Lettera aperta di Jessica Bertolini sul convegno “Libere di scegliere?”
"Non posso non richiamare l’attenzione su quei casi in cui le violenze sono in realtà inesistenti"
Ho deciso di scrivere queste poche righe – e chiedo gentilmente possano essere pubblicate – dopo aver appreso della programmazione di un convegno, dal titolo “Libere di scegliere?”, svoltosi il 24 novembre scorso presso l’Università degli studi di Perugia e che ha visto come intervenuti, tra gli altri, mio padre, Marco Bertolini, assieme al suo avvocato.
Voglio subito chiarire che anche io mi schiero contro la violenza a danno di noi donne, ma non posso non richiamare l’attenzione su quei casi, purtroppo tutt’altro che occasionali, in cui le denunciate violenze sono in realtà inesistenti, essendo utilizzate solo per distruggere la vita del malcapitato destinatario (come nel caso di mio marito, Alessandro); denunce inventate che, inoltre, insultano vergognosamente chi una violenza l’ha invece subita davvero.
Appena ho saputo di questo evento (a mio avviso nuova iniziativa strumentalmente messa in atto dai miei genitori), mi sono sentita ancora una volta profondamente offesa e sfregiata e, per tale motivo, ho diffidato formalmente i responsabili dell’Università a dare il via al convegno.
La mia scelta è stata dettata dal fatto che, in quella sede, si sarebbero trattati – con l’ormai abituale ottica distorta e non imparziale della mia famiglia – fatti inerenti ad un processo ancora in corso e, soprattutto, si sarebbe parlato di me come vittima di mio marito, Alessandro, nonostante che io – ormai da tempo – urli a gran voce la sua totale innocenza, in quanto, da sempre, io mi reputo assolutamente libera di prendere scelte autonome ed indipendenti e, in definitiva, fermamente desiderosa di continuare a vivere felicemente la mia vita con lui.
Tuttavia, nonostante il mio dissenso, l’iniziativa si è comunque svolta, perché i miei genitori, ancora una volta, hanno sacrificato la mia volontà e il mio bene, mettendo in pubblico circostanze attinenti alla mia vita privata, pur di proseguire la loro fantasiosa accusa contro mio marito, Alessandro.
Tant’è vero che, nonostante l’evento fosse stato presentato come pubblico, in un primo tempo è stato negato l’accesso alle telecamere a cui io avevo dato l’incaricato di filmare l’incontro (anche per rilevare qualsiasi eventuale dichiarazione illecita o menzognera che sarebbe potuta emergere); e solo dietro mia prospettazione di far intervenire la forza pubblica, le telecamere (ad evento però orami iniziato) sono state fatte entrare nel luogo in cui si stava svolgendo l’evento.
Ciò ad ulteriore dimostrazione dell’accanimento nutrito contro di me, Alessandro e la sua famiglia, i quali sono stati dipinti, ingiustamente, dalla mia famiglia, come delle persone di cui diffidare, ma nessuno, ad esempio, ha mai detto che mio fratello, Simone, è stato recentemente raggiunto da un decreto penale di condanna (non definitivo, per carità) per il reato di diffamazione aggravata e continuata a danno proprio di mio marito, Alessandro; a dimostrazione del fatto che chi sbandiera le cose in piazza – come la mia famiglia – non necessariamente è dalla parte della ragione e senza “macchia”… Sono ormai stanca dell’ostinata, cieca ed ingiusta persecuzione che i miei genitori hanno messo e stanno mettendo in atto contro di me ed Alessandro, per il solo fatto di non accettare la nostra unione, ma, al contempo, voglio dirlo chiaramente, tutto quanto la mia famiglia mi e ci sta facendo subire mi sta dando ulteriore forza per lottare al fianco di mio marito, Alessandro, fino a che la verità non emerga nell’unico luogo, serio, in cui deve emergere: in tribunale.
Ringrazio pubblicamente le tantissime persone che ci hanno manifestato la loro vicinanza ed il loro affetto.
da Jessica Bertolini
Allegati
Aggiornamento rispetto al contenuto: con sentenza della Corte di Assise di Ancona del giorno 20/12/2018, il sig. Alessandro Predieri è stato assolto o comunque prosciolto da ogni accusa, eccezion fatta per un capo di imputazione relativo alla violenza sessuale, per il quale è stato condannato con medesima sentenza ad anni 8 e mesi 6 e ad il risarcimento in favore della parte civile costituita. La difesa dell’imputato, respingendo ogni accusa, ha impugnato la sentenza.
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