La “lenta agonia” dell’ospedale di Senigallia, la mobilitazione dei cittadini
Nascono altri gruppi di persone che vogliono informare la città e tutelare la sanità pubblica. Ma i politici?
L’intera città – o almeno la parte che si è accorta che sta succedendo qualcosa – teme che l’ospedale di Senigallia possa essere chiuso. Da quanto ci è dato sapere, non è ancora tempo; per il momento non si tratta di chiusura, ma di depotenziamento. Veramente non è da oggi che il nostro ospedale viene depotenziato: la fase attuale ha tutti i sintomi di una lenta agonia. Ne osserviamo gli effetti in più di una Unità Operativa; quello che al presente impressiona è la disposizione dell’Autorità Regionale che, da metà agosto in avanti, non vengano più accettati pazienti nell’UTIC, l’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica. Singolare che l’informazione venga non dai responsabili amministrativi e tecnici della gestione sanitaria, ma da una lettera del dott. Mariani, direttore della Cardiologia del nostro ospedale civile: “l’Utic chiuderà il 1° settembre prossimo”.
Su tale prospettiva si sono già espressi con parole rassicuranti alcuni esponenti della nomenklatura politica comunale e regionale (Sindaco, Volpini): per iniziativa loro la determinazione sarebbe stata sospesa e il pericolo di chiusura scongiurato. E’ bastata una semplice verifica all’albo pretorio dell’A.S.U.R. (consigliere comunale Sartini) per constatare che non era stata pubblicata alcuna richiesta di sospensione o revoca della determinazione a chiudere. La verità qual è?
In questo clima estivo di sotterfugio e occultamento dei fatti è in effetti difficile formarsi un’opinione che non sia la peggiore. Perché poi proprio l’Utic a Senigallia?
Le direttive europee prevedono un rapporto tra numero di persone e di strutture e la legge italiana vuole che ce ne sia una sola per ciascuna area vasta (cioè Senigallia, Jesi, Fabriano).
Allora la domanda è: perché chiudere proprio la nostra? L’Utic di Senigallia è stata costantemente più attiva rispetto a quelle che si trovano nella stessa Area vasta e che vengono tuttavia mantenute (754 DRG, ossia pazienti accolti e dimessi a Senigallia, 665 Fabriano e solo 590 Jesi nel 2016); ha anche messo in campo una maggiore efficienza operativa (percentuale di ricoveri inappropriati: Senigallia: 0,4%, 1,4% Jesi e 5,4% Fabriano). Considerati questi dati oggettivi, perché questa chiusura?
Ci si chiede ora, ragionevolmente, per quale prospettiva, per quale razionalità e a beneficio di quale altra comunità, o di quale altro soggetto pubblico o privato, si decide di voler mutilare la capacità operativa di questo ospedale e di questa città; e, dolorosamente, si constata la sostanziale accondiscendenza delle autorità locali, sindaco in testa, al depotenziamento di un presidio sanitario che appartiene al territorio di Senigallia, alla sua storia e ai suoi cittadini nel presente e soprattutto nel futuro.
Le loro carriere, gli interessi dei rispettivi partiti, valgono forse di più della nostra salute? Per ora le autorità si muovono con cautela: hanno paura di perdere consenso. Per questo non possiamo distrarci nemmeno un momento. E dobbiamo sapere ogni cosa. Perché, pazienza se moriamo noi, ma cosa possiamo fare se ci muore l’ospedale? Informiamoci, scambiamo informazioni, sottoscriviamo petizioni, scriviamo sui social, prendiamo iniziative, protestiamo davanti all’ospedale e sotto il comune.
Per parte nostra ci ripromettiamo di tenere desta l’attenzione con costanti informazioni e proposte di azione. Senza involtolarle in nessuna bandiera.
Il nostro comitato? La città intera.
da Riccardo Pizzi,
Gruppo di Informazione sull’ospedale di Senigallia
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