Doppia lettera aperta a Pegoli da Simona Guerra e Simone Giacomelli
"Pegoli la sua metafora del galoppare è appropriata, ma a lei!"
Rispondiamo con queste due lettere distinte a Giorgio Pegoli il fotografo senigalliese che senza essere tirato in causa in nessun modo ha deciso di inviare una lettera aperta al limite del diffamatorio pubblicata il 22 giugno scorso su Senigallia Notizie sulla recente esclusione dell’archivio Mario Giacomelli di Senigallia dalla Giornata di studi sulla fotografia tenutasi il 17 giugno scorso in città.
Sig. Pegoli,
credo che i toni e i contenuti della sua lettera siano chiari riguardo alla situazione in cui versa il dibattito fotografico senigalliese: avvilente!. Lei, direttore del corso di Fotogiornalismo al museo Musinf, fotografo fra i più autorevoli in città – secondo alcuni – scrive una lettera simile?
A parte le imprecisioni e il fatto che lei non era il destinatario del comunicato – lo erano gli organizzatori dell’evento – le avrei risposto volentieri se avesse condotto la sua invettiva su un piano culturale; diversamente la sua lettera sgrammaticata è un attacco personale a me e alla mia famiglia con divagazioni su chi le è più simpatico o meno. Contiene anche una confessione ai lettori: donerà il suo archivio alla Fondazione di Senigallia un ente che, leggo dal loro sito, ha lo scopo istituzionale di “fornire interventi assistenziali e servizi sociali a favore delle persone anziane e/o disabili”. Non capisco cosa c’entri con la fotografia e neppure se l’ente è pubblico o privato, ma non mi importa dove finiranno le sue foto.
Mi chiedo invece quale sia l’obiettivo del suo gesto: dimostrare a tutti che sono nemica della… fotografia buona e giusta a Senigallia?; Giocare a nonno e nipote tentando la goffa lezione “attenta a dire le cose come stanno perché poi scatta la punizione”?; fare pubblicità alla Fondazione di Senigallia “Donate! Io l’ho fatto!”. A meno che questa mossa non le sia stata suggerita da altri… in tal caso la sua metafora del galoppare sarebbe appropriata. Ma a lei, non a me!.
Ad ogni modo colgo l’occasione per confidarle che allo stato attuale delle cose all’unica istituzione pubblica preposta alla fotografia che si conosca in città, per ora, non affiderei neppure le immagini delle vacanze in quanto per i miei standard (altri musei e archivi italiani) esso non ha ancora raggiunto i requisiti minimi perché lo riconosca come il Museo di fotografia della mia città.
Sotto ho fatto una breve lista di cose che normalmente si fanno nei Musei e nelle città particolarmente sensibili alla fotografia. Ecco sig. Pegoli, quando in città dimostreranno di saper fare un terzo di quello che ho elencato, mi riscriva una lettera aperta o me la faccia scrivere da chi per lei e riprendiamo il discorso.
Saluti.
Simona Guerra
▪Quattro mostre all’anno di fotografia: due di autori nazionali, una su un aspetto del lavoro di Mario Giacomelli inedito in rapporto ad altri autori, una per l’estate di livello nazionale o internazionale ▪ Apertura al pubblico delle collezioni a tema (Le foto di Cavalli, le foto di Pellegrini…) con conferenze dedicate e lezioni connesse, laboratori, workshop. ▪ Accordi chiari e garanzie ai donatori di collezioni in quanto a conservazione, valorizzazione, salvaguardia, inalienabilità del fondo ▪ Collaborazione attiva, continuativa con le scuole locali tramite progetti, laboratori… (da estendere alle scuole della regione); ▪ Apertura di nuovi spazi espositivi in città: caffetteria del Teatro (bellissimo spazio, mai usata!); una sala del museo sempre dedicata a mostre temporanee; spazi ricavati da altri musei dedicati alla fotografia (mostre temporanee) in modo da favorire la visita anche di altri musei; ▪ Valorizzazione di TUTTI i fondi fotografici donati, storici e contemporanei; ▪ Ingresso del museo nel circuito museale regionale; ▪ Possibilità di esporre nel museo per tutti, non solo per gli autori che gravitano attorno alla realtà del museo; ▪ Un festival della fotografia, annuale, da non svolgere in estate; ▪ Programmazione annuale degli eventi; ▪ Creazione di un archivio digitale consultabile in rete (e in originale) per gli studiosi; ▪ Creazione di un comitato scientifico e di un gruppo di lavoro riconosciuto per ogni ambito di attività; ▪ Creazione di una biblioteca di fotografia.
Buon lavoro! E mi raccomando, non la metta sul piano dei costi dato che un terzo di queste sono le attività principali che si svolgono in un normale museo.
Caro Giorgio Pegoli,
mi costringe a rispondere alla sua lettera aperta, in quanto tirato in causa assieme agli altri eredi di Mario Giacomelli.
Suggerisco subito di notare la differenza di toni dei due articoli, quello “incriminato”, che riporta il post apparso sulle pagine di un noto social è argomentativo e propositivo, invitando chi di dovere, ad ampliare da locali a regionali, gli interventi relativi al progetto nazionale, voluto dal Ministro Franceschini. Il suo intervento invece è offensivo e sfiora la diffamazione, ed è la dimostrazione di quel meccanismo meschino che impedisce a Senigallia di essere veramente la Città della Fotografia che si vorrebbe. Questo mi dovrebbe suggerire di non perdere tempo a rispondere, non devo giustificare le mie scelte e il mio agire, né ai senigalliesi, che hanno problemi più urgenti, né tantomeno a lei e le dico anche il perché, essendo obbligato dal suo sfogo pubblico. Mi dirà poi faccia a faccia, se l’iniziativa è stata sua oppure le è stata offerta la possibilità di infangare chi lavora giorno dopo giorno, per costruire una propria credibilità ed alimentare una passione inevitabile.
Devo dirle la verità, attendevo da anni questa sua invettiva pubblica. Anni, si, questo è il periodo di tempo che ho passato ad ascoltare coloro che frequentano quello che oggi è l’ambiente fotografico senigalliese. Questi mi riportavano le sue maldicenze nei miei confronti ed io, per rispetto all’educazione ricevuta da mio padre, non ho mai perso tempo a ribattere quelle che mi sembravano solo voci di corridoio. Ora con questo suo articolo mi da la possibilità di esporre le mie ragioni, senza venir meno alle qualità caratteriali di riservatezza e pazienza che, volente o nolente, mi contraddistinguono. Prima di tutto, prendo atto delle sue preferenze tra i tanti che studiano l’opera di Mario Giacomelli e Katiuscia Biondi, sta cercando di fare del suo meglio e le sue parole avvelenate, signor Pegoli, non farebbero altro che aumentare le “frizioni” come lei le chiama, tra i due archivi o fondi fotografici. Tra l’altro Katiuscia, è persona al di fuori dei tre legittimi Eredi di Mario Giacomelli, nota fastidiosa, ma necessaria, per correggere la sua lettera.
Caro Giorgio Pegoli, non è questo il luogo per spiegarle il mio modo, vivo, di essere Erede, ma devo ribattere alle sue poco sottese accuse. E’ evidente che lei ignora il mio operato come dirigente dell’Archivio Mario Giacomelli di Senigallia atto a valorizzare e tutelare l’opera e il nome di Mario Giacomelli artista, e soprattutto l’impegno e la parte della mia vita che investo come ricercatore e studioso dell’opera di mio padre. Ora cercherò di colmare questo deficit “in-generato” in lei da qualche mancanza su cu dovrebbe riflettere e portato ai lettori dal suo superficiale articolo. Potrei iniziare dicendo che dal 1984 Mario Giacomelli mi volle suo collaboratore, arrivando a farmi partecipare alla creazione delle serie fotografiche che tutti conoscono e alla stesura dei suoi interventi in varie occasioni. Ma quello che vorrei che lei sapesse è che mentre lei accusa me e gli altri eredi di non fare nulla, contro l’amabile attività di altre persone, più o meno vicine a Giacomelli, la Barkeley University ha chiesto la mia collaborazione per alcune ricerche sulla coscienza e percezione nell’arte, dove l’unico fotografo presente è Mario Giacomelli, l’unico. Il Brooklyn Museum mi ha eletto socio onorario per l’impegno nella ricerca e nella valorizzazione della fotografia con particolare riferimento a mio padre. Centinaia sono i miei interventi nelle tesi di laurea su Giacomelli e solo poche decine in Italia. Ho portato Giacomelli in paesi in cui non era mai entrato prima. Sono consulente per l’autenticazione delle sue opere, presso le sedi internazionali di Sotheby’s e Christie’s. E quella odiosa parola “lucro” può rimangiarsela, perché, ahimè, come chi lavora nel campo della fotografia sa benissimo, molte volte, troppe volte, si lavora gratis o quasi.
Due finali precisazioni al suo delirante articolo: Mario Giacomelli ha donato una parte delle sue opere al Musinf, solo ed esclusivamente perché richiesto come favore dal suo amico Ferruccio Ferroni, questo lo ha detto a me personalmente e ad altre persone che stimava particolarmente. Inoltre quello che dice riguardo a quanto accaduto al Musinf “so che in quella data il prof. Bugatti ha salutato te e Simone Giacomelli, parlandovi del fatto che al Mibact stavano preparando il programma della giornata di studio alla Rotonda, chiedendo sia a te sia a Simone di inviare i vostri recapiti (mail e telefono) alla Bravetta. La tua risposta è stata che eri già Tu in contatto con la Bravetta.” Come fa a saperlo? Non vorrei che qualcuno l’abbia informato male, no, perché come lei dice, io ero li con Simona e le posso assicurare che le parole del signor Bugatti sono state queste e rivolte a me “posso dare il suo numero alla dottoressa Bravetta?” La mia risposta fu “Si, certamente” quelle da lei riportate non le ricordo, ma non importa, visto che poi con la dott.ssa Lorenza Bravetta e la dott.ssa Laura Moro, ci siamo spiegati benissimo.
Grazie per l’attenzione.
Simone Giacomelli
Direttore dell’Archivio Mario Giacomelli di Senigallia,
Erede di Mario Giacomelli insieme a Neris Giacomelli e Rita Giacomelli.
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