Musinf di Senigallia, l’intervento di Enzo Carli sul “Passaggio di Frontiera”
Al Manifesto parteciparono importanti fotografi senigalliesi
“Noi fotografi senigalliesi siamo di parola. Avevamo detto che saremmo andati alla Biennale di Venezia e ormai alla Biennale ci siamo di casa tutti gli anni con i nostri reportages. Poi avevamo detto “Senigallia come Arles. Hebel a Senigallia lo abbiamo portato. Alla Rotonda c’è stata pure la standing ovation. Vedete che lavorando i progetti diventano realtà. Senigallia capitale della fotografia. E’ una soddisfazione, “ma per me niente mare” dice Anna Mencaroni, con un sorriso ed un sospiro “perchè devo spedire al più presto i video a Lorenza Bravetta, che li aspetta a Roma al Ministero. Ora, la cosa più difficile, trovo i venticinque euro per la base di registrazione e il lavoro è fatto”.
La fotografa e videomaker senigalliese Anna Mencaroni ha appena ultimato il riordino delle sue 10 ore di riprese della giornata di studio del Mibact relativa alla Fotografia marchigiana, che il Ministero dei Beni culturali pubblicherà per intero sul suo sito ufficiale. Tra gli interventi di maggior interesse vi è quello del fotografo e sociologo Enzo Carli, che racconta le vicende del Manifesto del Passaggio di frontiera, cui parteciparono importanti fotografi senigalliesi, tra cui Mario Giacomelli, Ferruccio Ferroni e Sofio Valenti. Il racconto è articolato in quattro sezioni: Dopo la frontiera, le origini, il manifesto, le verifiche.
“E’ una testimonianza importante” dice il prof. Bugatti, direttore del Musinf “perchè quella di Carli, che, tra l’altro, coordina la raccolta fotografica del Manifesto, conservata dal Musinf, è un’analitica e sistematica premessa per la mostra di settore che il Musinf ha programmato di realizzare non appena potrà disporre degli spazi espositivi della nuova sede museale al piano nobile del palazzo del Duca. Qui tra poco verrà realizzato anche l’adeguamento degli spazi dell’ex-ostello, in quanto per l’Ostello è in avvio un progetto, vincitore di un concorso nazionale.Globalmente il programma museale prevede la presentazione alla città delle varie raccolte fotografiche civiche, a partire da quelle che riguardano il Gruppo Misa“.
Ecco l’intervento integrale di Carli, che aprendo la sezione dopo la frontiera ha detto:
“Potremo individuare da una estrema sintesi del Manifesto Passaggio di Frontiera alcuni fattori di spinta della nuova generazione fotografica a cavallo tra la tradizione fideistica e il mutamento interiore e le condizioni fortemente interattive che spingono un singolo ad integrarsi in un gruppo e a migrare verso nuovi lidi, alla ricerca della realizzazione personale, alla messa in comune delle proprie motivazioni, aspirazioni e bisogni.La fotografia è quindi il medium che riproduce nuove codifiche e interpretazioni della memoria, dei sogni, dello spazio esistenziale, privilegiando la visione interiore. Il trasferimento avviene attraverso un progetto dinamico (e terapeutico) di fotografia che interagisce con il tempo e le forme della civilizzazione. Una fotografia che è quindi una forma di atteggiamento critico e risolutivo nei confronti dei dogmi e delle profezie che si auto rivela dalla conoscenza e dagli obblighi del percorso della rappresentazione figurativa. Lavoriamo nella storia con la storia e nella critica con la critica per recuperare la nostra identità e i pensieri mutanti. Carli ha poi rivolto un pensiero di gratitudine agli Uomini che hanno portato le loro esperienze per dar vita a quest’esperienza, esclusiva e originale e ha illustrato il percorso dalle origini.
Le origini. Il Centro Studi Marche nasce a Senigallia come movimento intellettuale e formativo intorno al 1978 e si trasforma in cooperativa culturale nel 1982. Tra i soci fondatori sono presenti architetti, avvocati, sociologi, imprenditori, matematici, ingegneri, psicologi, artisti, letterati e soprattutto molti fotografi, alcuni dei quali entreranno a far parte della cooperativa in seconda battuta. Oltre a diverse esperienze di formazione, Il Centro Studi Marche si distingue subito per una serie di iniziative promozionali in collaborazione con Enti e Istituzioni pubbliche quali work-shop, mostre e dibattiti sul versante della fotografia e arti visive, tra cui un film-poema Un’altra estate realizzato in collaborazione con la Provincia di Pesaro e l’Università di Urbino nel 1988 sulle poesie di Umberto Piersanti. In particolare nel settore fotografia vengono invitati, ai dibattiti e alle manifestazioni, personaggi di primo piano del panorama fotografico italiano e internazionale tra cui Franco Fontana, Giuliana Traverso, Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin. Alle Mostre partecipano grandi esponenti della fotografiaitaliana quali: Mario Giacomelli, Luigi Veronesi, Enzo Cei, Claudio Adorni, Giuseppe Cannoni, Paolo Monti, Pietro Donzelli, Giuseppe Cavalli, Pier Paolo Zani, Stanislao Farri, Giorgio Rigon, Rinaldo Prieri, Ambrogio Negri, Giuliana Traverso, Gianni Berengo Gardin, Pier Giorgio Branzi, Ferruccio Ferroni, ecc. Il dibattito sulla fotografia è incentrato, all’interno del gruppo fotografico del Centro Studi Marche (che viene nominato BFI, Benemerito della Fotografia Italiana della FIAF) sulle istanze più innovative, quelle che si rifanno alla visione formale, chiarista e crociana della Bussola di Giuseppe Cavalli; quella neorealista della Gondola di Paolo Monti e soprattutto sul racconto fotografico e sul realismo magico di Mario Giacomelli che diventa un punto di riferimento.Un quarto di secolo dopo il Gruppo Misa (1952), satellite della Bussola (1947) in terra marchigiana, concepito e diretto da Cavalli (tra gli estensori del Manifesto della Bussola), in un panorama fotografico frammentato in una moltitudine di associazioni che raccolgono gli operatori ai vari livelli della fotografia. Qui confluiscono le istanze indipendentiste della Bussola (attraverso una rilettura e una rivalutazione dell’opera di Cavalli, nonché l’adesione di personaggi che hanno vissuto in prima persona l’esperienza del Gruppo Misa come Ferruccio Ferroni e Mario Giacomelli), le istanze neo realiste e post-impressioniste della Gondola, come Gianni Berengo Gardin, il modo di raccontare per immagini di Giacomelli, della scuola fermana del CCF di Crocenzi e Guidi, le ricerche post-concettuali e la consapevolezza critica, le sperimentazioni grafiche, il reportage interiorizzato, la “contaminazione” con le altre espressioni dell’arte moderna. Un serbatoio culturale vasto e fortemente eterogeneo che tuttavia poggia su una base di ampie convergenze in materia di autonomia espressiva, di interiorizzazione della visione fotografica, di impegno nella ricerca e di rigore intellettuale. L’attività del gruppo spazia tra momenti di formazione, con sistematici confronti e scambi di esperienze, momenti di divulgazione, con pubblici dibattiti, pubblicazione di testi, seminari, presentazione di autori e momenti di proposizione, con mostre fotografiche collettive e personali. Un centinaio di manifestazioni di rilevanza nazionale, dal 1982 al 1994, sono a testimonianza di un attivismo culturale di difficili precedenti nella fotografia italiana.
Il manifesto. La consapevolezza di aver ricreato al proprio interno i medesimi presupposti e le tensioni che animarono il rinnovamento del pensiero fotografico italiano, ispira al Centro Studi Marche, dopo anni di formazione e promozione della fotografia, la necessità di stilare un proprio “manifesto” nella continuità con quello elaborato nel 1947 da Cavalli, Finazzi, Leiss, Vender e Veronesi. Il Manifesto Passaggio di Frontiera storicizza una stagione di ricerca e di rinnovamento della cultura fotoamatoriale e costituisce, in ogni suo singolo passaggio, un oggetto di approfondimento nonchè motivo di dibattito fin dalla sua presentazione, avvenuta, nel 1995, in anteprima alla Galleria Kn di Ancona e in via ufficiale ad opera di Jean Claude Lemagny, all’epoca Conservatore Generale del Gabinetto delle Stampe della Biblioteca Nazionale di Francia e storicizzata con il premio nazionale per il Laboratorio fotografico Gentile da Fabriano, 2013.
Manifesto dei fotografi del Centro Studi Marche di Senigallia, poi Manifesto dei Fotografi del Passaggio di Frontiera.
La fotografia è il nostro mezzo privilegiato, con il quale esprimiamo la visione del mondo, i rimandi della memoria, i sogni e le ansie della nostra generazione. La vita psichica e relazionale, lo spazio esistenziale e le sue motivazioni interiori, sono al centro del nostro interesse. Le nostre proposte sul linguaggio fotografico, espressione di libertà, sono legate ad una serie di esperienze, trasformate dall’autoanalisi collettiva, in proprie motivazioni. Siamo impegnanti in un progetto di fotografia globale, tra realtà, astrazione e concetto, dentro la rete complessa delle informazioni che le immagini instaurano e checostituiscono l’elemento dinamico del nostro percorso. Operiamo con la fotografia le scelte funzionali all’uso ed al linguaggio, con le quali manifestiamo, nello spirito del tempo, i modi e le forme del comunicare per immagini. Siamo per la fotografia che nasce dalle emozioni e dall’intelletto, come un grido di risoluzione alla vita, espressione latente di un’idea che nella forma e nel contenuto è svincolata dagli obblighi del percorso della rappresentazione figurativa. Crediamo nella fotografia come espressione autonoma, come ogni cosa può esserlo nel rispetto delle reciprocità, slegata da ogni dominio strumentale dell’arte e dal suo progetto di utilizzo. Rinnoviamo la sua storia che è spesso snaturata nelle sue ragioni interne, della libertà dell’immaginazione. Recuperiamo identità alla critica fotografica, spesso lasciata nell’indifferenza del pubblico. Il critico è un nostro simile, per pratica ed estrazione culturale, che si fa promotore ed interprete delle motivazioni e delle decisioni del fotografo. Cerchiamo le immagini che si fanno conoscenza e poesia, che dialogano con la parola per il reciproco accrescimento. Perseguiamo la conoscenza attraverso l’educazione all’originalità, alla comunicazione, alla comprensione. Favoriamo le occasioni per far conoscere ed esporre, fuori dagli stereotipi della comunicazione di massa, le immagini del nostro racconto. Provochiamo situazioni in cui si possa discutere di fotografia, della sua natura e delle sue scoperte, per soddisfare il nostro bisogno di essere.
Senigallia, 14/01/1995
Enzo Carli – Gianni Berengo Gardin – Giorgio Cutini – Luigi Erba – Ferruccio Ferroni
– Mario Giacomelli – Paolo Mengucci – Aristide Salvalai – Francesco Sartini – Sofio
Valenti. Testimoni: Marco Melchiorri, Loriano Brunetti
(Marco Melchiorri, Loriano Brunetti e Massimo Renzi entreranno a far parte dei fotografi del Centro Studi Marche con le Verifiche sul Manifesto dal 1996 al 2004. Nel 2013 i Fotografi del Manifesto sono stati insigniti del Premio Nazionale Gentile da Fabriano)
Le verifiche – Con la collaborazione di Massimo Renzi –
Ciò che potrebbe sembrare un punto d’arrivo – Il Manifesto – in realtà non è che l’inizio di un lungo e appassionante percorso. Divergenze ideologiche e operative tra la componente più innovatrice del gruppo e quella più tradizionalista determinano una lunga pausa di riflessione. Pur componendosi di un insieme di forti e differenti individualità, il gruppo risulta maggiormente proiettato verso una fotografia di rottura, di ricerca e di sperimentazione, svincolata da obblighi figurativi e tecnicistici. Anche nel nome è sancito il cambiamento, e i Fotografi del Centro Studi Marche si trasformano come i Fotografi del Manifesto – Passaggio di Frontiera, nuovi guerrieri. Contrariamente a quanto il suo nome lascerebbe supporre, il nuovo gruppo non procede ad una proposizione dogmatica del manifesto. Al contrario, decide di testarne i contenuti, cercando di portare su un piano pratico ciò che altrimenti non si discosterebbe da una mera dichiarazione d’intenti. Nascono così i due aspetti caratterizzanti il modus operandi dei Fotografi del Manifesto: la metodologia delle verifiche e il progetto di gruppo, atto a promuovere una visione integrata delle singole esperienze. Per necessità interiore, oltre che per coerenza intellettuale, il gruppo si propone di verificare sul campo, in termini di immagini, ogni sua proposizione teorica. Il momento della concretizzazione in immagini non è che la fase finale del progetto, le idee vengono discusse e sottoposte a ogni sorta di stress ideologico in cui ognuno si avvale degli strumenti, delle tecniche e delle soluzioni linguistiche e espressive che più gli appartengono. Le immagini sanciscono la validità della teoria, o non la confermano affatto: o è carente la teoria, o lo sono le immagini. O potrebbe essere la critica a trovarsi in una condizione di inadeguatezza, qualora si proponesse di comprendere le dinamiche visive della contemporaneità con gli strumenti obsoleti della tradizione figurativa, ignorando la natura introspettiva della rappresentazione e la sua componente sociologica. Le verifiche dei Fotografi del Manifesto iniziano nel 1995, in occasione delle manifestazioni sul Centenario della nascita di Luigi Bartolini, con un progetto che si propone di rivisitare in chiave fotografica l’opera dell’artista di Cupramontana in tutta la sua poliedricità. Al di là dello scopo dichiarato è ben ravvisabile il tentativo da parte dei fotografi di servirsi della reinterpretazione bartoliniana per intraprendere un’operazione, parallela e integrata al progetto stesso, di esplorazione delle potenzialità del linguaggio. Sono queste le prime immagini dopo il Passaggio di frontiera, “meditate”, perché espressione tangibile di una precedente fase progettuale, e al contempo “istintive”, in quanto non mediate da alcun preconcetto formale sull’utilizzo del mezzo fotografico. Nel 1996 una seconda verifica viene attuata in occasione di una rassegna sul paesaggio urbano (Le Forme della Città, Schio, 1996). Col pretesto del territorio, l’indagine mira ad un annullamento ideale della dipendenza dalla dimensione-spazio, tipica di una concezione garantista e conservatrice della fotografia, partendo da una semplice considerazione: se si afferma, come nel Manifesto, che la fotografia è essenzialmente una questione di rappresentazione interiore, non dovrebbe avere alcuna importanza il luogo-oggetto fotografato, avversandosi dunque a effimere visioni di natura topologica. L’azione fotografica viene, pertanto, volontariamente e provocatoriamente circoscritta nel limitato spazio di una piazza del centro storico di una città (Senigallia) che assurge a teatro di una pluralità d’interpretazioni. Le immagini, accomunate dal vincolo della location, rivelano la fortissima connotazione individuale di ogni autore, tale da far passare in secondo piano il luogo-pretesto, risultando altresì perfettamente interconnesse se rapportate alla configurazione globale del progetto. La successiva verifica esplora l’altra dimensione dell’esistere: il tempo. In Così come la Morte (Torino, 1997; Camerino, 1997; Senigallia 1998; Rivisondoli, 1999) l’idea di “morte” viene rapportata alla “vitalità dell’arte” e dei concetti di esistenza, di termine, di realtà e di rinnovamento. Ancora una volta l’invisibile prende forma dal visibile, l’immaginario magicamente si materializza dal reale e si può percepire una connettività latente nelle singole immagini, tra le singole storie, tra le varie verifiche, con le linee guida del manifesto. Nell’aprile del 2000, in occasione di un convegno scientifico sulla chirurgia laparoscopica avanzata, i Fotografi del Manifesto propongono su un contenitore ideato dall’artista Bruno Mangiaterra, tirato in 60 esemplari, 8 immagini, con schede degli autori presentate dal critico d’arte Armando Ginesi del quale proponiamo una sintesi: A me sembra che tutti gli elaborati possano essere definiti come la traduzione in immagini delle energie dell’intelletto, dell’anima, della vitalità che si condensano nella globalità del vivere, di cui la fotografia vuole essere la visualizzazione ma anche parte integrante del suo processo…Energia esplicita, colta da Marco Melchiorri in un momento qualsiasi di una “tranche de vie” urbana. Energia sottesa alle geometrie formali delle cose rappresentate da Loriano Brunetti. Energia dei segni che si fanno significati e, ancor più, sentimenti, nell’astrazione poetica di Mario Giacomelli. Energia plastica che Enzo Carli percepisce e ridà, attraverso accostamenti in contrappunto tra la corposità delle “cose” e l’imprevedibilità dell’acqua. Energia di un sapore vagamente nostalgico che viene fuori dalla visione un po’ indefinita di Massimo Renzi in cui sembra registrato il transito di un’esistenza. Energia sia psichica che materiale, riflessa nell’elan vital bergsoniano e del panta rei eracliteo, nel desiderio di Paolo Mengucci di fermare la durata e il trascorrere. Energia di un segno auto significante che Giorgio Cutini carica di un sottile, misterioso e indefinito portato poetico. Energia mnemonica che Sofio Valenti richiama nel reale dai depositi magmatici della memoria dove fluttano le immagini eidetiche. Nel 2001 si riapre un capitolo sul territorio con la verifica Tra Visibile e Invisibile nella città di Acqualagna, un omaggio a Calvino e un tributo a Mario Giacomelli prematuramente scomparso nel 2000. Memori della rivisitazione (dopo 25 anni dal libro di Paul Stand) da parte di Gianni Berengo Gardin di Luzzara, i Fotografi del Manifesto si propongono di trascrivere visivamente l’impatto emozionale suscitato da un luogo nuovo, potenzialmente sconosciuto tra il visibile e quindi l’antropologia dei corpi e dei luoghi e l’invisibile, la poesia dell’interiorità. La fase di concertazione teorica della base progettuale porta i Fotografi del Manifesto a chiedersi se sia possibile attuare una forma di promozione territoriale senza soluzioni di compromesso con i propri principi di libertà. Dal quesito una nuova consapevolezza: Una funzione di promozione del territorio, attuata però alla nostra maniera, libera da canoni predefiniti e da vincoli estetici. Ci facciamo promotori di un diverso concetto di bellezza, maturato dal manifesto a tutto ciò che ne è seguito, dove il bello è ciò che parla al cuore, che scuote le menti, che suscita inquietudini, concepito e realizzato per un più intimo livello di percezione. La penultima verifica riguarda il colore Il colore della fotografia, Arcevia, 2002. In esame, in questo caso, è la percezione del colore a livello emozionale e il suo modo di intervenire nei processi mentali ed espressivi dei fotografi. Anche questa un’esperienza unica di come il colore recuperi la sua alchimia e quella parte di rabbia che (erroneamente) sembrava gli fosse preclusa nelle precedenti verifiche. Infine, nel 2004, con la necessità di un percorso sulla storia recente della fotografia marchigiana, il gruppo presenta l’ultima verifica, Formattazione, un imprinting visivo sulle nuove proposte nella consapevolezza del profondo rinnovamento che le esperienze delle verifiche hanno prodotto dentro e fuori il gruppo. I Fotografi del Manifesto si ripropongono in Mostra al Museo della Fotografia di Caltagirone, alla Galleria Ghirri (a cura di Pippo Pappalardo, Sebastiano Favitta e Marina Benedetto) presentando nuove esperienze slegate dai vincoli tematici delle ricerche con la presenza di un new entry Daniele Duca, outsider dello still life. Il coraggio di essere se stessi acquista il valore di una poetica per immagini e sdogana, scrive nella presentazione Marina Benedetto i Fotografi di Frontiera in un viaggio sulle pure ali dell’arte, la loro opera, infatti, trascende la fotografia come rappresentazione della realtà ma scende nel profondo di quanto, di volta in volta, è raffigurato e pretende di andarne al di là, in un oltre, in una percezione che tende all’essenza dell’esistere, e coglie la fragilità della vita, valicando quel confine, quella soglia montaliana. Nel 2013 i Fotografi del Manifesto sono insigniti del Premio Nazionale Gentile da Fabriano per la loro ricerca fotografica Passaggio di Frontiera. Nel catalogo della mostra tenutasi nell’occasione al Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano, Galliano Crinella scrive: Nella storia della fotografia italiana contemporanea Passaggio di frontiera si colloca all’interno dei percorsi ai quali, in forma del tutto sintetica, abbiamo fatto cenno. Direi anzi che esso rappresenta la continuazione di quella storia. E tutto ci parla di un movimento fotografico che ha autorevolmente contribuito a tener viva, almeno per un decennio, le possibilità rappresentative della fotografia nel nostro paese. La radicalità del titolo con cui si identifica il lavoro dei fotografi del Centro Studi Marche sembra rispecchiare la forza e l’autenticità del progetto. Passaggio indica un’azione di oltre passamento, il cambiamento di stato. Frontiera, termine differente da confine, è come un velo attraverso cui l’inconoscibile si apre alla presa dell’uomo.
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