No alla fusione con Morro D’Alba’: “Una fusione senza arte né parte”
"Perché poi dovremmo acconsentire a questo matrimonio se non è amore e neanche convenienza?"
Avete in mente quei nobili squattrinati che, dopo avere scialacquato tutti i loro averi in sogni di grandezza (ex-Italcementi), mettono in vendita i beni di famiglia (Palazzetto del Museo, Stabilimento Bagni, Palazzo Gherardi, Area delle Mimose) e progettano di sposare una nobilotta di campagna (con tutto il rispetto per Morro D’Alba, i suoi abitanti e la sua storia) sana e laboriosa, al solo scopo di continuare la bella vita che facevano prima?
A una simile congiunzione somiglia questo procedimento che vorrebbe traslocare la concreta Morro d’Alba nel palazzo nobile di Senigallia. A che scopo poi? La sola motivazione in qualche modo credibile nelle spiegazioni che ne danno governanti e governati di Senigallia sta nel fatto che ci sarebbero parecchi soldi di mezzo”.
Nelle varie Commissioni che si sono tenute con frenesia nevrotica, e nel tour morrodalbese del “Comitato del Sì”, è stato tutto uno sbavare di fronte alla prospettiva di intercettare questi soldi, in modo da far dimenticare intanto che gli incentivi servono per fare le cose, e non che si fanno le cose per avere gli incentivi, e che se ci sono incentivi vuol dire che i costi sono alti; in modo soprattutto che i proponenti possano continuare in uno stile di vita dissipativo e spendaccione che per il nobile debosciato sono gioco donne e cavalli, e per un’amministrazione pubblica si chiamano “costi della politica”.
Hai voglia a infiocchettare questi gran discorsi con frasi fatte e di provata inconsistenza come come “governare i processi di cambiamento”, “pensare alle generazioni future”: qui si tratta solo di tirare a campare e non è detto nemmeno che ci si riesca. Del resto lo ammettono loro stessi che l’incorporazione non volgerà a beneficio dei cittadini (leggi: migliori servizi e/o meno tasse) ma servirà solo a (testuale nello Studio di Fattibilità) “mantenere l’attuale livello dei servizi”.
Quali servizi, prego? Quelli che abbiamo appaltato a cooperative e società esterne? Ormai un comune come quello di Senigallia non gestisce in proprio pressoché nessun servizio, e quei pochi che gestisce è in procinto di darli fuori. La macchina comunale era già troppo grossa ai tempi in cui il comune gestiva tutti i servizi in proprio; figuriamoci oggi che non gestisce più niente! Tanto più in tempi di informatica (sì, anche quella hanno dato fuori) in cui possibile smaterializzare gli uffici, pur senza ridurre, anzi ampliandolo, il contatto con i cittadini, perché dovremmo mantenere una macchina comunale così costosa e ridondante?
E cosa, dove ci fosse carenza, non potrebbe essere ottenuto da un semplice accordo fra comuni evitando che uno inghiotta l’altro? Ha un senso che il governo proponga la riduzione del personale in cinque anni e poi ne incentivi il mantenimento con un programma su dieci anni? La cosa si spiegherebbe forse se ci fosse una programmazione almeno decennale; ma i proponenti e le voci del “Comitato del Sì” hanno parlato quasi mai di minori costi: hanno invece parlato di investimenti senza però mai dire quali. “Economie di scala”, esattamente.
In compenso però si sono dilungati sul modo in cui potrebbero risarcire Morro dell’attentato al suo vino: il Summer Jamboree promuoverà il Lacrima (ma di coccodrillo); e come le strade attorno a Morro saranno migliorate anche se Senigallia non riesce a provvedere alle proprie. Si sforzano di trovare tante affinità inesistenti (non hanno visto sulla torre di Morro il leoncello ghibellino di Jesi?) mentre ignorano quelle di Montemarciano, con cui Senigallia condivide l’erosione della costa, la continuità dei lungomari, i vigili urbani, qualche terremoto e il progetto Sibilla.
Dove siamo noi cittadini in tutto questo, e perché poi dovremmo acconsentire a questo matrimonio se non è amore e neanche convenienza? Qualcuno farà festa di sicuro: perché non dubitate che il nobile sperperatore troverà il modo di tagliare la cravatta ai convitati, ammesso che abbiano ancora qualcosa appesa al collo che si possa tagliare, e che in questo non farà distinzione tra chi dice “co” e chi dice “que” quando non ha capito bene.
Comitato No alla fusione con Morro D’Alba
Leonardo Badioli (referente)
Alessandro Curtatoni
Catia Fronzi
Elisabetta Palma
Riccardo Pizzi
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