienti dell’albergo”.

Nella prossima uscita pubblicheremo la seconda parte di questo articolo.

da Il Forum dell’Onda

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