Non eccezionale, ma soprattutto evitabile: “l’alluvione di Senigallia era prevedibile”
Dopo l'accesso agli atti, intervengono Paradisi e Liso: "Responsabilità corale di diversi soggetti istituzionali"
Non era eccezionale né imprevedibile l’alluvione che il 3 maggio 2014 sconvolse la città di Senigallia. Alcuni dei 179 milioni di euro di danni si sarebbero potuti evitare con le la prevenzione e manutenzione ambientale e l’attivazione dell’allerta sarebbe stata rallentata.
Su questi punti fanno leva gli avvocati Roberto Paradisi e Domenico Liso, legali di alcune decine di persone danneggiate dall’alluvione del 3 maggio 2014, dopo aver ottenuto le 10.309 pagine che costituiscono gli atti finora accumulati dalla Procura. Atti da cui emerge “un’assoluta quanto consapevole e colpevole inerzia circa l’elevato profilo di rischio di dissesto idrogeologico del fiume Misa dalle Bettolelle fino al mare“.
Dalle relazioni fornite ai Pm dai Carabinieri Forestali (depositata da oltre un anno) e dall’ing. Marco Mancini, il perito nominato dai Pm, emergono che i dati pluviometrici non erano tali da caratterizzare l’evento come eccezionale, né imprevedibile. Nei testi si aggiunge che gli argini non sono stati sormontati ma avrebbero ceduto a causa di una scarsa manutenzione incentrata solo a tagliare selettivamente parte della vegetazione, in assenza delle vasche di compensazione idraulica che avrebbero potuto limitare la piena di un 15% circa. Se poi si aggiungono giudizi che il perito e i Forestali lasciano sul sistema di allerta e sulla riperimetrazione del PAI decisa prima dell’alluvione, ecco che si disegna un quadro drammatico.
A tal proposito è proprio Roberto Paradisi a dichiarare che “Emerge una responsabilità corale di diversi soggetti istituzionali per i quali è difficile poi disgiungere le responsabilità personali da quelle diciamo assunte mentre si svolgeva il ruolo istituzionale“. Di cui poi dovranno – secondo le valutazioni dei due legali – rispondere patrimonialmente gli enti in questione (Comune, Provincia e Regione), in caso di condanna, perché si tratterebbe di condotte od omissioni commesse da rappresentanti di enti istituzionali nell’ambito di quei ruoli, concludono Liso e Paradisi.
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