Musinf: gli autoritratti di Katiuscia Biondi Giacomelli entrano nell’archivio Bonomi
“Arrivare ad una visione approfondita di Giacomelli fu importante e persino commovente per me"
Il prof. Giorgio Bonomi, direttore della rivista Titolo, che coordina l’Archivio Italiano dell’Autoritratto, ha comunicato che una suite di autoritratti di Katiuscia Biondi Giacomelli è entrata a far parte della raccolta del Musinf. Katiuscia Biondi Giacomelli dopo aver frequentato l’ambiente strutturalista all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi si è laureata in Filosofia all’Università di Urbino, con una tesi decostruzionista sul potere persuasivo (performativo) del linguaggio. Ha applicato la sua ricerca linguistica sul corpus fotografico di Mario Giacomelli.
“Arrivare ad una visione approfondita di Giacomelli fu importante e persino commovente per me” dice “infatti finalmente (lui era stato un nonno carismatico e insieme misterioso) mi apriva al suo complesso mondo interiore”. Da qui nasce nel 2011 il libro “Mario Giacomelli. Sotto la pelle del reale” (ed. 24 Ore Cultura) con introduzione di Achille Bonito Oliva, di cui nel 2015 sono uscite le versioni inglese (Schilt Publishing) e tedesca (Till Schaap Edition). Nel marzo 2016 esce un nuovo libro, curato da Katiuscia Biondi in collaborazione con Claude Nori “Mario Giacomelli. Je ne fais pas le photographe, je ne sais pas le faire” / “Mario Giacomelli. Non faccio il fotografo, non so farlo”, edizioni Contrejour. Tra la sua bibliografia, da menzionare anche “Mario Giacomelli. La terra dalle ombre lunghe” (ArteCom, 2011). E’ direttore artistico dell’Archivio Mario Giacomelli – Sassoferrato.
Un’intervista a Katiuscia Biondi Giacomelli del prof. Bugatti, sarà pubblicata nel prossimo numero dei Quaderni del Musinf, dedicati alle nuove acquisizioni dell’istituzione senigalliese.
Ecco in anteprima il testo dell’intervista.
Domanda del prof. Bugatti: Per costruire, far vivere far crescere un Museo ci vogliono scelte coraggiose, coerenti e qualitative, dunque, anche se mi è nota la sua scelta di non promozione come fotografa, sono a chiedere: per le aperture serali estive 2017 il Musinf potrà disporre del suo autoritratto con la decollazione? E ancora, per la raccolta dell’Autoritratto Italiano, coordinata da Giorgio Bonomi, il Musinf potrà disporre della serie intera di fotografie, cui quello scatto appartiene?
Risposta di Katiuscia Biondi Giacomelli:
Già, la mia scelta di non promuovermi come fotografa! La prima responsabilità è sicuramente quella di gestire insieme a mia madre Rita, figlia primogenita dell’artista, l’Archivio Mario Giacomelli – Rita Giacomelli. Un impegno che mi vede da tempo in campo con pubblicazioni, seminari e mostre, come filosofa della fotografia. Lei lo sa, ne abbiamo parlato in diverse occasioni. Ma questa volta, la sua richiesta così appassionata mi mette nella condizione di non volerla deludere, e cedere così alla sua idea, che riconosco acutamente metaforica, di esporre al Musinf la mia foto in cui “mi taglio la testa”. La richiesta poi è motivata dalla partecipazione con i miei autoscatti (con la serie intera a cui la foto della decollazione appartiene) all’Archivio Bonomi sull’Autoritratto in Italia, un Archivio che ha una consistenza di progetto e di firme autorevoli cui certo non posso sottrarmi.
Domanda del prof. Bugatti:
Della serie donata all’Archivio Bonomi, quali foto ritiene più significative?
Risposta di Katiuscia Biondi Giacomelli:
Una serie di foto ha la sua bellezza nella sua serialità. Nel senso che il significato passa attraverso la catena d’immagini, in movimento. Ma un paio di foto potrebbero essere l’apice del discorso: quella − così piena di contraddizioni − del primo piano di un mio sorriso pieno, goduto a occhi chiusi mentre una lama di ferro mi sta tagliando la gola, sotto lo sguardo impassibile di un cane, bianco come la luce abbaiante che penetra dall’alto. Il cane è impagliato, ed è proprio uno di quelli usati da mio nonno Mario per le sue foto degli anni ’90. Poi c’è quella in cui invece faccio tutt’uno con i cani di Giacomelli, attraverso una ripresa dal basso, e in questa ci rivedo quel che vivevo nel rapporto con mio nonno, regista in un mondo altamente ritualizzato e fantasmatico. Il mondo dentro la fotografia era quello vero, per lui.
Domanda del prof. Bugatti:
Perché la scelta di ridare vita ai cani impagliati?
Risposta di Katiuscia Biondi Giacomelli:
Ho ripreso i cani impagliati di Mario Giacomelli forse per parlare con lui, o con me. Sono i cani che lui aveva usato nel suo periodo della maturità, nell’ultimo decennio di produzione artistica e di vita, per costruire uno scenario Vuoto da cui partire per fotografare il mondo. È in questo vuoto che, con l’autoscatto, Giacomelli s’immette nelle sue fotografie, entrando così sotto la pelle del reale, in un paesaggio ormai così essenzializzato da sembrare al di là del tempo, forse a ricongiungersi a quell’umanità perduta, quella dei ricordi. E il passato così torna a essere presente. Qui sembra pervadere una grande solitudine, quella della concentrazione e per la connessione. Nel silenzio di questa lontananza Giacomelli aveva trovato la chiave per fondersi con il mondo.
Ho ripreso i suoi cani e mi sono fotografata anch’io in un silenzio, il silenzio della solitudine nella cura costante della mia preziosa radice, quest’uomo che tanto ha creato nell’arte fotografica e che tanto abita il mio presente da farmi a volte dimenticare di me stessa. Sono paradossi senza soluzione. Questa serie era come un atto di ribellione a cui però non ho nessuna intenzione di ribellarmi, perché la radice è ben salda a terra e mi fa crescere verso il cielo. Amo et odi (questo il titolo della serie) la mia preziosa radice.
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