“La fusione? Uno strumento potente per ridurre sprechi e ottenere benefici”
Intervento del segretario GD provinciale Silvio Gregorini: "Piccoli comuni non perderanno identità ma sono a rischio bancarotta"
Da un po’ di anni a questa parte, in Italia si parla sempre più spesso di nuove forme di gestione del territorio locale. Immagino che molti di noi abbiano sentito parlare dei consorzi, delle unioni, delle fusioni comunali, e di ciò che queste comportano. In questi giorni si sta dibattendo molto sul referendum che, il 23 ottobre, chiamerà a raccolta i cittadini di Morro d’Alba e Senigallia, e li porterà a scegliere tra la fusione dei due comuni (proposta sostenuta dal Sì) o la continuazione della divisione tra i due (proposta sostenuta dal No).
Come Giovani Democratici, abbiamo da sempre sostenuto che le fusioni comunali siano uno strumento molto potente, che dovrebbe essere ricercato dalle nostre amministrazioni comunali ogni qual volta lo si ritenga opportuno. Questa fusione costituirà un primo passo verso la costruzione di una nuova amministrazione del territorio, che possa essere più efficiente: la riduzione degli sprechi e dei tempi morti della burocrazia amministrativa sono fattori che bisogna necessariamente tenere in conto, ed i cui vantaggi sono più che noti.
Non di meno, questo passaggio garantirà benefici economici non indifferenti. Senza entrare troppo nei dettagli tecnici (disponibili nello studio di fattibilità, documento pubblico e comodamente reperibile sui siti dei comuni), la fusione garantirà per legge una deroga quinquennale al Patto di Stabilità, che al momento blocca investimenti sul territorio ed assunzioni di personale tecnico, ed introiti economici decennali fino a 2 milioni di euro all’anno da suddividere equamente tra le due comunità per migliorare, potenziare ed aumentare le opere ed i servizi pubblici, senza dover aumentare la tassazione a discapito dei cittadini. Per completezza: la cifra di 2 milioni di euro è la cifra massima a cui si potrà arrivare; ma se è vero che non c’è certezza che vi si arrivi, è altrettanto vero che la cifra minima è comunque calcolata (dagli stessi comitati per il No) intorno ai 360.000€, ovvero 180.000€ a comune. Se si considera che, ad oggi, Morro d’Alba può utilizzare solo 130.000€ per investimenti sul territorio (cifra vincolata proprio dal Patto di Stabilità), un introito di quella portata equivarrebbe a più che raddoppiare i fondi disponibili, un’occasione che nessuno, in questo periodo di vacche magre, si lascerebbe scappare.
Terzo fattore, ma non meno importante, i due comuni uniti potranno potenziare tutti quei processi sociali già esistenti tra le due realtà locali. Dal turismo alla sanità, dall’associazionismo civico alle realtà lavorative, l’esistenza di un unico Comune, con politiche uniche che non devono attendere le tempistiche di due comuni separati, né dover fronteggiare le volontà politiche di due amministrazioni distinte (e potenzialmente avversarie), favorirebbe e velocizzerebbe i fattori aggregativi delle due comunità.
Per tutti questi motivi, noi Giovani Democratici voteremo ed invitiamo a votare Sì al referendum del 23 ottobre.
Ho avuto modo di leggere molte critiche nei riguardi della proposta creata dai due comuni. O meglio, della proposta che l’Amministrazione di Morro d’Alba, con voto unanime, ha fatto all’Amministrazione di Senigallia, che ha accettato a larga maggioranza. Ci tengo a precisare questo fatto affinché sia chiaro, fin dal principio, che non si è mai trattato di una mira espansionistica di Senigallia (come i sostenitori del No vorrebbero far credere), ma di una precisa richiesta di Morro d’Alba, un comune che ad oggi naviga in un mare (economico) tutt’altro che calmo.
Un comune che aveva già avviato dei processi di unione dei servizi con dei comuni limitrofi, è vero; ma che si è visto chiudere le porte in faccia quando l’unione dei servizi si è dimostrata uno strumento utile ma non sufficiente a venire incontro alle esigenze dei suoi cittadini, rendendo pertanto necessario il passaggio alla fusione. Di fronte all’impossibilità di fondersi con tali comuni, a Morro d’Alba restavano soltanto due opzioni: avviare il processo di fusione con Senigallia, o avviarsi verso una lenta ed inesorabile bancarotta.
Per un comune che vuole sopravvivere e continuare a garantire ai propri cittadini un tenore di servizi degno di questo nome, la scelta dovrebbe essere piuttosto ovvia.
Ad ogni modo, si parlava delle critiche. Molte delle quali estremamente contraddittorie tra loro: due di quelle che vanno più in voga, tra i comitati del No senigalliesi, sono “La fusione farebbe perdere a Morro d’Alba la sua identità” e “Senigallia non dovrebbe fondersi con Morro ma, piuttosto, con i comuni della valle del Misa e del Nevola”. Perdonatemi, ma ci vedo un’incongruenza di fondo: ci si preoccupa dell’identità di Morro d’Alba, e dall’altra parte si propone di fare la stessa, identica cosa con Trecastelli, Ostra, Ostra Vetere, Corinaldo, Barbara e Castelleone? Evidentemente, per i comitati del No senigalliesi, l’identità di un paese è un fattore da tenere in conto solo quando fa comodo. Due pesi e due misure.
Tralasciamo poi il fatto, piuttosto divertente, che alcuni esponenti del comitato del No abbiano pubblicamente affermato che, nonostante ritengano la fusione di Senigallia con i comuni della val Misa e Nevola uno sbocco naturale del comune senigalliese, avrebbero votato No anche nel caso si fosse votato in quel senso. Evidentemente, più che di “comitato del No”, si potrebbe parlare di “partito del No”.
Il tema della perdita di identità è, effettivamente, un discorso delicato. Ma la perdita d’identità è un processo che avviene in un lasso di tempo molto più ampio di quello che si vorrebbe far credere: se vincesse il Sì, i cittadini di Morro d’Alba non comincerebbero mica a parlare senigalliese già dal giorno successivo. La storia ci insegna che la cultura e l’identità locale sono fattori che si preservano anche al di là delle forme amministrative che governano i territori: l’Italia ha completato il processo di unificazione nel 1870, e ancora oggi, nel 2016, la maggior parte della popolazione parla più spesso utilizzando il proprio dialetto locale che la nostra lingua comune.
Ovviamente, la questione linguistica è solo uno degli aspetti del più ampio tema sociologico legato al tema della perdita d’identità, ma il discorso vale per tutto quello che concerne la cultura identitaria di un paese (dalle festività locali al Santo patrono, dai piatti tipici ai soprannomi di famiglia). Questo spettro della perdita d’identità è una fobia, una paura irrazionale ed infondata. Per cui, amici di Morro, non temete: non vi porteranno via secoli di storia e tradizioni solo perché avete deciso di collaborare con i senigalliesi.
Volendo concludere, il leit-motiv dei comitati del No si potrebbe riassumere con l’adagio “Piccolo è bello”. Eppure, dal 2008 ad oggi, i soggetti più colpiti dalla crisi economica sono stati i piccoli imprenditori e i piccoli comuni. Basterebbe un po’ di buon senso per capire che non si può portare avanti un sistema amministrativo che è allo stremo, dando la colpa a qualcun altro (chi all’Unione Europea, chi allo Stato Italiano, chi alle “amministrazioni precedenti”), solo perché non si è capaci di cambiare idea sull’architettura amministrativa del nostro territorio; e basterebbe un po’ di lungimiranza per capire che sono le fusioni comunali il futuro delle amministrazioni dei comuni italiani, se non vogliamo che i nostri comuni muoiano lentamente nel nome di una impraticabile autarchia amministrativa.
Silvio Gregorini,
Segretario GD Provincia di Ancona
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