“Tre Manifesti a Ebbing, Missouri” e Golden Globes: quando il red carpet si veste di nero
Torna su Senigallia Notizie la rubrica Screenshot, per parlare di film in sala, serie tv appassionanti e linguaggio cinematografico
Con il nuovo anno torna Screenshot, la rubrica di cinema di Senigallia Notizie. Due domeniche al mese per parlare dei film in sala, delle serie tv più interessanti e approfondire aspetti del linguaggio cinematografico utili a gustare appieno i film che vedremo.
Cosa succede quando teniamo nascosta una verità? O quando il silenzio e l’indifferenza di chi abbiamo intorno annullano il nostro diritto alla giustizia?
Guardando Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh, già in sala a Senigallia, e pensando alla 75esima edizione dei Golden Globes, che a questo film ne ha assegnati quattro (miglior film drammatico, miglior sceneggiatura, miglior attrice protagonista, miglior attore non protagonista), ho trovato buoni spunti di riflessione.
Premetto di non essere una fan di premi cinematografici. Per me il Cinema – magari non proprio tutto – è Sogno, e resta tale indipendentemente dai riconoscimenti. Eppure le premiazioni sono parte di quell’industria che finanzia la realizzazione del sogno. E va bene così. Soprattutto quando una kermesse abbandona l’autoreferenzialità e diventa teatro aperto per voci che hanno qualcosa da dire sulla realtà.
È quanto è successo domenica 7 gennaio sul palco del Beverly Hilton Hotel: i riflettori si sono spostati dal mondano red carpet di abiti lunghi e lustrini a cui eravamo abituati, e hanno illuminato un black carpet di impegno sociale e politico. Dopo il polverone mediatico alzato dallo scandalo Weinstein, l’industria cinematografica americana sembra aver fatto il giro di boa sulla discriminazione di genere e (con)cede il passo alle protagoniste femminili, come ha evidenziato con ironia pungente il comico Seth Meyers nel suo discorso di apertura: “Buona sera signore e signori, almeno quelli che sono rimasti. È il 2018: la marijuana è finalmente accettata e le molestie sessuali finalmente non lo sono più”.
Attrici, registe, produttrici, conduttrici televisive, si sono alternate sul palco non tanto per autocelebrare il loro (indiscusso) talento, bensì per ribadire solidarietà e lotta contro molestie e abusi. Lo ha sintetizzato bene Nicole Kidman ricevendo il premio come miglior attrice protagonista della miniserie tvBig Little Lies, diretta da Jean-Marc Vallèe, una garanzia di altissima qualità, e di cui screen shot tornerà a parlare. “Il personaggio che interpreto – ha detto la Kidman – rappresenta ciò che è al centro della nostra attenzione proprio ora: l’abuso”. Le ha fatto immediatamente eco la coprotagonista e coproduttrice Reese Witherspoon: “Voglio ringraziare chi ha rotto il silenzio quest’anno e ha parlato di abusi, siete davvero coraggiose! Per tutte le persone là fuori, che si sentono zittite da molestie e discriminazioni, time is up, il tempo è scaduto! Vi vediamo, vi sentiamo e racconteremo le vostre storie”.
Il suo Time’s up è un riferimento esplicito al movimento nato per garantire supporto legale a donne e uomini molestati sul luogo di lavoro ed è proprio su richiesta di Time’s up che moltissime attrici e attori hanno indossato abiti neri sfilando sul red carpet (ribattezzato black per questo motivo), accompagnati da attivisti per i diritti civili, a dimostrazione che arte e impegno sociale possono andare a braccetto.
Il cinema è narrazione e chi fa film gestisce uno strumento prezioso e delicato: poter parlare alle coscienze di milioni di persone. Ce l’ha ricordato Oprah Winfrey (prima afroamericana insignita del Cecil B. Demille alla carriera) nel suo lungo e vibrante discorso, punteggiato da svariate standing ovation: “Qui tutti siamo celebrati per le storie che raccontiamo; quest’anno siamo diventati la storia. Ma non è una storia che riguarda l’industria dello spettacolo, è una storia che attraversa culture, geografia, razza, religione, lavoro, politica […]Dire la propria verità è il mezzo più potente che noi tutti abbiamo”.
E sono verità e giustizia che cerca Mildred, il personaggio interpretato da Frances McDormand in Tre manifesti, spaziando con incredibile destrezza dal grottesco al dramma. Vestendo i panni sgualciti di una donna indurita dalla vita e da un evento tragico, si sposta con la sua station wagon, sgangherata quanto lei, per le strade di Ebbing, simbolo esasperato della provincia americana profonda, e ci mostra i suoi abitanti, per lo più razzisti, maschilisti, omofobi. Il punto centrale di questa black comedy, che ci fa ridere della meschinità umana e subito dopo ci spiazza con la brutalità del dolore, è che nessuno è indenne dalla frustrazione e dalla rabbia. Anche Mildred è eccessiva e persino ingiusta mentre cerca la sua giustizia: la gestualità, gli abiti, il linguaggio evidentemente “maschili” la rendono spesso simile agli uomini con cui si scontra. Nel film di McDonagh tutti sono colpevoli, come ci viene spiegato nel bellissimo monologo sulle gang, tutti adottano una violenza verbale irritante, eppure tutti portano dentro un germe di tenerezza, una scintilla di rivalsa sulla crudezza della vita che ci fa sperare in una possibilità di rispetto e persino di solidarietà.
Non potrei terminare senza menzionare il golden globe per la miglior serie drammatica assegnato a Handmaid’s tale (I racconti dell’ancella), un prodotto di così alto livello che chiamiamo serie tv esclusivamente per la sua durata ma che è senza dubbio grande cinema per la perfezione della messa in scena. La protagonista Elizabeth Moss ha citato il romanzo del 1985 di Margaret Atwood, da cui è tratta la serie: “Noi eravamo le persone di cui non si parlava mai nei giornali. Vivevamo nei vuoti spazi bianchi ai margini dei fogli, tra gli interstizi delle storie altrui”, e ha quindi aggiunto: “Ora non viviamo più nello spazio bianco, stiamo scrivendo noi stesse quelle storie”.
Il 2018 cinematografico si annuncia promettente, e in attesa di domenica 28 gennaio, per parlare di altre storie da guardare, andiamo al cinema e leggiamo libri: eviteremo il rischio di rimanere incastrati a bordo pagina.
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